In Italia la corruzione non è un problema, è un dramma. Secondo un recente calcolo della Corte dei Conti, rappresenta una tassa occulta di 60 miliardi di euro all’anno per il Paese (1.000 euro per ogni cittadino). L’organizzazione internazionale Transparency International mette l’Italia tra i paesi più corrotti nel mondo occidentale. Le inchieste, più o meno recenti, sul mondo della politica e dell’imprenditoria, ma non solo, hanno fatto dichiarare al procuratore milanese Francesco Greco che «stiamo peggio ora che nel ‘92».
Il disegno di legge “anti-corruzione” in discussione alla commissione giustizia della Camera dovrebbe essere della massima urgenza. Eppure se ne parla dal 2009 e nessun risultato è ancora stato ottenuto. La giustizia rimane un tema scottante, non ancora uscito dalla logica della contrapposizione tra berlusconiani e antiberlusconiani che ha dominato gli ultimi venti anni. Proprio in questi giorni i partiti si stanno scambiando accuse infuocate, col centrosinistra che accusa il Pdl di ostruzionismo al provvedimento, e il Pdl che accusa il centrosinistra di giustizialismo. Nel ddl è previsto un aumento generale delle pene – oltre l’introduzione di nuove forme di reato e la razionalizzazione delle esistenti – e questo è inaccettabile per molti berlusconiani. Amedeo Laboccetta, Pdl, sostiene che una simile riforma sarebbe incostituzionale, perché violerebbe «i principi della ragionevolezza e della proporzionalità».
Assistendo a questa “scazzottata” politica si ha la sensazione che la politica non sappia, o finga di non sapere, che il problema principale per la corruzione in Italia è un altro. Si tratta della prescrizione. La maggioranza dei processi per corruzione si prescrive per decorrenza dei termini, senza che si arrivi a una condanna definitiva. Dopo la riforma ex-Cirielli (“ex” perché disconosciuta dallo stesso Cirielli), durata della prescrizione è uguale o al massimo della pena prevista per il reato, aumentato di un quarto nel caso sopravvenga un “evento interruttivo”, o a sei anni per i delitti e quattro per le contravvenzioni. Tra i due criteri prevale quello che dà un termine più lungo.
Quindi un aumento delle pene avrebbe anche un effetto sui tempi della prescrizione, ma non determinante. Se venisse approvato, la prescrizione per il reato di corruzione propria, invece di intervenire dopo 7 anni e mezzo (sei anni più un quarto, essendo un delitto punito con una pena a cinque anni di reclusione), arriverebbe dopo 8 anni e nove mesi (la pena infatti viene aumentata a 7 anni, quindi la prescrizione decorre dopo 7 anni più un quarto). Tenuto conto che, in base ai dati contenuti nella “Relazione sull’amministrazione della giustizia nel 2011” della Cassazione, un processo penale in Italia dura mediamente 4 anni dalla sua apertura (quindi bisogna aggiungere il tempo delle indagini preliminari, da 6 mesi a 2 anni), e che la prescrizione inizia a decorrere dalla commissione del reato, questo comporta che attualmente vanno prescritti i casi di corruzione scoperti a distanza di 2 o 3 anni e dalla commissione. Con la nuova legge si arriverebbe a 3 o 4 anni circa dalla commissione. Una persona che ne abbia corrotta un’altra nel 2007 e venisse scoperta oggi, avrebbe la quasi certezza di rimanere impunito per il sopraggiungere della prescrizione, e con la nuova disciplina il cambiamento sarebbe minimale.
Dunque sulla prescrizione è necessario un intervento ben più in profondità da parte del legislatore. Sollecitato, peraltro, anche in sede internazionale. Il termine breve della prescrizione italiana è infatti in contrasto con la “Convenzione Onu contro la corruzione”, ratificata dall’Italia nel 2009. Di recente si sono espressi per chiedere una modifica dell’attuale disciplina sia l’Ocse sia il “Gruppo di Stati del Consiglio d’Europa contro la corruzione” (Greco). Se ci fosse la volontà politica per una riforma complessiva dell’istituto – improbabile, considerato che durante questa legislatura il precedente governo voleva che i tempi della prescrizione venissero addirittura ridotti – si potrebbero prendere spunti dagli ordinamenti giuridici stranieri simili al nostro. Esclusi quindi gli Stati di tradizione anglosassone, dove vige il common law, che non conosce un istituto paragonabile alla prescrizione, si può guardare ai principali Paesi europei con una tradizione giuridica simile a quella italiana.
