Portineria MilanoMilano, caos Expo 2015: arriva la Guardia di Finanza

Milano, caos Expo 2015: arriva la Guardia di Finanza

Un assessore del comune di Milano lo dice senza mezzi termini, ma con la garanzia dell’anonimato. «L’Expo 2015 lo chiuderemo all’ultimo minuto e il minuto dopo diremo che è stato fatto tutto alla perfezione. Insomma: una roba molto all’italiana. Del resto, che cosa vi aspettavate?». Sta forse in questo virgolettato, di un esponente di spicco della giunta arancione di Giuliano Pisapia, tutta la preoccupazione del sistema industriale italiano e dei cittadini italiani per l’evento che avrebbe dovuto rilanciare l’Italia, in particolare la Lombardia e Milano. È di ieri la notizia che la procura ha messo sotto indagine la prima gara d’appalto per turbativa d’asta: peggio di così non si poteva cominciare.

Già prostrato dalla crisi economica, il tessuto economico-politico del settentrione ha oggi più che mai il timore che delle infrastrutture promesse, tra Pedemontana, nuove metropolitane nel capoluogo lombardo, la famosa bretella di raccordo su ferro tra Fiera di Rho e Malpensa, non se ne riesca a realizzare manco una. O meglio, non in tempo per l’evento a cui mancano poco più di 1000 giorni, come riporta fedelmente il sito Expo 2015.

Così, nei mesi scorsi, dopo la «vittoria con un’offerta al massimo ribasso di una cooperativa emiliana, sono partiti i lavori per portar via dall’area a nord-ovest del capoluogo lombardo le cosiddette ‘interferenzè e preparare il terreno ad opere di viabilità e altri servizi in vista dell’appuntamento ‘vetrinà mondiale». Ma l’appalto, del valore di circa 97 milioni di euro, potrebbe essere stato «“indirizzato” attraverso una gara “truccata” e con la complicità di funzionari pubblici».

Si parla delle solite cose. «Scarsa trasparenza» e «sponde amministrative» che potrebbero aver operato affinché la gara venisse aggiudicata con un ribasso del 42,83% dalla Cmc di Ravenna. Al vaglio degli inquirenti ci sono anche le ipotesi che possa essersi creato un ‘cartellò di imprese tra alcune delle società partecipanti e che qualche pubblico ufficiale possa essere stato corrotto con somme di denaro. In una regione già devastata dagli scandali, con il governatore Roberto Formigoni – che è anche commissario straordinario – nell’occhio del ciclone per le dichiarazioni del faccendiere Piero, queste indagini rischiano di rallentare ancora di più la realizzione delle infrastrutture, ancora al palo. 

Del resto, basta dare un’occhiata al dossier sui sistemi infrastrutturali dell’Osservatorio del Nord Ovest di Assolombarda, stilato a dicembre dello scorso anno. Un’analisi perfetta, che dopo l’annuncio del dimezzamento della M4, si è dimostrata più che mai azzeccata. Si legge: «Dal punto di vista procedurale, si segnala che diverse opere ‘essenziali’ e “connesse” non hanno ancora un progetto preliminare approvato, con possibili ripercussioni sulla possibilità di realizzare gli interventi in tempo per l’Expo». 

Ma c’è pure il rischio che la manifestazione internazionale meneghina possa avere sull’Italia l’effetto delle Olimpiadi di Atene nel 2004 sulla Grecia: il budget di 15 miliardi di euro per finanziare i giochi olimpici, poi largamente sforato, fu il più significativo peggioramento  per i conti del governo, un buco contabile da cui il paese non si risollevò più. Lo ha scritto nero su bianco pure il movimento No Expo in un post dello scorso mese, invitando il governo a ritirarsi il prima possibile per evitare la tragedia.

ll regolamento del Bie (Bureau International des Expositions), infatti, prevede la possibilità di rinunciare a Expo2015 attraverso il pagamento di penali crescenti. «Il ritiro della candidatura milanese se effettuato entro aprile 2012 comporterebbe una penale di 16,2 Mln di euro. A partire da maggio 2012, e fino ad aprile 2013, la penale, (comunque irrisoria rispetto ai soldi da trovare per realizzarlo) lieviterà a 51,6 Mln di euro». Ma l’Expo non sono le Olimpiadi, dicono i sostenitori dell’evento milanese. Anche se, va detto, le istituzioni pubbliche lombarde continuano a chiedere al governo Monti di sforare il patto di stabilità per portare avanti i lavori ancora fermi al palo.

Fa quasi tenerezza rileggere un pezzo scritto dall’ex capogruppo alla Camera della Lega Nord Marco Reguzzoni, sulla Padania del primo aprile del 2008, a due giorni dalla vittoria di Parigi contro la rivale turca Smirne. «Expo, vince Milano, vince la Padania», questo il titolo, con scritto nel dettaglio che l’evento avrebbe portato un fatturato di «44 miliardi e 70mila posti di lavoro». A distanza di 4 anni da quel giornata storica è rimasto davvero poco. «Tra il 2012 e il 2015 faremo investimenti pari a 1,446 miliardi». Ha annunciato al termine dell’assemblea dei soci, che si è tenuta il 26 aprile, l’amministratore Delegato di Expo 2015 Giuseppe Sala. Ma sarà davvero così?

Leonardo Carioni, da poco uscito dal consiglio di amministrazione per fare posto a Alessandra Dal Verme mostra comunque fiducia. «Sala è un ottimo amministratore. Non dobbiamo star qui a guardarci alle spalle, ma andare avanti. Abbiamo perso molto tempo, soprattutto per risolvere la questione dei terreni». Ma al momento di passi in avanti c’è stata una tavola imbadita in piazza del Duomo per gli «Expo Days – Il mondo a Tavola» sul ruolo della «neo agricoltura» e una moneta della manifestazione. «The official coin and medal collection»: celebra la nascita della moneta ufficiale dell’Esposizione Universale di Milano. Manca un’inchiesta su presunti appalti truccati in mano al pm Alfredo Robledo.

Pensare che in questi anni sono cambiati i governi, da centrosinistra a centrodestra fino ai tecnici. Non c’è più il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, che si è sempre opposto alla manifestazione. È cambiato persino il sindaco di Milano. L’unico rimasto alla fine è il governatore lombardo Formigoni, che oltre a spuntarla lo scorso anno sulla questione dei terreni, è diventato commissario generale al posto di Letizia Moratti e sta gestendo con Infrastrutture Lombarde parte della realizzazione delle opere. Ma il tavolo lombardia, tra le tante eccellenze di cui il Celeste si è vantato in questi mesi, al momento non è decollato. E tutto quel mondo che ruota intorno al sistema formigoni, dalla Compagnia delle Opere, fino alla Lega Nord, è in disarmo. 

«Va sempre tutto bene a quel tavolo, in realtà è tutto bloccato», spiega Vinicio Peluffo, parlamentare del Partito Democratico che ha seguito sin dall’inizio il percorso dell’Expo. «Formigoni non ha più tempo per dedicarsi a questo evento. Come commissario generale dovrebbe promuoverlo all’esterno, invece, è sempre in televisione a difendersi da indagini di ogni tipo: è arrivato il momento di lasciare». Ecco, appunto, le inchieste. Il maremoto scatenato dalla procura di Milano in accoppiata con il quotidiano La Repubblica sui viaggi formigoniani a spese del faccendiere Pierangelo Daccò di certo non aiuta. Persino Marco Vitale, ex assessore, economista stimato a Milano, ha chiesto un passo indietro al governatore ciellino. Ma Formigoni resiste a ogni critica. Del resto, è solo sua la responsabilità? 

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