Monti dà Snam alla Cdp con uno sconto del 40%

Monti dà Snam alla Cdp con uno sconto del 40%

Un cane a sei zampe che si morde la coda. La scorsa settimana il governo Monti ha varato il decreto che sancisce il passaggio di proprietà del 25,1% di Snam Rete Gas – la società dei tubi controllata da Eni che si occupa di dispacciamento e stoccaggio di gas – da Eni alla Cassa depositi e prestiti (Cdp), il cui azionista di maggioranza è, guarda caso, il medesimo del gruppo di San Donato, cioè il ministero del Tesoro. Nel testo del provvedimento si legge: «Nella scelta delle modalità con le quali operare la cessione delle quote di partecipazione di ENI S.p.A. in SNAM S.p.A., deve essere previsto un adeguato contemperamento tra l’esigenza di mantenere un nucleo stabile nel capitale di SNAM S.p.A. a garanzia della linearità di azione nello sviluppo e tutela delle attività strategiche e quella di assicurare la più ampia diffusione dell’azionariato tra i risparmiatori mediante l’adozione di procedure di dismissione trasparenti e non discriminatorie». Se i nuovi azionisti saranno tutelati, il destino di quelli esistenti è ancora tutto da scrivere. Snam è controllata al 52% da Eni, al 30% circa da investitori istituzionali e al 10% da azionisti retail. 

I dubbi non mancano: Eni cederà Snam alla Cdp con uno sconto di circa il 40% rispetto alla valorizzazione del mercato. E dire che proprio Scaroni, la prima volta che aveva parlato apertamente di scorporo, aveva specificato: «Se trovassimo un compratore gradito al Governo italiano che ce la pagasse più del valore di mercato, allora potremmo considerare di cedere Snam Rete Gas». Nel corso dell’ultima assemblea degli azionisti, invece, il top manager ha osservato: «Dovremmo uscire dalla separazione di Snam con 7 miliardi di cassa e 11 miliardi di debiti in meno: quindi il nostro debito scenderà dagli attuali 26 a 8 miliardi circa». 

Sicuri che andando all’asta, con un meccanismo di congelamento dei diritti di voto al 5% del capitale e una quota di minoranza appannaggio dello Stato, prendendo spunto dalle iberiche Red Eléctrica (governo al 20%) ed Enágas (governo al 10%) non si sarebbe ottenuto un prezzo migliore? Sul punto, la risposta dell’amministratore delegato di Cdp, Giovanni Gorno Tempini, intervistato dal Corriere della Sera, è stata alquanto vaga: «Lo trovo ragionevole (tenere il controllo di Snam in mani pubbliche, ndr) sia perché il controllo pubblico assicura la neutralità del gestore dell’infrastruttura rispetto agli operatori, sia perché il controllo pubblico può aiutare meglio di altri assetti, più inclini a spremere valore nel breve periodo, una gestione finanziaria della rete subordinata allo sviluppo industriale». 

Spesso, tra le ragioni per le quali le imprese italiane non sono competitive, si citano i costi energetici più elevati rispetto al resto d’Europa. Secondo un recente report di Ubs, oggi i prezzi del gas in italia sono attorno a 33 euro al megawattora (MWh) rispetto ad una media in Germania di circa 25 euro al MWh), mentre i prezzi all ingrosso dell energia elettrica sono 82 euro al MWh rispetto prezzi tedeschi di 47euro al MWh. Ciò significa, in buona sostanza, che le Pmi e i cittadini pagano un’ulteriore tassa occulta gas ed elettricità rispettivamente 30 e 70% in più. Non solo: sempre secondo Ubs, l’Italia ha una capacità di importazione di gas di 113 miliardi di metri cubi annui, rispetto a consumi – al netto delle produzioni domestiche – di 70 milardi di metri cubi annui. Per questo, “liberando” i tubi di Snam da Eni, visto che per Ubs alcuni sono utilizzati soltanto al 20% della loro capacità, in teoria le tariffe si dovrebbero abbassare. 

Il rischio denunciato da Gorno Tempini non è certo campato per aria, ma l’operazione con la Cdp a molti sembra una svendita rispetto all’ipotesi asta, anche se va detto che in 18 mesi, tempo per completare il passaggio di proprietà, c’è tempo per convincere i fondi del Qatar e altri grandi investitori interessati agli ormai ex tubi di Eni. Per ora, sia in Cdp che a San Donato le bocche sono cucite, in attesa del comunicato che seguirà i consigli di amministrazione previsto per mercoledì prossimo, dove se ne dovrebbero vedere delle belle. Intanto, gli analisti hanno preso la calcolatrice. Secondo un recente report di Berenberg Bank, Snam è scambiata con uno sconto del 12% rispetto al cosiddetto Rab, acronimo che sta per “regulatory asset base”, letteralmente “il valore del capitale investito netto come riconosciuto dall’Autorità per l’energia elettrica e il gas alle società di trasporto e distribuzione al fine della determinazione delle tariffe applicabili”. Tradotto: il capitale investito per fornire il servizio. 

