Referendum “anticasta” in Sardegna: quorum superato

Referendum “anticasta” in Sardegna: quorum superato

L’abolizione delle province è al centro del dibattito politico italiano ormai da anni. È diventata un simbolo della lotta ai costi della politica, a prescindere dall’impatto (rilevante o pressoché nullo, a seconda di chi fa i conti) che potrebbe avere sui conti pubblici. Il governo Monti ha affrontato la questione nel decreto “salva-Italia”, ma di fronte all’impazienza dei cittadini c’è chi ha pensato di anticipare i tempi.

In Sardegna il 6 maggio, mentre molti comuni italiani saranno coinvolti nel voto amministrativo, si terranno 10 referendum, 5 consultivi e 5 abrogativi, che potrebbero avere un forte impatto politico, anche a livello nazionale. I cinque abrogativi riguardano l’abolizione delle nuove province istituite nel 2004, Carbonia-Iglesias, Medio Campidano, Ogliastra e Olbia-Tempio, mentre quelli consultivi chiedono agli elettori, tra le altre cose, se sono favorevoli all’abolizione anche delle altre province, Sassari, Nuoro, Cagliari e Oristano.

I promotori dei quesiti appartengono a diversi schieramenti politici, dal Pd Arturo Parisi al presidente Pdl Ugo Cappellacci, passando per i Riformatori Sardi, formazione di centrodestra vicina a Mario Segni, anche lui tra i sostenitori della consultazione. La raccolta firme, iniziata a fine novembre 2011, è stata un successo: in un mese e mezzo sono state raccolte 30mila firme, il triplo del necessario. Ora la sfida per i promotori (che lamentano una scarsa copertura mediatica) è quella di convincere il 33%+1 di un milione e 300mila cittadini sardi a recarsi alle urne, per superare il quorum. L’accorpamento con le elezioni comunali, sostenuto dai referendari e per cui sarebbe servita una legge regionale, è saltato. Il voto per il rinnovo dei sindaci si terrà il 10 e l’11 giugno.

Contro l’iniziativa referendaria si è mossa l’Unione delle Province Sarde (Ups), prima con un ricorso al Tar Sardegna, che ha dichiarato la propria incompetenza, poi al Tribunale civile, che ha respinto, e nuovamente alla giustizia civile per contestare la decisione dei giudici. Anche diversi esponenti del mondo politico hanno mostrato di non apprezzare il ricorso al referendum, contestando da un lato l’inadeguatezza del mezzo, dall’altro il paradosso di politici che ricoprono incarichi di governo locale, e che invece di legiferare appoggiano strumenti di democrazia diretta.

Un eventuale esito positivo del referendum potrebbe creare dei problemi di coordinamento con la legislazione nazionale, modificata dal governo Monti nel decreto “salva-Italia”. In base alle norme contenute nel provvedimento, le province diventeranno dei semplici organi di raccordo delle attività dei Comuni che ne fanno parte. I membri del consiglio provinciale, per cui è fissato un numero massimo (per ora 10, ma il ddl Cancellieri povrebbe aumentarlo per quelle più popolose), e il presidente della provincia non saranno più eletti dai cittadini, ma dai rappresentanti dei Comuni, e non avranno stipendio ma solo un rimborso spese. Contro queste novità, gli enti locali hanno presentato ricorso alla Corte Costituzionale, ritenendo violate le proprie prerogative sancite nella Carta fondamentale.

Per l’entrata in vigore del nuovo sistema si dovrà aspettare una legge statale per le Regioni ordinarie, e una regionale per quelle a statuto speciale. Intanto, i consigli provinciali che vanno a naturale scadenza non vengono rieletti, ma commissariati in attesa dell’entrata a regime del nuovo ordinamento. In questa tornata elettorale non si voterà per il rinnovo delle province di Ancona, Belluno, Como, La Spezia, Genova e Vicenza (per le Regioni a statuto ordinario) e di Caltanissetta, Ragusa e Cagliari (per le Regioni a statuto speciale).

Dalla Sardegna si aspetta, o si teme, soprattutto un voto referendario di protesta contro la politica in generale. E le province, la cui abolizione è sul piatto da anni ma, nonostante questo, continuano ad aumentare di numero, potrebbero diventare il classico capro espiatorio dell’indignazione popolare. Con tutto che la loro abolizione è stata “consigliata”, appena pochi giorni fa, anche dalla Banca Centrale Europea.

Entra nel club, sostieni Linkiesta!

X

Linkiesta senza pubblicità, 25 euro/anno invece di 60 euro.

Iscriviti a Linkiesta Club