È ufficiale: il nuovo azionista di riferimento di Snam Rete Gas non sarà più Eni ma la Cassa depositi e prestiti (Cdp), controllata dal ministero dell’Economia, e a sua volta controllante di Eni. I consigli di amministrazione del Cane a sei zampe e dell’ente guidato da Giovanni Gorno Tempini hanno dato il loro via libera all’operazione. Nel dettaglio: Cdp rileverà una partecipazione del 30% meno un’azione del capitale di Snam, valorizzandola 3,5 miliardi di euro, un corrispettivo, si legge sul comunicato, «pari a circa 3,517 miliardi, determinato sulla base di un prezzo per azione di 3,47 euro: tale valore – supportato dal parere di congruità rilasciato dall’advisor finanziario Goldman Sachs – è allineato alla media ponderata dei prezzi ufficiali del titolo Snam tra il 26 aprile e il 25 maggio 2012 (data di emanazione del Dpcm), maggiorata di un premio del 3%, in relazione alla circostanza che si tratta della quota di maggioranza relativa delle azioni della società».
Il closing dell’operazione, subordinato al nulla osta dell’Antitrust, è previsto per il prossimo ottobre, data in cui Cdp pagherà a Snam la prima tranche da 1,7 miliardi di euro (le altre due, da 879 milioni di euro, saranno liquidate rispettivamente entro il 31 dicembre 2012 e il 31 maggio 2013). La copertura finanziaria, per 2 miliardi di euro, deriva «dal corrispettivo della cessione sul mercato di circa il 3% di azioni Eni, eccedenti la soglia del 30% più 1 azione detenuta da Cdp congiuntamente al MEF (una volta ricevuto il via libera di quest’ultimo e una volta effettuato l’annullamento di azioni proprie Eni e il buyback annunciati in data odierna, ndr)», più eventuali flussi di cassa dalla cessione di asset e dividendi.
Oggi Eni è controllata da Cdp con il 26,3% e dal Mef al 3,9%, ma Cdp metterà sul mercato il 3% del 30,3% detenuto congiuntamente con il ministero dell’Economia (oggi Eni è controllata da Cdp con il 26,3% e dal Mef al 3,9%), una volta che Eni riacquisterà il 10% delle azioni proprie e annullerà le azioni Snam, di cui detiene il 52%, «per un esborso massimo di circa 6 miliardi di euro (Eni capitalizza circa 60 miliardi, ndr)», come si legge sul comunicato del Cane a Sei Zampe. L’operazione sarà sottoposta all’assemblea ordinaria e straordinaria convocato per il prossimo 16 luglio.
Questo per quanto riguarda i contorni dell’accordo. I piccoli azionisti della società guidata da Paolo Scaroni escono con le ossa rotte. Primo perché rinunciano a 25 centesimi di dividendi originati da Snam, che su 3,47 euro (prezzo di un’azione Snam) significa un rendimento del 7,2 per cento. Niente male, di questi tempi. Secondo perché la valutazione della compagnia dei tubi è sì maggiorata di un 3%, premio comunque molto basso, ma implica uno sconto sulla Rab, cioè sul capitale investito per fornire il servizio, di circa il 50% rispetto alla valorizzazione del fondo inglese Knight Vinke, che peraltro alcuni operatori considerano conservativa. Terzo, nell’ultimo mese, nel periodo cioè preso in considerazione per stimare il premio, il titolo ha ceduto il 12,6%, quindi – legge normale di Borsa – quota già oggi a sconto. Quarto, Eni dovrà vendere il 22% di Snam che gli rimane in pancia. «Cercheremo chi valorizza di più le nostre azioni», ha detto oggi Scaroni, aggiungendo: «Se penseremo che a farlo è il mercato retail cercheremo il mercato retail». Un compito non facile.
Negli ultimi sei mesi, da quando cioè si è insediato l’esecutivo Monti, Snam ha ceduto il 6,11%, mentre Terna ha guadagnato il 6,08 per cento. Certo, c’è un anno e mezzo di tempo per chiudere il deal, ma il rischio svendita è altissimo, soprattutto in una situazione macroeconomica ricca d’incognite. Insomma, nel governo dei banchieri vince lo Stato, insieme compratore e venditore, ma non è detto che vinca il mercato.