Del killer di Brindisi non esistono altre immagini riprese da altre telecamere se non quelle del chiosco dei panini dinanzi alla scuola. Della presunta pista internazionale che porterebbe tutto all’Est Europa non c’è alcuna traccia e, in particolare, è falso che il detonatore che ha innescato la bomba contro le ragazze di Mesagne sia stato fabbricato in Romania. Il procuratore della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Cataldo Motta, ora titolare dell’inchiesta sull’attentato del 19 maggio scorso all’istituto “Morvillo-Falcone”, smentisce una dopo l’altra le ultime indiscrezioni giornalistiche filtrate dalle riunioni operative degli investigatori.
Finora le certezze sull’inchiesta sono poche e il mantra degli inquirenti salentini è che “tutte le piste restano aperte”. S’indaga in ogni caso per il reato di strage aggravata con finalità di terrorismo (art.270 sexies del codice penale) e non più semplicemente per strage come da fascicolo aperto inizialmente dal capo della procura di Brindisi, Marco Dinapoli, che dietro la bomba di via Galanti aveva teorizzato subito il «gesto isolato di una persona in guerra con il mondo e che tende a creare una tensione sociale».
Come spiegato lunedì scorso dal procuratore nazionale Antimafia, Pietro Grasso, a margine del vertice sulla sicurezza organizzato in Prefettura con i ministri dell’Interno, Anna Maria Cancellieri, e della Giustizia, Paola Severino, «tolta l’ipotesi del fine personale nei confronti delle vittime non c’è dubbio che qualsiasi altra ipotesi ha un effetto di terrorismo sia che venga fatto da un singolo isolato, sia da un pazzo, sia da un’organizzazione eversiva, dalla mafia o dalla Sacra Corona Unita. In ogni caso l’effetto è terroristico, intimidatorio e questo produce la competenza della Procura distrettuale Antimafia o di quella competente per atti di terrorismo».
I magistrati salentini, oltre ad avvalersi del pm di Brindisi Milto De Nozza, lavorano a tutto campo col supporto di 100 investigatori, tra Digos, Sco, Ucigos e Anticrimine di Roma. Nelle scorse ore hanno sentito anche ex militanti della destra estrema, topi d’appartamento, personaggi legati al contrabbando ed esperti di elettrotecnica. Stanno passando al setaccio soprattutto le caratteristiche dell’ordigno, la dinamica dell’attentato, i primi risultati dei reperti raccolti dalla polizia scientifica e i filmati delle telecamere degli aeroporti pugliesi. Nell’indagine anche approfondimenti negli ambienti famigliari delle studentesse e i possibili precedenti con la giustizia di tutte le persone che anche in passato hanno gravitato intorno alla scuola.
Il cerchio quindi si allarga e restano ancora in piedi le ipotesi di un coinvolgimento della Sacra corona unita, in particolare con la frangia di Mesagne, terra dello storico boss Pino Rogoli, anche se la “quarta mafia” è stata da tempo dilaniata dagli arresti degli ultimi capi Francesco Campana e Massimo Pasimeni, entrambi mesagnesi, e finora non ha mai colpito studenti. Raffaele Brandi, ritenuto al vertice della ramificazione brindisina della Scu, stando a quanto riportato nei giorni scorsi dal Corriere della Sera, avrebbe assicurato al capo scorta del magistrato De Nozza che l’organizzazione non c’entrerebbe nulla, si starebbe muovendo in parallelo con la giustizia, e «che se li prendiamo noi gli attentatori, ce li mangiamo vivi».
Ieri, ai microfoni di Servizio Pubblico, Ennio Penna, trent’anni passati in carcere e padre di Ercole, ex capoclan proprio di Mesagne e oggi collaboratore di giustizia, ha spiegato subito che la Scu «non ammazza i bambini, lo dice uno della vecchia guardia, questo è un atto di terrorismo politico».
È quasi certo però che l’autore dell’attentato, ritenuto dagli inquirenti un “esperto di informatica”, non sia affatto uno sprovveduto né un bombarolo qualsiasi, e abbia usato tre bombole di gas (hanno lasciato tracce anche di polvere pirica, alluminio e nitrato di ammonio) e un cassonetto della raccolta differenziata acquistati fuori città. Quella mattina poi, di fatto, ha voluto colpire direttamente le studentesse mesagnesi: all’arrivo del primo pullman di studenti dalla piccola cittadina Erchie, a 27 chilometri da Brindisi, ha disattivato l’ormai famoso “dispositivo volumetrico” collegato al telecomando.
E in ogni caso, come sostiene la procura, si sarebbe avvalso con ogni probabilità di complici sia per controllare la scena nella notte che per trasportare quel tipo di ordigno dal peso complessivo di circa 70 chili. Ora, stando alle dichiarazioni di alcuni testimoni della zona, si scopre che nelle vicinanze della scuola, verso le 3 e mezza della notte di sabato scorso, sarebbe stato avvistato un pick-up bianco da cui alcune persone avrebbero scaricato il cassonetto.
Il caos mediatico intorno all’inchiesta si è concluso dopo il trasferimento del fascicolo dalla procura brindisina alla Dda di Lecce su disposizione dell’Antimafia nazionale. Il metodo di Cataldo Motta è da sempre uno solo: massimo riserbo sulle indagini e pochissime informazioni ai giornalisti. Chi però non ha mai smesso di parlare e fornire dettagli sul lavoro degli investigatori è il preside della Morvillo-Falcone, Angelo Rampino, apparentemente più convinto di altri sulla dinamica della strage.
È stato lui a ripetere con apparente certezza che l’attentatore avesse i minuti contati, al massimo 48 ore dall’esplosione, sempre lui a riferire alla stampa dell’esistenza (poi smentita) di altri video e immagini riprese da telecamere di altri negozi del quartiere vicino l’istituto e della presenza di un arabo su una panchina di fronte alla scuola. Ancora una volta lui a escludere con sicurezza presunte vendette contro l’istituto, anche se gli inquirenti continuano a verificare proprio questa pista, soprattutto alla luce di una ipotetica minaccia ai danni delle insegnanti che sarebbe emersa in qualche modo dagli interrogatori dei giorni scorsi a studenti, docenti e collaboratori della Morvillo-Falcone.
Anche per queste dichiarazioni, sia il Guardasigilli Severino che l’ex sottosegretario all’Interno, Alfredo Mantovano, hanno chiesto il silenzio stampa per non compromettere il lavoro dei pm intorno all’esplosione che ha tolto la vita a Melissa Bassi e ferito gravemente altre sette studentesse.