Quando in Pirelli il capo diceva: “L’ad è responsabile di tutto”

Quando in Pirelli il capo diceva: “L’ad è responsabile di tutto”

«Credo fermamente che in un gruppo delle nostre dimensioni (ma penso che il concetto sia estendibile anche a unità più piccole) il chief executive officer debba farsi affiancare da collaboratori professionalmente capaci e moralmente ineccepibili» scriveva Leopoldo Pirelli nelle sue «10 regole dell’imprenditore», in cui indicava le linee guida per la gestione e la selezione del management per il gruppo ora guidato da Marco Tronchetti Provera. «Sono convinto – scriveva Pirelli al punto 6 – che un imprenditore debba essere onesto nel senso più pieno della parola (non basta cioè che non rubi e non dia falsa testimonianza). Parlando di onestà in senso lato, penso ad un determinato comportamento verso azionisti e dipendenti, ma anche verso clienti, fornitori, concorrenti, fisco, partiti e mondo politico». Quelli qui sotto sono estratti da un pezzo de L’Espresso di questa settimana. L’articolo di Paolo Biondani si intitola «Ecco tutte le spiate di Telecom» e ricostruisce, carte alla mano, i risultati delle 1.500 pagine del rapporto Deloitte varie vicende fra cui quella dei dossier illegali e quella delle sim false:

I padroni del vapore non pagano mai. La Procura di Milano ha fatto cadere il muro di segretezza che dal dicembre 2010 copriva un pezzo di storia del capitalismo italiano: la scelta dei vertici di Telecom di non chiedere alcun risarcimento ai precedenti top manager guidati da Marco Tronchetti Provera, il numero uno della Pirelli, che conquistò il gruppo telefonico nel luglio 2001. Finora si sapeva solo che la gestione Tronchetti era stata passata al setaccio dalla società di revisione Deloitte. Il rapporto finale però è rimasto riservato: nonostante le richieste degli azionisti di minoranza, ha potuto leggerlo solo il consiglio d’amministrazione. Solo ora è diventato pubblico, con la chiusura dell’inchiesta penale sulle sim card gonfiate, nata proprio da quei controlli.

Il rapporto integrale della Deloitte (più di 1.500 pagine) analizza tutti i problemi giudiziari che hanno colpito il colosso telefonico negli anni di Tronchetti: lo scandalo dei dossier spionistici di Pirelli e Telecom, le maxi-evasioni fiscali della controllata Sparkle, la scoperta di 6,8 milioni di schede dei telefonini intestate a clienti inesistenti e un nuovo filone d’indagine, che riguarda traffici sospetti con società di San Marino. Il capitolo più corposo è sulle deviazioni della security: l’apparato spionistico organizzato da Giuliano Tavaroli, l’ex carabiniere chiamato da Tronchetti prima alla Pirelli e poi a Telecom. Tavaroli e molti altri indagati come l’informatico Fabio Ghioni, arrestati tra il 2006 e il 2007, hanno confessato e sono stati già condannati.  

Tronchetti è indagato solo dall’anno scorso e solo per alcune “operazioni”, come le presunte corruzioni in Brasile che nel 2004 decisero un memorabile scontro con gli investigatori della Kroll. Nonostante nove mesi di carcere preventivo, Tavaroli ha sempre difeso Tronchetti, che a sua volta ha giurato di non essere stato “mai informato delle attività illecite”. Nei giorni scorsi, dopo i giudici milanesi, anche la Cassazione ha giudicato “elusiva” e “poco credibile” l’autodifesa di Tronchetti. Ma l’inchiesta penale resta in salita: l’accusa dovrebbe dimostrare una complicità piena nei reati. Per chiedere un risarcimento civile, invece, basta molto meno: ad esempio, è sufficiente provare che non c’erano controlli sulle spese. Per questo il rapporto Deloitte elenca decine di “indicatori di possibile percezione e condivisione degli illeciti con il vertice aziendale”. 