Francia
Come spiega il dottor Paolino Ardia, esperto di diritto penale, in Francia l’azione penale si prescrive in 10 anni dalla commissione del reato per i “crimini” (i reati più gravi), in 3 anni per i “delitti” e in un anno per le “contravvenzioni”. A differenza dell’ordinamento italiano, quello francese prevede che il termine di prescrizione venga interrotto da qualsiasi atto di istruzione o di accusa. Quindi se una persona viene indagata e il processo procede, anche lentamente, la prescrizione non può intervenire. Devono passare dieci anni dal compimento dell’ultimo atto dotato di efficacia interruttiva perché l’azione si prescriva.
Germania
Anche in Germania la prescrizione è scaglionata in base alla gravità dei reati. Imprescrittibili i reati di genocidio e omicidio, si prescrivono in 30 anni dalla commissione i reati puniti con l’ergastolo, in 20 quelli puniti con più di 10 anni di carcere, in 10 quelli puniti con più di 5 anni di carcere (e sarebbe il caso della corruzione, in base alla pena prevista in Italia) e via dicendo. «E’ di sicuro rilievo», sostiene il dottor Ardia, «la disciplina della sospensione del corso della prescrizione. La disposizione di maggior interesse è quella che prevede la sospensione nei casi in cui venga pronunciata una sentenza di primo grado». In tal caso il termine di prescrizione rimane sospeso fino a che il processo non viene concluso definitivamente. Rispetto all’Italia quindi non solo esiste un termine più lungo (10 anni rispetto a 7 anni e mezzo), ma una disciplina che garantisce ai giudici tutto il tempo necessario per concludere il processo, se si è giunti nei tempi previsti alla sentenza di primo grado.
Spagna
La Spagna, come la Germania, prevede termini di prescrizione regolati in base alla gravità del reato. Nel caso di un reato punito con più di cinque e meno di dieci anni di reclusione (come nel caso della corruzione in Italia), il termine è di 10 anni dalla commissione. E con una disciplina simile a quella tedesca, anche la Spagna prevede che la prescrizione si interrompa se viene aperto un procedimento nei confronti del colpevole. «In pratica», illustra il dottor Ardia, «il termine di prescrizione viene congelato durante tutta la durata del processo sino alla pronuncia di una sentenza di condanna, salvo sospensione del procedimento».
Se l’Italia volesse attingere alle tradizioni giuridiche di Paesi con sistemi affini al nostro, oltre ad un aumento dei tempi di prescrizione, potrebbe prevedere una nuova disciplina dell’interruzione del termine di prescrizione. Questo avrebbe un impatto determinante sulla lotta alla corruzione. Una delle distorsioni evidenti del sistema attuale, segnalata da diversi operatori del diritto, sono le tattiche dilatorie degli avvocati che mirano a far scadere il termine. Queste non avrebbero più senso in un sistema che sospende la prescrizione con l’incriminazione, o al compimento di un qualsiasi atto processuale. Anche il carico dei procedimenti sui tribunali risulterebbe alleggerito. Non potendo sperare nella prescrizione durante il corso del processo, molti imputati troverebbero conveniente accedere ai riti alternativi, che impiegano meno risorse del sistema giudiziario e in cambio concedono delle riduzioni di pena agli imputati che vi ricorressero. Regolando meglio la prescrizione sarebbe possibile velocizzare i tempi della giustizia in Italia, spesso condannata in Europa per la durata eccessiva dei processi. La persecuzione della corruzione – la cui disciplina complessiva è comunque un bene che venga rivista – diventerebbe più agevole e si otterrebbe un effetto deterrente. Meglio, si eliminerebbe la quasi certezza dell’impunità per corrotti e corruttori.
Leggi anche: