Nel quartiere Zen di Palermo, la scuola combatte la mafia

Nel quartiere Zen di Palermo, la scuola combatte la mafia

La prima presenza istituzionale nel quartiere Zen di Palermo è stata una scuola. Né un ospedale, né una caserma, né un ufficio postale ma neanche un negozio o una palestra. E quello che doveva essere il “giardino della civiltà” è oggi una discarica a cielo aperto, a pochi passi dall’Istituto Comprensivo Statale “Giovanni Falcone”. A questa scuola spetta il compito di togliere dalla strada ed educare alla legalità bambini e ragazzi cresciuti nella totale assenza di regole. Il preside della scuola, Domenico Di Fatta, riceve ogni anno per il suo istituto a rischio una indennità che, divisa tra tutti i docenti, si traduce concretamente in circa 100 euro a persona. Una somma simbolica che non ripaga e che non aggiunge valore alla lotta contro la dispersione scolastica. Per contrastare il fenomeno – secondo il preside – si dovrebbe guardare oltre le mura della “Giovanni Falcone”. «Solo recuperando il quartiere l’impegno della scuola non rischia di essere una lotta contro i mulini a vento», dice.

Preside, la vostra scuola è considerata a rischio?
L’Istituto comprensivo Falcone si trova all’interno dello Zen 2 e fa parte del quartiere San Filippo Neri. A Palermo tutti conoscono la situazione di illegalità che vige in zone come questa. Quotidianamente gli abitanti del quartiere delinquono e i nostri studenti spesso sono braccia sottratte alla malavita. Se abiti in una casa in cui non ti viene riconosciuto il diritto di abitare, non puoi pagare le utenze in quanto non detentore di un contratto di affitto, non sperimenti attività lavorative regolari in famiglia, difficilmente comprendi il concetto di legalità. Da qui deriva la nostra difficoltà nel proporre modelli educativi che si basino sul rispetto delle regole e dell’altro.

Una storia che in Italia non è nuova: quartieri nati dal nulla e poi abbandonati a sé stessi.
Il quartiere è costituito da due agglomerati di diversa origine storica e culturale. Lo Z.E.N. 1 (Zona Espansione Nord) risale al 1969 e venne creato per rispondere alla necessità di assicurare un’abitazione adeguata alle famiglie provenienti dai quartieri sovrappopolati della città, dopo il terremoto del 1968. Lo Z.E.N. 2 fu costruito invece all’inizio degli anni Ottanta in risposta alla crescita demografica e venne realizzato sulla base di un progetto architettonico in auge in quel periodo che intendeva ricreare una identità culturale attraverso edifici con una struttura che riproponesse le abitudini sociali dei vecchi “cortili”.

Risultato?
La creazione di padiglioni a ferro di cavallo, che hanno di fatto dato vita ad ambienti di convivenza forzata. Le nuove abitazioni sono state occupate abusivamente ancora prima di essere completate determinando rivalità tra gli abitanti del quartiere. Oggi, dopo più di vent’anni, gli abitanti non hanno un normale contratto di affitto e sono costretti a pagare una somma mensile a titolo di indennizzo, che non gli consente l’esercizio di alcun diritto in quanto non detentori di un titolo legalmente riconosciuto.

Il suo Istituto però è un piccolo segno di civiltà, non crede?
Sì, una civiltà che vive tra le discariche a cielo aperto. Basta farsi un giro per lo Zen per vedere come lo Stato sia assente. Da due mesi la presenza fisica di una caserma dei carabinieri e la postazione dei vigili urbani stanno ridando un senso a questo quartiere e stanno proteggendo la scuola da possibili raid.

La scuola, in effetti, è stata spesso presa di mira.
L’istituto è stato ripetutamente vandalizzato: negli ultimi due anni abbiamo avuto 38 raid. Tra gli episodi più gravi, l’incendio della scuola materna nel luglio 2009 e nello stesso mese la distruzione della palestra, oggi ancora senza sanitari. L’ultimo è stato lo sfregio al busto di Giovanni Falcone: naso rotto e scarabocchi vari. Ma in collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Palermo stiamo già procedendo al restauro.

Il ministero dell’Istruzione parla di digitalizzazione nelle scuole, ma voi avete un problema “sicurezza” più urgente da risolvere?
Il problema prioritario è quello di poterci dotare di un adeguato sistema d’allarme e di videocamere. Sul piano della digitalizzazione andiamo avanti: abbiamo tre laboratori d’informatica, due alla media e uno alla scuola elementare, e già dall’anno scorso abbiamo acquistato alcune lavagne interattive multimediali.

Ma tra raid e controllo della dispersione scolastica c’è spazio anche per la didattica?
Ci proviamo. Quest’anno la scuola si è distinta per alcuni progetti graziosi. Ad esempio, per i 150 anni dall’unità d’Italia abbiamo realizzato un video che è stato premiato dal Comune di Palermo e mandato a Torino per essere selezionato a livello nazionale. Poi dalle negatività cerchiamo di trarre sempre dei momenti di apprendimento: i nostri ragazzi assisteranno a tutte le fasi di restaurazione del busto sfregiato di Giovanni Falcone.

Un vostro alunno ha chiesto al ministro Profumo: «Se tu avessi figli e nipoti li manderesti in una scuola come questa?». Loro sono i primi a voler andare via?
La realtà di molti nostri studenti è estremamente disagiata: quasi tutti hanno un parente che ha avuto problemi con la giustizia e diventa complicato anche per noi poter avviare una azione educativa continua. Escono da scuola e si ritrovano di nuovo in mezzo alle barbarie.

Lei però continua a ringraziare il ministro Profumo?
La scuola materna incendiata è stata ricostruita con un finanziamento immediato del ministero dell’Istruzione e il ministro stesso ha promesso la creazione di un centro civico, con l’intento di coinvolgere non solo gli studenti, ma anche le famiglie. Il progetto di Profumo si propone di lasciare le scuole aperte tutti i pomeriggi per togliere i ragazzi dalla strada, che sono manovalanza per la criminalità.

Una curiosità. Sul vostro sito c’è il registro con le presenze e assenze di tutti i docenti: lei in un anno non è mai mancato una volta.
Il nostro metodo educativo si fonda sull’esempio. Prima ancora di insegnare le materie previste dal programma, cerchiamo di dare un modello di comportamento che fuori dalla scuola i ragazzi non troverebbero. Gli alunni, di conseguenza, sono molto attenti ai nostri modi di agire e notano tutto: la puntualità in classe, il rispetto delle regole e l’utilizzo delle parole. Ogni nostro discorso non può essere trascurato.

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