Altro che Grecia, sono le banche a far paura all’Europa

Altro che Grecia, sono le banche a far paura all’Europa

La tempesta perfetta sta per colpire l’eurozona. Banche, Spagna, Grecia e, forse, Italia: sono questi i quattro punti che rischiano di creare un mix esplosivo per l’Europa. Se la situazione di Madrid, Atene e Roma è nota, quella degli istituti di credito europei non lo è come si dovrebbe. Nel corso dei prossimi 18 mesi infatti il sistema bancario Ue dovrà ridurre i propri attivi, attuando il fenomeno chiamato deleveraging, di circa 2.000 miliardi di euro. È questa la cifra che circola nelle sale trading. Ma potrebbero essere molti di più. Altro che Grecia. «Il pericolo più grande nei prossimi mesi è rappresentato dalle banche»: così, in report riservato che sta circolando negli uffici della Commissione europea e visionato da Linkiesta, si è evidenziato uno degli aspetti che i centri studi degli stessi istituti di credito avevano rimarcato fin dalla scorsa estate. Colpa del deleveraging, cioè la riduzione di attività e impieghi. Unito ai rischi di un collasso della zona euro e all’eventuale bailout della Spagna (e/o dell’Italia), il deleveraging potrebbe essere il detonatore di una bomba ben più grande delle previsioni.

E dire che la crisi europea iniziava a far vedere il suo risvolto positivo. L’eurozona sta infatti andando verso l’unione bancaria, considerata da molti il primo passo concreto verso l’unione fiscale. Garanzie sui depositi, sistemi di protezione in caso di perdite improvvise come nel recente caso J.P. Morgan, vigilanza finanziaria comune, ricapitalizzazioni più veloci: sono questi alcuni dei punti su cui i leader europei discuteranno nei meeting di fine mese. La principale differenza rispetto agli altri summit è la posizione della Germania che, nemmeno troppo sommessamente, ha lasciato la porta aperta a questa soluzione. Se da una lato questo aspetto è funzionale a una maggiore integrazione, dall’altro c’è l’impressione che sia già troppo tardi. L’emergenza in cui è entrata la Spagna è stata infatti al centro della conference call fra i leader del G7, che oggi hanno fatto il punto sulla situazione europea. La ricerca di un’unione bancaria nell’eurozona ha uno scopo preciso: proteggere il sistema. Il modello da adottare non è però ancora definito. Se nei corridoi della Banca centrale europea (Bce) si sta pensando a un fondo comune di garanzia dei depositi sul modello della Federal deposit insurance corporation (Fdic) statunitense, in quelli della Commissione europea si sprecano gli studi sulla possibilità di far accedere, in via diretta, le banche europee ai soldi del fondo salva-Stati permanente European stability mechanism (Esm) da 500 miliardi di euro. Quest’ultima via, però, è quella più difficile. Colpa di uno statuto, quello dell’Esm, che non contempla tal possibilità. E il tempo, nel frattempo, passa sempre più in fretta, mentre l’ossigeno della Bce si sta esaurendo.

Non è un caso infatti che si stia tornando a parlare di un terzo round operazione di rifinanziamento a lungo termine (Long term refinancing operation o Ltro) dopo quelle di dicembre e febbraio, che nel complesso hanno immesso nel sistema circa 1.000 miliardi di euro. Dopo aver sostenuto le banche nel rollover dei propri portafogli, potrebbe essere la volta di un aiuto in vista del colossale deleveraging dei prossimi mesi. A far convergere anche la Germania su una soluzione simile è stata la paura. Come confermano fonti della Commissione europea a Linkiesta, Berlino è pronta a spingere verso un’unione bancaria al fine di porre il primo passo verso «una piena unione», come ha detto oggi Elke König, numero uno della Bundesanstalt für Finanzdienstleistungaufssicht (BaFin), ovvero l’authority di vigilanza sui mercati finanziari. Dalla cancelleria di Angela Merkel non si esclude che una piena adozione di questa iniziativa possa avvenire già entro il prossimo autunno. Infatti, nel vertice europeo di fine giugno l’unione bancaria sarà uno degli aspetti in agenda. O così, o il disastro. Le scelte sono poche sia per l’eurozona sia per la Germania. Il sistema bancario, infatti, è ancora troppo debole. A metterlo nero su bianco è stato Mario Draghi, presidente della Bce, che anche durante l’ultima riunione mensile del consiglio direttivo dell’Eurotower, ha ribadito tutti gli squilibri presenti nell’eurozona. Fra questi, la qualità degli asset bancari, specie in vista dell’adozione dei nuovi requisiti patrimoniali dettati da Basilea III, molto più conservativi in tema di vigilanza prudenziale.

Nello scorso dicembre era stata la banca d’investimento Morgan Stanley a stimare quanto sarebbe stato l’impatto del deleveraging sulle banche europee. «Fra 1.500 e 2.500 miliardi di euro, ma potrebbero essere anche di più», spiegavano gli analisti Matthew Ostrower, Ben Britz e Stacey Rich. La riduzione degli attivi e degli impieghi si è resa necessaria dopo il crac di Lehman Brothers, la quarta banca statunitense saltata nel settembre 2008, e sta continuando in un’Europa che non ha più bussole da seguire. Analoghe le stime di Bank of New York Mellon, che parla di circa 2.100 miliardi di euro di deleveraging per le banche europee da qui a fine 2013. La posizione della Germania è destinata ad allinearsi a quella del resto dell’eurozona entro la fine del mese. La messa in sicurezza degli istituti di credito interessano tanto a Berlino quanto al resto della zona euro. Ed è per questo che continuano le analisi sugli scenari possibili da qui al 2013. «Ma non chiamiamoli piani di contingenza o altro, si tratta di gestione del rischio, come fanno anche tutte le imprese», dice a Linkiesta il funzionario europeo.

Quello che invece si può dire è che la crisi ha intrapreso la via della Spagna e rischia di minare le fondamenta dell’unione bancaria. Madrid sta soffrendo per via di un sistema bancario imbottito di asset immobiliari deteriorati, frutto della bolla che negli ultimi decenni è cresciuta senza controllo. La situazione delle banche iberiche potrebbe però evolvere in poco tempo. Non c’è infatti solo Bankia, l’ex Caja Madrid, che ha bisogno in fretta di circa 23,5 miliardi di euro. Come ha detto oggi il ministro spagnolo del Tesoro, Cristobal Montoro, «la Spagna è vicina alla perdita dell’accesso ai mercati, ma un bailout è “tecnicamente” impossibile». Parole che sono state ripetute durante la conference call del G7, secondo le indiscrezioni emerse dal ministro nipponico delle Finanze, Jun Azumi. L’ipotesi sul piatto è invece un’altra: il salvataggio degli istituti di credito iberici coi fondi europei. Ironia della sorte, sarebbe il primo esempio di unione bancaria per l’eurozona. Peccato che non sia quello previsto dalla Commissione europea. 

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