Prima di atterrare in una Bruxelles imbavagliata per l’occasione, il vicepremier cinese Li Keqiang ha fatto tappa in Ungheria, accolto calorosamente dal premier Viktor Orbán. Più che un viaggio diplomatico, l’arrivo a Budapest del probabile successore di Wen Jiabao, a marzo 2013, è stato un’occasione per condurre un vero e proprio shopping, almeno a giudicare dai risultati. Siglati sette accordi di cooperazione, tra cui spicca un finanziamento da un miliardo di euro da parte della China Developement Bank per lo sviluppo di piccole e medie imprese, l’apertura di una base logistica per l’Europa da parte del gigante delle telecomunicazioni Huawei, un centro di supporto per Zte, quarto produttore di telefoni cellulari al mondo, e la costruzione della linea ferroviaria che collegherà l’aeroporto Franz Liszt al centro di Budapest, opera del valore di un altro miliardo di euro.
Il premier “euroscettico” Viktor Orbán ha usato il consueto linguaggio colorito per commentare gli accordi siglati ieri: «Perché stare in piedi su una gamba sola, quando si hanno due piedi?». E ancora: «La Cina è un alleato strategico per l’Ungheria, il nostro Paese deve muoversi in modo coerente sia in Europa occidentale che in Oriente». L’interscambio commerciale tra i due Paesi, nonostante le precarie condizioni dell’economia magiara, ha toccato la cifra record di 9 miliardi di euro nel 2011, con una crescita del 6,2% rispetto al 2010. «L’Ungheria è al centro dell’Europa, e presenta numerosi vantaggi come bassi costi operativi e di manodopera» ha detto al China Daily Chang Xiaowei, responsabile di Zte per l’Europa. In termini di ricadute occupazionali l’impatto degli accordi non sarà secondario: le stime parlano di mille posti in più soltanto nell’hub logistico Huawei, mentre Zte assumerà da 300 a 500 persone nei prossimi tre anni.
Una boccata d’ossigeno per l’esecutivo di Orbán, che oggi ha eletto presidente della Repubblica il co-fondatore del partito Fidesz, Janos Ader, dopo le dimissioni di Pal Schmitt in seguito a uno scandalo di plagio. Nonostante il passaggio dal liberalismo all’estrema destra, la nuova Costituzione approvata all’inizio del 2012 e l’autonomia della Magyar Nezmeti Bank, l’istituto centrale del Paese, e nonostante i richiami di Bruxelles, pare che gli aiuti internazionali non tarderanno ad arrivare, anche se non è ancora chiaro se l’Ue sbloccherà i quasi 500 milioni di euro di fondi congelati in seguito alla svolta autoritaria di Budapest. D’altronde, i numeri della crisi magiara parlano chiaro: sebbene l’indebitamento sia “solo” all’82% rispetto al Pil, è la crescita del deficit – dal 2,5% del Pil del 2011 al 4% stimato per il 2012 – a preoccupare maggiormente gli osservatori europei e del Fondo monetario internazionale.
Timori condivisi dall’Ocse, che dopo una missione condotta nel Paese lo scorso marzo è giunta alla conclusione che l’Ungheria sarà in recessione per tutta la prima parte del 2012 (Pil a -0,6%), con un tasso di disoccupazione in salita costante, dal 10,1% del 2009 all’11,8% del 2011. Oltretutto, la spesa pubblica assorbe il 50% del Pil, mentre il reddito medio pro capite è di circa 13mila euro l’anno. La svalutazione del fiorino e la diminuzione degli investimenti lordi, che si sono contratti del 25% rispetto alla prima metà del 2008, non contribuiranno alla crescita del Paese, che sarà sotto l’1 per cento. Il governo autoritario di Orbán ha spaventato anche gli investitori istituzionali, come dimostra l’aumento dei cds – derivati che assicurano dal rischio di fallimento di un emittente – nel corso del 2011, che sono passati da 300 a 500 punti base in dodici mesi.
Orbán dovrà probabilmente mettere da parte l’orgoglio con il quale ha rifiutato sdegnosamente, nell’estate del 2010, il rinnovo del prestito da oltre 25 miliardi di euro – 15,7 miliardi dal Fmi e 8,1 aggiunti in seguito dall’Ue – erogato nel 2008 in cambio di tagli e riforme. L’accordo con Pechino, tuttavia, potrebbe mettere il muscolare leader magiaro in una posizione di forza, oltre che contribuire al processo di rilancio della sua immagine iniziato con la nuova Costituzione. Bruxelles non è ancora riuscita a trovare un modo per placare le bizze di Budapest, e i massicci investimenti della Cina, che vuole fare dell’Ungheria un “ponte” tra la potenza del Dragone e un’Europa in gran parte in recessione, rappresentano un’arma diplomatica di primo piano. Per ora Austria e Italia, le cui banche sono fortemente esposte nel Paese, rimangono alla finestra.