(riproponiamo, aggiornato, un articolo che avevamo pubblicato il 6 febbraio 2011)
Per la prima volta nella sua storia, a Mirafiori tra giugno e luglio andranno in cassa integrazione tutti i 5400 dipendenti degli Enti Centrali della Fiat di Mirafiori. Una novità che i sindacati salutano con ovvia preoccupazione.
Tuttavia, il futuro del sito torinese è appeso a un filo da almeno vent’anni. Se nel 1991 il primo stabilimento di Fiat produceva 4.000 automobili al giorno, nel 2011 ne sfornerà circa 250. E a Torino sta prendendo sempre più piede l’ipotesi di una dismissione, anche parziale, dell’impianto più grande del gruppo. Al suo posto, un museo della storia centenaria della casa automobilistica.
I torinesi sanno bene che Fiat sta mutando. Da società sabauda è diventata nazionale, infine globale. La costante ricerca del miglior rapporto costi/benefici, voluta con forza da Marchionne, sta trovando la sua naturale dimensione negli Stati Uniti. Del resto, ciò che Detroit era negli anni Novanta, cioè un enorme carrozzone improduttivo, nei fatti lo è ora Torino. Uno studio dell’Union auto workers (Uaw), il principale sindacato automobilistico statunitense, ha registrato come il costo orario per unità in Italia è compreso fra i 60 e i 70 dollari. Negli Usa, dopo la ristrutturazione dell’industria automotive che si sta concludendo in questi anni, siamo a quota 50 dollari. Difficile quindi pensare che un gruppo globale come Fiat non cerchi la miglior via possibile per il suo core business.
Allo studio c’è da già da qualche anno un diverso uso degli spazi di Mirafiori. L’ipotesi, finora passata sottotraccia tranne che negli ambienti torinesi, è quella di un museo della storia Fiat, sul modello di quelli costruiti da Bmw e Volkswagen in Germania. Una parte dello stabilimento, circa un terzo, sarebbe demolita e le aree cedute al Comune, che provvederebbe a effettuare una riqualificazione urbana del distretto, come fatto per la dorsale Spina, che collega nord e sud della città. La restante area di Mirafiori sarebbe infine destinata a essere luogo di esercizi commerciali. Sebbene siano solamente ipotesi, a Torino continuano a riproporsi sporadicamente. E ultimamente, le voci si sono fatte sempre più frequenti.
Qualcosa, anzi più di qualcosa, è già cambiato. Al posto di una parte dei parcheggi per dipendenti hanno costruito abitazioni, e altre zone sono state cedute al Comune che ha provveduto a dare un altro futuro alle aree ex Fiat. L’esempio è quello della linea tranviaria 4, il cui capolinea è adiacente a Mirafiori. C’è poi il caso del Mirafiori Motor Village, grande complesso situato fra Corso Tazzoli e Corso Orbassano, nell’angolo nord dell’impianto. Creato ufficialmente come polo di attrattiva comprendente lounge, ristoranti, bar, concessionaria, area giochi e merchandising, è nato in realtà sulle ceneri di un’area dismessa e sottoutilizzata.
Le parole di Marchionne non devono quindi stupire. Nell’arco degli ultimi dieci anni le trasformazioni non sono mancate a Mirafiori. Finito il tempo della produzione di massa in grande stile, come ai tempi di Gianni Agnelli, il futuro del primo stabilimento italiano di Fiat è stato all’insegna dell’incertezza. Fra il 2001 e il 2003 i piani di ristrutturazione interna hanno colpito il Lingotto. Prima Paolo Cantarella, poi Giancarlo Boschetti e infine il duo Gabriele Galateri-Alessandro Barberis hanno ridimensionato le unità produttive della casa. In quel triennio Mirafiori ha perso 7.700 dipendenti, Rivalta 1.100, nel resto d’Italia oltre 3.500 e fra gli impianti esteri circa 15.500. La cura Marchionne ha però funzionato, almeno sotto il profilo delle idee e delle vendite. Nel 2004, quando arrivò il manager italo-canadese, il Lingotto era reduce da una serie di insuccessi commerciali ed è con la Nuova Panda che cominciò la rinascita. Peccato che per Mirafiori sia iniziato il declino che ancora oggi continua. Tanto che ora i dipendenti sono circa 5.400. Nel settembre 2002 erano 9.900.
Il più grande stabilimento mondiale di Fiat ha un’estensione di due milioni di metri quadri, ha 22 chilometri di ferrovia al suo interno e oltre 10 chilometri di strade sotterranee. Dalla Topolino alla Alfa Romeo MiTo, tutti i modelli storici sono passati da Corso Settembrini. Tuttavia, la globalizzazione ha portato a una diversa concezione di Mirafiori. Già negli ultimi dieci anni, le aree inutilizzate sono state riempite con altre attività. L’esempio lampante sono i servizi logistici, internalizzati per ridurre la lunghezza della filiera, da un lato, e allocare zone dello stabilimento che altrimenti non sarebbero state più usate. Sul fronte della logistica prima è entrata dentro Mirafiori Ceva Logistics, società americana leader nel segmento, ma dai prossimi mesi prenderà servizio iFast Logistics, di proprietà del Lingotto. Il riassetto dell’impianto passa anche da questi accordi, funzionali al mantenimento in vita di Mirafiori fino a quando non sarà destinato ad altro.