BRUXELLES- Barack Obama non l’ha nominata, ma il riferimento anzitutto ad Angela Merkel è chiaro. «L’Europa – ha detto a Seattle il presidente Usa – è ancora in una condizione difficile in parte perché non ha preso alcuno dei passi decisivi presi da noi all’inizio di questa recessione». L’allusione è agli stimoli alla crescita, al quantity easing della Federal Reserve e alla moderazione nelle politiche di austerity. Il contrario, in sostanza, del corso imposto dal cancelliere tedesco al resto d’Europa, paesi in difficoltà in primo piano. A difendere la Merkel ci ha provato il commissario agli Affari economici Olli Rehn, proprio mentre presentava le tristi previsioni economiche di primavera, che fotografano un’eurozona in recessione, salvo pochi (tra cui la Germania). «Dire che la strategia di risanamento non funziona è semplicistico», ha dichiarato.
Il fatto è però che il messaggio di Obama si inserisce in un coro sempre più folto, che ha visto tra i “cantori”, oltre al neo-presidente francese François Hollande, ad esempio anche il Fondo Monetario Internazionale, che lo scorso aprile ha avvertito che se «un insufficiente consolidamento di bilancio potrebbe agitare i mercati finanziari», d’altro canto «troppa austerity rischia di minare la ripresa e, in questo modo, potrebbe ugualmente suscitare le preoccupazioni dei mercati». Potremmo ricordare Mario Monti che a Bruxelles avvertiva un paio di settimane fa che «di per sé, risanamento di bilancio e misure strutturali non generano crescita, serve domanda». Il tutto mentre il leader Spd – possibile alleato di governo della Merkel dopo il voto del 2013 – attacca: «la strategia condotta da Angela Merkel e Nicolas Sarkozy è del tutto fallita».
Angela Merkel è insomma, in qualche modo isolata – per quanto si possa isolare la leader della massima potenza economica, e ormai anche politica, del Vecchio Continente. La stampa tedesca comincia a domandarsi preoccupata se non stiano rinascendo vecchi odi verso il paese. «In Germania – dice a chi scrive un diplomatico tedesco – cominciamo a ricordarci con chiarezza che abbiamo bisogno dell’Europa».
E a conferma che finora le cosa non vadano bene, sono arrivate proprio ieri le previsioni di primavera della Commissione Europea, che vedono l’eurozona in media con un Pil in calo dello 0,3% per il 2012 (contro un +0,5% delle previsioni d’autunno), e con un ritocco al ribasso anche della crescita tedesca (+0,7% invece di +0,8%). E così dalla granitica Berlino qualcosa, sia pure in modo estremamente cauto, si sta muovendo, anche se, certo, la Merkel continua a rigettare tout court strumenti come gli eurobond e a dire che non si può costruire la crescita sui debiti.
Il caso che maggiormente ha attirato l’attenzione anche mediatica riguarda l’inflazione. La Bundesbank, tre giorni fa, in una presa di posizione scritta di fronte al Bundestag, per la prima volta ha ammesso che «la Germania in futuro potrà trovarsi ad avere un’inflazione superiore alla media in seno all’Unione Monetaria». Solo pochi mesi fa la stessa Bundesbank e il suo presidente Jens Weidmann avevano lanciato allarmi sui rischi di una «bolla» in Germania invocando misure per raffreddarla, lamentando la politica troppo «generosa» dei tassi Bce. Ieri, del resto, il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha sostenuto la Bundesbank e ha definito «tollerabile» un’inflazione in Germania «in un corridoio tra il 2 e il 3%». «Alla Bundesbank – dice una fonte tedesca a chi scrive – si sono finalmente resi conto che continuare a invocare una stretta sul fronte dei tassi da parte della Bce in questa fase sarebbe drammatico per i paesi in difficoltà». Non è poco.
Su un altro aspetto meno reclamizzato, del resto, dalla Germania arrivano segnali incoraggianti: quello degli squilibri tra i vari paesi. Finora la domanda interna tedesca è stata relativamente bassa, a detrimento dei partner, con forti polemiche soprattutto da parte francese. Ebbene, un po’ a sorpresa, qualche giorno fa lo stesso Schäuble ha fatto un’apertura molto interessante: «Va benissimo – ha dichiarato – se in Germania i salari crescono più in fretta che in altri paesi Ue. Questi aumenti salariali servono a ridurre gli squilibri interni all’Europa». Del resto, la Cdu ha aperto alla richiesta dell’Spd di un salario minimo, che in alcune categorie (soprattutto nei servizi) manca.
E poi, se Berlino si prende l’orticaria solo a sentir parlare di eurobond, altra cosa è la questione dei Project Bond – titoli emessi dall’Ue (in particolare dalla Banca Europea per gli investimenti), a copertura e garanzia di un quinto di grandi progetti infrastrutturali europei, per attirare grandi investitori internazionali. È un cavallo di battaglia della Commissione Europea. «Si tratta di uno strumento per attirare investimenti – ha detto giorni fa Peter Altmaier, capogruppo Cdu/Csu al Bundestag ed ex funzionario Ue – ed è tutt’altra cosa degli eurobond. Aspettiamo le proposte della Commissione».
Segnali ancora timidi, certo, e sarebbe sbagliato aspettarsi dal governo di Angela Merkel una inversione di 180 gradi. Sul principio del rigore non cambierà, ma da Berlino comincia a intravedersi una strada, per quanto molto stretta, per allentare la morsa e fare spazio almeno a nuovo prospettiva per la crescita. Certo è soprattutto che da Berlino si sente finalmente una maggiore attenzione per il quadro europeo, con qualche disponibilità in più a qualche concessione, anche con qualche sacrificio a livello nazionale. «Non vogliamo fare la parte dei cattivi», scriveva giorni fa il settimanale Die Zeit.