Terna, che si era fatta avanti in un primo momento, aveva messo sul piatto 3,5 miliardi per il 30% di Snam, e secondo gli analisti la Cdp si terrà vicina a quel prezzo. La società dei tubi ha un debito di 11 miliardi, in Piazza Affari capitalizza 11,3 miliardi, ha chiuso il 2011 con utili a 790 milioni, in calo rispetto agli 1,1 miliardi, e negli ultimi sei mesi, da quando cioè si è insediato il governo Monti, il titolo è dapprima salito da 3,32 a quota 3,7 euro, per poi ridiscendere agli attuali 3,16 euro (-21% a/a). Le azioni quotano a un multiplo di 11,5 volte gli utili, sopra l’inglese National Grid ma sotto Terna e la belga Elia (13x). I dividendi 2011 sono stati di 24 centesimi per azione, mentre nel piano industriale al 2015 il management prevede, per il 2012, un aumento del 4 per cento, oltre a investimenti, da qui al 2015, di 6,7 miliardi di euro, di cui 1,4 nel corso di quest’anno.

Multipli delle utilities europee secondo il fondo Knight Vinke

Knight Vinke, fondo inglese storico azionista di Eni, che da due anni esce periodicamente sui quotidiani finanziari con missive e valutazioni a favore dello scorporo di Snam, valuta la divisione Gas & Power del Cane a sei zampe tra 33,2 e 34,8 miliardi di euro, con Snam a quota 22,1 miliardi di euro (Rab), e il 30%, di conseguenza, pari a 6,6 miliardi di euro. Esattamente il doppio rispetto all’ipotesi Cdp. C’è di più: il costo del debito della società, grazie al boom dei corporate bond, soprattutto delle società regolamentate, è “solo” del 3,1% l’anno, che significa 300 milioni di euro circa, rispetto ad esempio al 5,6% di Telecom. Contemporaneamente, se i rendimenti del Btp aumentano, salgono anche i ricavi che derivano dalle bollette, secondo la formula dell’Authority per l’energia elettrica e il gas per determinare le tariffe. Ergo, le azioni dovrebbero riflettere questa situazione, invece scendono. Come mai? Cdp, per non incorrere in sanzioni Antitrust (il fondo F2i controlla già G6 Rete Gas) può acquisire soltanto il 25% di Snam. Il resto va prezzato sul mercato. Per questo, da inizio anno, la società perde oltre il 10% rispetto a Terna, società simile ma senza un “rischio piazzamento”, che guadagna il 5% in Piazza Affari. E considerando che le quote sul mercato si vendono “a sconto”, non è detto che per Eni non ci saranno altre sorprese. 

C’è poi la questione dividendi. Nel 2011 a Eni sono entrati circa 250 milioni di euro da Snam, e a sua volta il gruppo di San Donato ha girato alla Cdp, titolare del 26,37% del capitale, 1,1 miliardi di euro mentre a via XX Settembre, al 3,93% del capitale di Eni e a sua volta controllata dal Tesoro al 70%, sono andati 163 milioni. Se da un lato Eni risparmierà 300 milioni di spesa per interessi, oltre a 11 miliardi di debito che verrebbe azzerato, dovrà rinunciare a 500 milioni l’anno cash dalla controllata Snam. A leggere il testo del decreto, la ratio è di trasformare la società guidata da Carlo Malacarne, che è proprietaria dei tubi in cui transita il gas, a differenza di Terna, che mantiene i tralicci in concessione, in un hub europeo.

Dopo l’acquisizione, con la belga Fluxys, di Interconnector, che collega Olanda e Inghilterra, è molto probabile che torni sotto l’ombrello di Snam anche Tag, il gasdotto che collega l’Austria alla Siberia, ceduto – costretta dalla Commissione europea – da Eni esattamente un anno fa proprio a Cdp per 483 milioni di euro. Un’operazione che, ha detto Malacarne nel corso della presentazione dei risultati 2011, «avrebbe senso industriale». L’esito dei due cda, tra due giorni, offrirà maggiori dettagli, ma per ora è difficile sostenere che un passaggio di quote tra soggetti pubblici sia davvero meglio dell’asta. 

Twitter: @antoniovanuzzo

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