Mi consentoAdesso Bersani faccia il leader, o taccia per sempre

Adesso Bersani faccia il leader, o taccia per sempre

“Chissà quando Bersani capirà che è inutile accarezzare i cani che ti vogliono azzannare”. Lo ha scritto qualche giorno fa Antonio Polito su Twitter. Mai cinguettio fu più azzeccato. Il segretario del Pd dovrebbe stamparlo, incorniciarlo e appenderlo alla parete della sua stanza. Di fronte alla scrivania. Deve guardarlo più volte al giorno, prima e dopo i pasti. È giunto il momento in cui Pier Luigi Bersani da Bettola – provincia di Piacenza – smetta i panni dell’equilibrista e del conciliatore a oltranza, e prenda la sua strada.

Che gli piaccia o no, Bersani è alla guida del partito nettamente favorito per le prossime elezioni. Non lo dicono solo i sondaggi e nemmeno i risultati elettorali delle recenti amministrative. Tanti sono i segnali. Su tutti, l’interesse che il Pd sta suscitando negli opinion leader del Paese. Ieri Eugenio Scalfari, nel suo liturgico editoriale domenicale, ha di fatto tracciato la linea al segretario. Trattandolo alla stregua di uno scolaretto, né più né meno. Ricordandogli i compiti da fare per arrivare preparato agli esami e bacchettandolo qua e là per gli strafalcioni commessi: da Penati alle nomine alle Authority, senza risparmiargli la tirata d’orecchi per la mancata epurazione dei guastatori Fassina e Orfini. Alcuni annoverabili tra gli errori di distrazione, altri dovuti alla mancanza di impegno e concentrazione, altri, invece, addirittura a un’incoscienza che potrebbe costare cara a lui e al Paese.

Non mancando però, da buon educatore, di elogiarlo per i progressi compiuti e per l’impeccabile svolgimento di alcuni compiti in classe. Leggete questo passaggio: “Sulle altre questioni, programma, legge elettorale, rinnovamento del gruppo dirigente, eventuali liste civiche collegate al partito e infine elezioni primarie per l’elezione del capo del partito, Bersani è stato chiaro e determinato riscuotendo a buon diritto l’unanimità dei consensi”. E qui già ce lo immaginiamo il segretario a petto in fuori pronto a ricevere la coccarda dal maestro.

Oggi, con tono meno cattedratico e non senza sostanziali ragioni, Michele Salvati si inserisce nel solco tracciato da Scalfari e sul Corriere definisce irresponsabili quei partiti che per logiche miopi arrivano a minacciare l’appoggio che fin qui, invece, responsabilmente stanno offrendo a un pur non perfetto governo Monti.

Si può essere d’accordo o meno, ma un dato sembra inequivocabile: l’attenzione è tutta sul Pd. Soltanto un suicidio potrebbe far perdere al partito nato cinque anni fa il diritto a governare l’Italia per i prossimi cinque anni. Ma se vuole essere davvero lui il prossimo presidente del Consiglio, Bersani deve cambiare passo. E soprattutto smettere di pensare agli altri.

Ci viene in aiuto la metafora ciclistica, tanto cara a quel Romano Prodi ultimamente sempre duro nei confronti del segretario. Nel ciclismo i ruoli sono chiari, sin dalla partenza. Ci sono i gregari e ci sono i vincenti. Ci sono quelli che portano i secchi d’acqua e ci sono quelli che li tirano. Si può essere anche un leader dialogante, non c’è dubbio. Ma a un certo punto, al momento giusto, devi disinteressarti del resto della truppa. Fregartene se l’anziano alla sua ultima corsa non salirà sul podio, o se quel gregario perda l’ultimo traguardo volante. Devi isolarti, concentrarti e pensare solo al traguardo. Devi partire in solitudine e non voltarti più.

Questo dovrebbe fare Bersani adesso. Deve avere chiaro in mente che cosa fare. E agire di conseguenza. La volata è stata lanciata. Sono quelle primarie aperte che lui giustamente ha invocato la scorsa settimana. Ha capito – era ora – che solo un consenso ampio e soprattutto solo il consenso degli italiani lo avrebbe legittimato e sottratto alle sabbie mobili dei giochetti interni. Il partito ha le sue logiche, le sue dinamiche. Che però vanno in direzione opposta a quella della ricerca del consenso, come ha dimostrato la vicenda delle nomine alle Authority. A questo punto sta a Bersani la scelta. Tenere buona la squadra o puntare a vincere. Oggi la terza via non c’è.

Quindi, caro segretario, se la paura di finire piantato a pochi metri dal traguardo non la attanaglia, cambi strategia, persino immagine se non si offende. Lasci per strada chi cerca di darle i buoni consigli solo perché non può più dare il cattivo esempio, stracci tutti quegli organigrammi che già circolano nelle stanze del partito, su chi dovrà andare alla presidenza della Camera e chi invece vuole fermamente la Farnesina. Altrimenti, caro Bersani, il suo sarà solo un lungo e doloroso cammino che la condurrà al suicidio politico.

La smetta con quelle immagini sofferte, di un uomo sempre attanagliato dai dubbi. Meglio, molto meglio, al tavolo di un pub a bere birra mentre rilegge il suo discorso. Guardi avanti, altrimenti finirà sbaranato. Vesta i panni del capo, si faccia delle benefiche iniezioni di egoismo. E punti al bersaglio grosso. I maggiorenti del Pd la seguiranno non hanno alternativa: loro lo sanno bene. La loro unica fortuna è che lei ancora non l’abbia capito. E gli opinion laeder parleranno di lei come di un vincente nato, negando tutto quello che hanno scritto fino a poche settimane prima. Scommettiamo?  

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