«Resta chiaro tuttavia – scrive ancora Leopoldo – che   qualunque sia il grado di delega, il chief executive officer rimane responsabile di tutto quello che succede nel gruppo, perché è lui che ha scelto gli uomini e dato le deleghe e, quindi, li copre sempre e comunque». Ma torniamo all’articolo dell’Espresso: 

I costi per le “consulenze investigative”, per cominciare, esplodono con l’arrivo di Tavaroli, passando da 3 milioni a oltre 21, e ogni anno sforano il budget (anche del doppio). In totale i collaboratori esterni della security, poi arrestati, incassano più di 58 milioni di euro. Il rapporto esamina otto blocchi di “anomalie” che avrebbero dovuto allarmare i capi-azienda: si va dagli investigatori pagati “su conti esteri, tramite società non trasparenti, con fatture in codice che non spiegano la prestazione” alle “buste di contanti consegnati alla lobbista che teneva i rapporti coi politici”.

Nonostante le prime segnalazioni interne (dicembre 2003), Tavaroli continua a essere autorizzato a strapagare gli investigatori-spioni con “procedura semplificata e riservata”, cioè senza controlli e senza neppure conservare la documentazione. E intanto allarga i suoi poteri alle intercettazioni giudiziarie, che prima dipendevano dall’ufficio legale, come denunciò “l’Espresso” già nel dicembre 2004. Solo dopo essere stato indagato e perquisito, nel luglio 2005 Tavaroli viene mandato via con una liquidazione di 790 mila euro, ma continua a essere stipendiato come “consulente sia di Telecom che della Pirelli in Romania”. In aggiunta, a lui e ad altri condannati, come il responsabile degli attacchi informatici Ghioni, l’azienda concede un “salvacondotto”: la garanzia di non dover risarcire nessuno. E paga pure i loro avvocati, versando oltre 1,7 milioni ai principali indagati nel pieno dell’inchiesta.

Il rapporto enumera 550 operazioni di dossieraggio che hanno colpito circa 4.200 persone fisiche e decine di società. E avverte che diverse vittime, dall’ex dirigente Vittorio Nola al calciatore Bobo Vieri, hanno chiesto risarcimenti per oltre 117 milioni di euro, che si aggiungono a 12 di spese legali e a più di 20 di pendenze fiscali. Gli investigatori-spioni Bernardini e Cipriani sono pure riusciti a incassare 13 milioni per “prestazioni non documentate”. E altri 6 milioni sono finiti a “fornitori non noti”. 

«Pur essendo il capo – scrive ancora Leopoldo, al punto 5 delle “10 regole dell’imprenditore” – il chief executive officer deve cercare di capire il personaggio umano che sta nei suoi colleghi [….] se un collega non si dimostra all’altezza dei comiti affidatigli , è lui il chief executive officer, che ha sbagliato per primo affidandoglieli». 

L’istruttoria della Deloitte rivela che Telecom riceveva richieste di “dati telefonici riservati” anche da “aziende esterne”, tra cui Fondiaria del gruppo Ligresti e altre società “collegate a Tronchetti”, come Inter, Olivetti e naturalmente Pirelli. Mentre il giro di vite sui costi della security viene deciso solo dopo le dimissioni di Tronchetti. […..]

L’attuale vertice di Telecom aveva affidato allo studio Paul Hastings l’incarico di valutare il rapporto Deloitte. Il verdetto sembrava negativo: secondo i legali c’erano tutti gli estremi per un’azione di responsabilità contro l’ex presidente Tronchetti e l’ex amministratore Carlo Buora, accusati di aver violato almeno tre dei quattro “obblighi generali di vigilanza aziendale”. Prima di decidere, però, il consiglio ha preferito sentire un altro esperto, il professor Franco Bonelli, che con un parere individuale di 19 pagine ha bocciato la proposta. Secondo l’autorevole avvocato, “le probabilità di condanna civile appaiono assai incerte” per “mancanza di precedenti” e per “difficoltà di provare specifici inadempimenti”: “L’aver gestito in modo inefficiente e dannoso non determina di per sé la responsabilità degli amministratori”. Una tesi che il board di Telecom ha approvato, il 16 dicembre 2010, con il solo voto contrario dell’economista Luigi Zingales. E così, almeno per Tronchetti, l’incidente è chiuso: l’azione di responsabilità “si è prescritta nel settembre 2011”, cinque anni dopo le dimissioni.
 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter