Per le province niente sarà più come prima. Dopo anni di dibattito politico e mediatico, finalmente qualcosa si muove. I referendum che si sono tenuti il 6 maggio in Sardegna hanno decretato la soppressione delle quattro province di recente istituzione (Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio) ed espresso la volontà di eliminare anche le quattro storiche (Sassari, Nuoro, Cagliari e Oristano). Ma non è tutto.
La riforma delle province decisa dal governo Monti col decreto “salva-Italia” inizia ad avere i primi effetti tangibili. In questa tornata di elezioni amministrative, nel sorprendente disinteresse dei mass media, non sono andate al voto le nove province che avrebbero dovuto rinnovarsi (sette per scadenza del mandato, due perché indette elezioni anticipate). Si tratta di Como, Vicenza, Belluno, Ancona, La Spezia, Genova, Ragusa, Caltanissetta e Cagliari.
In base all’articolo 23 del decreto “salva-Italia” le province diventano enti di secondo grado, cioè non vengono elette dai cittadini ma dai rappresentanti dei comuni, il loro organico viene fortemente ridimensionato, trasferiscono quasi tutte le loro funzioni a Regioni o comuni e mantengono solo un generale ruolo di indirizzo e coordinamento. Non potendo eliminare le province con legge ordinaria (si richiede anzi una revisione costituzionale), questo è il risultato che è riuscito a raggiungere il governo. Il nuovo sistema dovrebbe diventare completamente effettivo con l’emanazione di una legge che disciplini il passaggio di competenze, che dovrà arrivare entro il 31 dicembre 2012. Questo per le province che si trovano in Regioni a statuto ordinario. Per quelle a statuto speciale entro il medesimo termine dovrà essere emanata un’apposita legge regionale.
Fino a che non saranno promulgate queste norme, nel decreto è previsto che le province per cui non si è votato vengano affidate a un commissario. Per le sei appartenenti a Regioni a statuto ordinario (Como, Vicenza, Belluno, Ancona, La Spezia e Genova) è stato deciso, con ordine del giorno votato dal Senato il 15 marzo, che vengano nominati commissari i presidenti uscenti e che consiglio e giunta vengano sciolti. Ad oggi tutti hanno accettato l’incarico, tranne Alessandro Repetto, presidente uscente della provincia di Genova in quota Pd, che si è dimesso il 18 aprile, in previsione del commissariamento. Le sue dimissioni sono diventate effettive l’8 maggio e il 9 sera è arrivata la nomina a commissario di Piero Fossati, già assessore provinciale alla viabilità. Particolare il caso della provincia di Belluno, che già da ottobre 2011 è commissariata in seguito alle dimissioni del presidente Gianpaolo Bottacin (Lega Nord). Il commissario Vittorio Capoccelli a questo punto rimarrà in carica fino all’emanazione della legge sul passaggio di competenze a Regioni e comuni.
Nelle regioni a statuto speciale avrebbero dovuto votare Ragusa, Caltanissetta e Cagliari. Il capoluogo sardo era rimasto senza presidente eletto già a dicembre 2011, dopo le dimissioni di Graziano Milia (Pd) condannato per abuso di ufficio. Gli è succeduta la vicepresidente della giunta, Angela Quaquero, che tuttora detiene l’interim. Dalla Regione fanno sapere che la nomina di un commissario non è all’orizzonte, e che si attende l’emanazione di una legge regionale sugli enti intermedi (quali dovrebbero essere le province, a seguito della riforma) per normalizzare la situazione. Complicatasi, peraltro, col referendum consultivo che chiede la soppressione di tutte le province sarde.
Anche a Caltanissetta, in Sicilia, la provincia era già retta da un commissario. Nell’ottobre 2011 la Consulta aveva stabilito l’incompatibilità tra la carica di parlamentare e quella di amministratore locale, e a novembre, per rispettare la decisione dei giudici, il presidente della provincia Giuseppe Federico (Mpa) si è dimesso. Da febbraio 2012 l’ente è retto da un commissario, l’avvocato Damiano Li Vecchi, nominato dalla Regione. Non essendo prevista, al momento della nomina, una scadenza per il mandato di Li Vecchi, non è stata necessaria alcuna proroga. La legge regionale siciliana, che rinvia ad altra norma da emanarsi entro fine anno, si limita a congelare lo status quo in attesa di sapere quale sarà il destino dell’ente provincia, anche a livello nazionale.
Oltre a congelare la situazione a Caltanissetta, la stessa legge regionale ha predisposto il commissariamento della provincia di Ragusa, che sarebbe dovuta andare al voto. Non c’è ancora un nome per il commissario, ma dall’ente ibleo fanno sapere che l’iter per la designazione è avviato. La legge non impone un termine, e fino alla nomina del nuovo commissario rimarrà in carica il presidente eletto, Franco Antoci (Udc).
In ogni caso le province non intendono scomparire, o quantomeno venire snaturate, senza dare battaglia. L’Upi (unione delle province italiane) ha organizzato il primo febbraio 2012 la “giornata nazionale di mobilitazione contro la cancellazione delle province”, durante la quale 107 consigli provinciali si sono riuniti in seduta straordinaria aperta al pubblico, per spiegare il proprio dissenso contro il decreto “salva-Italia”. Al termine della seduta, tutti i consigli provinciali hanno approvato l‘ordine del giorno unitario “No all’Italia senza le Province”, redatto dall’Upi, in cui si dà mandato alle proprie Regioni di promuovere il ricorso alla Corte Costituzionale. Alcune, ad esempio Piemonte e Campania, si sono già attivate in tal senso. Oltre a ciò, quattro delle nove province che non sono andate al voto questo maggio, hanno presentato ricorso a diversi Tar, lamentando l’incostituzionalità di una decisione che elimina un diritto di voto per decreto.
Accanto alla via giudiziaria, si tenta anche di trovare una soluzione politica. Sempre durante la “giornata nazionale” contro l’eliminazione delle province, l’Upi ha invitato governo e parlamento ad approvare una riforma complessiva che si ispiri a questi principi: razionalizzazione attraverso la riduzione del numero delle amministrazioni; ripristino dell’elezione da parte dei cittadini; ridefinizione e razionalizzazione delle funzioni; eliminazione di tutti gli enti intermedi strumentali (agenzie, società, consorzi) che risultino inutili; istituzione delle città metropolitane; destinazione dei risparmi ad un fondo speciale per il rilancio degli investimenti degli enti locali. Secondo l’Upi con una riforma di questo tipo si potrebbero ottenere risparmi anche maggiori rispetto all’abolizione di fatto decretata dall’esecutivo.
Nonostante le indicazioni dei cittadini e gli sforzi del governo, la “questione province” rimane un ginepraio inestricabile. I ricorsi ai giudici potrebbero annullare gli sforzi compiuti finora, e i tempi lunghi di approvazione delle leggi (nazionale e regionali) che dovranno disciplinare il nuovo sistema lasciano spazio ad ulteriori incertezze. Tra presidenti commissariati, commissari rinnovati, referendum e controriforme, l’unica certezza è che se la politica fosse intervenuta per tempo con una legge costituzionale questa confusione si sarebbe evitata.