Alla fine l’atteso annuncio è arrivato. Durante la direzione del Pd il segretario Pierluigi Bersani ha ufficializzato le primarie per la premiership, informando il partito della sua candidatura. Saranno primarie “aperte”. Si terranno entro la fine dell’anno. E dovranno seguire un «patto dei democratici e dei progressisti da avanzare non solo ai partiti di un centrosinistra di governo ma ad associazioni, movimenti, liste civiche, sindaci, amministratori e singole personalità».
Primarie sì, insomma. Ma come? La confusione è grande, anche tra i dirigenti del Partito democratico. «Noi conosciamo due tipi di primarie – prende la parola poco dopo il segretario la senatrice Magda Negri – quelle di partito e quelle di coalizione. Non capisco bene cosa siano le primarie aperte». A dirla tutta ci sarebbe persino una quarta via: le primarie “d’area”. Una nuova categoria che Beppe Fioroni introduce più tardi durante il suo intervento. Anche tra i giornalisti presenti nella sede di Largo del Nazareno qualcuno ha dei dubbi. Soprattutto di metodo. Alle primarie “aperte” annunciate da Bersani si possono candidare altri esponenti del Partito democratico? Al momento lo statuto del Pd lo vieta. E Di Pietro e Vendola? Possono partecipare anche loro, nonostante le critiche e le accuse degli ultimi giorni? «Primarie aperte a tutti – chiariscono con disponibilità dallo staff di Bersani – senza alcun limite».
È ancora presto per studiare un regolamento. Se ne occuperà probabilmente l’assemblea nazionale convocata a inizio luglio. Eppure il tema primarie apre subito un dibattito nel partito. «Non ho un’opposizione di principio sulle primarie – racconta Massimo D’Alema – Ho solo posto l’esigenza di regolarle per farne non un momento salvifico, un camminare sui carboni ardenti. Ma un momento organizzato di partecipazione democratica». Tra il serio e l’ironico l’ex presidente del Consiglio rivela ai vertici Pd la sua principale preoccupazione: le infiltrazioni di elettori berlusconiani. Che a detta di D’Alema avrebbero già falsato alcune competizioni locali. «Avanzo una proposta, facciamo le primarie lo stesso giorno di quelle del Pdl, così siamo sicuri che i loro elettori non parteciperanno alle nostre».
«Convocare le primarie lo stesso giorno non basta – rilancia sarcastico il senatore Ignazio Marino – per evitare infiltrazioni servirebbe immergere i polpastrelli dei votanti nell’inchiostro. Oppure utilizzare timbrini tipo discoteca». L’ipotesi di un voto inquinato non è l’unico problema. «Le primarie sono vere – continua Marino – solo se c’è parità di mezzi e risorse». Una questione di soldi. «Vorrei capire meglio come le vuole organizzare Pierluigi. Penso che all’interno del partito si debbano distribuire risorse in modo uguale. Ma forse non dovremo finanziare allo stesso modo anche Di Pietro, che corre contro di noi».
Marino dà per scontato che il Partito democratico fornirà più candidati alle primarie. Non tutti sono d’accordo. Qualcuno teme che la presenza di troppi esponenti del Pd, favorendo la dispersione dei voti, finirebbe per agevolare un leader esterno al partito. «Ci dobbiamo pensare bene» ammonisce l’ex presidente del Senato Franco Marini, che suggerisce di prendere tempo per chiarire prima «il quadro delle alleanze». «Andiamo con un solo candidato Pd», propone Cesare Damiano. Il rischio è quello di assistere a «film che abbiamo già visto. E sono stati devastanti». Il pensiero di tutti torna con un brivido alle primarie di Genova, Napoli, Cagliari e Milano. Alle tante – spesso sorprendenti – affermazioni dei candidati di Sinistra Ecologia e Libertà.
«Ho sempre avuto dubbi sulle primarie di coalizione – spiega Ermete Realacci all’assemblea – un meccanismo che non esiste in nessun paese europeo». In realtà Bersani ha parlato di primarie “aperte”, ma Realacci prosegue. E solleva un problema non secondario. Per partecipare è necessario condividere una particolare linea politica? «Le primarie di coalizione mi mettono un po’ in imbarazzo – continua il dirigente – mentre sosteniamo il governo Monti ci dovremmo confrontare con forze che non appoggiano l’esecutivo. Ho dei dubbi che i cittadini possano capire». La soluzione di Realacci al problema è curiosa. «Se Vendola vuole partecipare, entri nel Partito democratico».
Dettagli a parte, il tema primarie sembra mettere tutti d’accordo. Anche troppo. Il prodiano Giulio Santagata è perplesso: «Io che di solito sono preso a male parole dai miei colleghi in Parlamento quando parlo di primarie di coalizione, mi stupisco che alla proposta di Bersani sia seguito un dibattito unanimista». Forse qualcuno cova in silenzio il suo disappunto. «Evidentemente i non detti sono molto, ma molto grossi». Eppure stavolta la linea è unitaria. Anche se il presidente Rosi Bindi chiede con realismo di non considerare «le primarie la soluzione di tutti i problemi del partito».
La conclusione spetta a Bersani. Di fronte alle decine di proposte e suggerimenti, spesso discordanti tra loro, il segretario ammette: «Ci sono questioni regolamentari e organizzative, le affronteremo». Poi invita tutti alla calma: «Non disperdiamo il messaggio fondo: il senso dell’operazione è che noi, a differenza di altri, guardiamo negli occhi i cittadini e li facciamo scegliere».