La Spagna del 25% di disoccupati ora salva le banche

La Spagna del 25% di disoccupati ora salva le banche

MADRID – In tre anni la Spagna ha affrontato quattro riforme del settore bancario, ciascuna considerata come risolutiva. E anche se l’ultima appena approvata dal governo di Mariano Rajoy, la seconda in soli tre mesi, potrebbe non essere l’ultima, la sensazione questa volta è di grande sorpresa. Bankia, la quarta banca del paese, e la prima per numero di clienti, con oltre dieci milioni di conti correnti, è stata infatti nazionalizzata.

Che il sistema bancario spagnolo non avesse ancora fatto i conti con la propria situazione finanziaria era cosa nota, ma certamente in pochi immaginavano che avremmo assistito a una nazionalizzazione così rapida di una banca di queste dimensioni. Pur trattandosi dell’ottavo intervento diretto dello Stato in un istituto di credito, gli altri sette casi riguardavano casse di risparmio di modesta entità, quattro delle quali, peraltro, sono già state vendute. Bankia, inoltre, soltanto un anno fa ha fatto il suo debutto in Borsa, con un’operazione rischiosa e in parte deludente, ma che sembrava aver messo una pezza sulla stratosferica esposizione creditizia che mantiene nel settore immobiliare.

E invece pochi giorni dopo il colloquio tra Rajoy e Draghi, a margine dell’incontro della Bce a Barcellona lo scorso due maggio, le voci di una nazionalizzazione si sono fatte insistenti e la sequenza non è stata casuale. Il presidente spagnolo aveva infatti reclamato nuove iniezioni di liquidità da parte della Bce in favore degli istituti di credito iberici, per fugare gli insistenti sospetti di un’imminente attivazione del fondo di riscatto europeo, che stavano portando lo spread spagnolo oltre i 450 punti. Ma a quel punto, secondo quanto riportato dal quotidiano La Vanguardia, Draghi avrebbe frustrato ogni richiesta di Rajoy, ponendo come condizione quanto i mercati reclamano da mesi: un intervento deciso nel settore bancario, costi quel costi. E il problema principale, e noto, era proprio l’esposizione di Bankia.

L’ultimo a cadere prima dell’intervento del governo è stato l’ad. della banca, Rodrigo Rato, chiamato due anni fa dallo stesso Rajoy per risanare il gruppo. Si tratta certamente del colpo di scena più clamoroso dell’operazione, in quanto, oltre ad essere stato il rispettato ministro dell’economia del governo Aznar e direttore del Fondo Monetario internazionale, Rato era considerato fino a poche ore fa l’intoccabile e saggio suggeritore economico del Partito Popolare al governo.

Ottenute le dimissioni di Rato il governo si è immediatamente attivato per l’ingresso dello Stato, tramite il Frob (Fondo di ristrutturazione delle banche), convertendo in azioni il precedente prestito di quasi 4,5 miliardi di euro concesso come fondo di garanzia. In questo modo lo stato passa a detenere il 100% di Bfa, la società matrice di Bankia, e a controllare il 45% del gruppo. Il Frob è un meccanismo complesso, attraverso cui lo Stato concede da tre anni capitali alle banche in difficoltà, a un tasso di interesse dell’8% in sette anni. Con l’ultima riforma approvata oggi in consiglio dei ministri, il fondo passa ad avere un interesse del 10% in cinque anni. L’aspetto più inquietante del meccanismo è che il Frob si finanzia in buona parte con l’emissione di titoli di Stato, il cui interesse è da settimane in zona pericolosa.

Oltre alla nazionalizzazione di Bankia la nuova riforma del settore bancario prevede per tutti gli istituti di credito l’innalzamento dell’accantonaggio dal 7 al 30% che le banche devono dimostrare per gli asset immobiliari considerati sani. Questo suppone uno sforzo di altri ventotto miliardi di euro, di cui circa cinque spettano alla sola Bankia. Se le banche non saranno in grado di far fronte a questa copertura, potranno nuovamente ricorrere al Frob, ossia allo Stato. Il ministro dell’economia De Guindos minimizza questo sforzo pubblico, dichiarandolo ineludibile e, tutto sommato, un buon investimento a lungo termine. Naturalmente non spiega cosa succederà con questi prestiti se alla fine alcune banche dovessero fallire. Anche perché a Bruxelles devono essersi stancati dei conti che fanno le banche spagnole sui propri asset immobiliari che, seppure leggermente depurati, sono ancora drogati. Proprio per questo, su pressione della Commissione europea, saranno create due società di valutazione indipendenti che rivaluteranno da capo a fondo l’esposizione immobiliare degli istituti di credito. Tutto quel che verrà individuato come asset tossico sarà scorporato e affidato a una società che potrà liquidarlo anche con perdite del 90%.

I miliardi in aiuti pubblici – ma il governo spagnolo non vuole siano chiamati così – potrebbero ancora una volta servire al sistema bancario spagnolo come ulteriore stampella per non esplodere. Se i correntisti di Bankia si sentono certamente tutelati in questo delicato passaggio, la sensazione di malessere è sempre più forte, soprattutto perché in nessun modo si avverte un ritorno del credito alle imprese o alle famiglie. L’esasperazione inoltre cresce, perché Bankia non ha interrotto le esecuzioni ipotecarie e i pignoramenti fino a ventiquattro ore prima dell’annuncio della nazionalizzazione. Sono premesse davvero inquietanti, soprattutto se si pensa che proprio oggi la commissione europea ha peggiorato le previsioni di deficit per la Spagna, dal 5,2 al 6,4%. Chi sopporterà adesso altri tagli?

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