I partiti politici hanno un loro tempo. Marcano un tempo, lo egemonizzano, comunque ne sono protagonisti e poi a un certo punto iniziano a flettere. Nella storia italiana è capitato molte volte. È capitato e continua ad accadere in tutti i sistemi politici. Ma se in Italia il problema è che ogni volta si configura un nuovo club (il che significa simboli nuovi, sigle nuove,…) a differenza di altri paesi dove il contenitore mantiene una sua continuità, ma modifica radicalmente parte del suo programma, allora si deve prendere in considerazione che abbiamo un problema non tanto procedurale, quanto strutturale.
Il fatto che partiti tradizionali, o con una storia lunga dietro le spalle, vadano giù non è un problema. Costituisce un problema che ogni volta questo avvenga con la spasmodica ricerca di un nuovo “papà carismatico”. Il problema sta qui e forse indica che l’anomalia italiana non sono i partiti politici , ma ciò che noi cerchiamo nei partiti politici.
Gaetano Salvemini, La parabola dei partiti è nelle cose e non coincide con la politica dell’affidamento.*
Bisogna distinguere bene nettamente fra la preparazione tecnica necessaria all’eletto, e la capacità politica necessaria all’elettore. Chi si presenta candidato e chiede il voto, quello sì che deve esser fornito di una notevole dose di coltura, per essere capace di risolvere i problemi della pubblica amministrazione. E i partiti, che sono sforniti di uomini tecnici, come sono purtroppo molto spesso i partiti democratici, anche se hanno dietro di sé il numero, anche se riescono a conquistare i poteri pubblici, ben presto si avvedono di non potervisi rimanere, perché non sanno da che parte rifarsi, commettono errori su errori, e alla fine sono scacciati dagli uffici, che hanno potuto conquistare, ma non sono capaci di conservare. L’elettore, invece, non ha l’ufficio di risolvere i problemi, ma quello più modesto di farli sentire ai pubblici poteri e di esigerne la soluzione.
I problemi sociali e politici non nascono dalla cultura e dalla competenza tecnica degli individui, bensì dai bisogni, sempre rinnovantisi, delle classi sociali; e la soluzione è imposta dalla pressione delle classi interessate, ed è sotto questa pressione che i tecnici cercano la soluzione. C’è nel processo storico una divisione del lavoro: le masse – e s’intendono per masse non solo quelle dei “non istruiti” ma anche quelle degli “istruiti” – si muovono sospinte non dalle idee, che per esse non esistono, ma dai bisogni materiali bruti o meglio dalla inquietudine che nasce dalla insoddisfazione di questi bisogni; e i partiti politici – minoranze organizzate, individui più o meno ciarlatani – si sforzano a soddisfarli con soluzioni tecniche determinate.
Questo lavoro avviene quasi sempre confusamente, bestialmente, a zig zag; di tanto in tanto un uomo superiore vede più chiaramente i nuclei fondamentali dei problemi, mette a servizio della soluzione migliore lo sforzo del pensiero e della sua volontà, e accelera il processo delle nuove formazioni; il più delle volte è la concorrenza fra i partiti, che, attraverso sperperi enormi di tempo e di tentativi, fa prevalere le soluzioni meno lontane dai bisogni delle masse. In tutti i casi, finisce col prevalere quel partito, le cui idee e la cui azione meglio soddisfano i bisogni di quelle classi o di quei gruppi, che hanno maggior peso sociale. E molte volte avviene che, risoluto per opera di un partito un dato problema, questo partito è incapace di sentire i problemi nuovi, è scavalcato da nuovi partiti formatisi sotto la pressione dei nuovi bisogni, si dibatte invano per alcuni anni dinanzi ai nuovi venuti evocando il ricordo dei servigi resi nel passato, alla fine si discioglie.
* Gaetano Salvemini, Gli elettori analfabeti, in “l’Unità”, I, n. 21, 4 maggio 1912, p. 83