“La spending review è inopportuna in questo momento”

“La spending review è inopportuna in questo momento”

«La tempistica è infelice, e la portata è limitata». È questo il giudizio  che Luigi Campiglio, professore di Politica Economica all’Università Cattolica e prorettore dell’ateneo milanese, dà della spending review. Per l’economista «C’è già stata una manovra pesante, a cui si aggiungono tagli che entrano a regime nell’anno in corso». Sulla leadership tedesca, Campiglio non ha dubbi: «Inutile aspettarsi celerità nei processi decisionali da un Paese che cresce e ha altre priorità rispetto al resto d’Europa».

Notizia di oggi, la spending review del governo Monti non toccherà Quirinale e Parlamento, in nome della loro autonomia sancita dalla Costituzione. Tempistiche e contenuti della revisione della spesa pubblica la convincono?

No, la portata è limitata e la tempistica non è felice. Ovviamente è ancora troppo presto per formulare un giudizio compiuto, ma non bisogna dimenticare che la spesa pubblica, per quanto inefficiente, va toccata con cura perché ha sempre degli effetti moltiplicativi all’indietro. Il punto centrale è che il round numero uno di questa politica economica è stata molto centrata sull’aumento dei prezzi e della pressione fiscale, una combinazione micidiale. Se l’alternativa fosse stata, come all’inizio pareva, un mix bilanciato fra aumento delle imposte e riduzione delle spese, probabilmente non saremmo qui a commentare con dolenti note tutto ciò che sta per arrivare. Temo che una tempistica più inappropriata non poteva esserci per la spending review, poiché c’è stata una manovra pesante, a cui si aggiungono, contemporaneamente, tagli che andranno a regime nell’anno in corso. La cosa da fare in questo momento, invece, è trovare regole per eliminare la spesa inefficiente senza togliere servizi al cittadino in difficoltà, e temo che ciò non avverrà. Ad esempio, che senso ha eliminare i presidi della polizia sul territorio, quando tutti sanno che la polizia non ha nemmeno i soldi per fare le fotocopie? La spesa pubblica pro capite ha un volume molto elevato, ma non negativo se l’economia è in crescita. È qui che bisogna puntare.

I dati macroeconomici di oggi si commentano da soli: l’Istat rileva un tasso di disoccupazione al 9,8% livello più alto dal 2004 (serie mensili), che sale al 35,9% per i giovani (15-24enni), tasso trimestrale più alto dal 1992. In Europa il nuovo record registrato a marzo è al 10,9 per cento. Come sempre, la Germania presenta numeri migliori di tutti, e non ha voglia di pensare al resto d’Europa.

La Germania sta all’Europa come la Cina agli Usa, dal punto di vista della capacità di finanziare il consumo con il reddito e i risparmi, perché Berlino continua a macinare crescita con un crescente avanzo delle partite correnti. Tuttavia, a differenza degli Usa, l’Ue è ancora un soggetto politico ed economico in fieri. I dati sulla disoccupazione mostrano una situazione preoccupante in Spagna, Italia e Francia sono simili, mentre la Germania è al 5,6 per cento, la metà circa rispetto alla media europea. Un aspetto che a mio avviso ben fotografa lo stato d’animo dei tedeschi è emerso da una recente indagine curata da Ilvo Diamanti, secondo cui, nella percezione dell’opinione pubblica tedesca, la qualità della scuola (14%) e la qualità del sistema sanitario (10%), venivano prima, come priorità, dei timori legati alla disoccupazione (9%), che è allo stesso livello del degrado ambientale. Al contrario, la disoccupazione è al primo posto in Italia e Spagna. Questo la dice lunga sulla catena di interessi che vengono filtrati a livello politico, e spiega perché, per il momento, la Germania ha deciso di stare alla finestra.

Mohammed El-Erian, numero uno del fondo americano Pimco, il più grande investitore al mondo in obbligazioni, sostiene che la Germania debba prendersi la responsabilità di avere un ruolo maggiore nel coordinare le politiche comunitarie. 

Premesso che la critica viene da parte americana, e che negli Usa dopo Lehman Brothers la politica economica è cambiata dalla sera alla mattina, bisogna ammettere che la natura del processo decisionale della classe dirigente tedesca non è pragmatismo americano, quindi ci si può attendere che i processi decisionali abbiano tempi lunghi e contrastati perché tanto loro vanno bene e ognuno si prende le sue responsabilità. Berlino però farebbe bene a ricordarsi che, nonostante i successi in Cina, i due terzi del loro interscambio commerciale avviene ancora all’interno dei confini europeo. Sul Wall Street Journal di recente è uscita l’indiscrezione secondo cui la Bundesbank, la banca centrale, avrebbe finanziato la Bce attraverso il meccanismo interno di pagamenti Target2. Perché la Buba ha deciso di finanziare la Bce? Perché le banche tedesche sarebbero le prime a essere esposte a una spirale negativa sui debiti sovrani.

Mancano pochi giorni al secondo turno delle presidenziali francesi. Un’eventuale vittoria di Hollande, alla luce delle elezioni tedesche del prossimo anno, complicherà la governance europea?

Non credo, anzi, potrebbe essere inizio di un cambiamento. O meglio, di un ribilanciamento in cui, senza togliere leadership economica tedesca che è nei fatti, ci sarebbe un’altra voce forte.

Twitter: @antoniovanuzzo

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