(articolo aggiornato alle 1.57 e pubblicato alle 20.00)
BRINDISI.- Sembra si sia arrivati a una svolta nell’attentato di Brindisi. Dopo un lungo interrogatorio, alla presenza del procuratore di Lecce Cataldo Motta e capo della direzione investigativa della polizia Francesco Gratteri, è stato fermato un benzinaio di 68 anni di Copertino in provincia di Lecce. L’auto dell’uomo, Giovanni Vantaggiato, sarebbe stata ripresa dalle telecamere nei pressi della scuola Morvillo poco prima dell’esplosione. Il movente, sarebbe la vendetta privata e l’uomo avrebbe confessato. Da quello che trapela si parla di rancori contro il preside della scuola «Morvillo Falcone» Angelo Rampino.
La Questura di Brindisi aveva fatto sapere di aver controllato 1.400 persone e effettuato 32 perquisizioni domiciliari. Nei giorni scorsi erano circolate voci su una fuga dell’attentatore all’estero. «Sono cose che riguardano il contenuto delle indagini e su questo non posso dire niente. Tutto è ancora in corso, stiamo lavorando anche sul video». Così lunedì scorso il capo della Direzione distrettuale antimafia di Lecce, Cataldo Motta, a margine dell’ennesimo vertice in questura a Brindisi tra inquirenti e investigatori che da settimane tentano di risalire all’identikit di chi alle 7.45 del 19 maggio scorso ha fatto esplodere in via Galanti la bomba che poi ha ucciso Melissa Bassi e ferito altre sette studentesse.
Ma è possibile tracciare un profilo dell’attentatore? Il criminologo Vincenzo Mastronardi, ordinario di Psicopatologia forense e direttore dell’Osservatorio dei comportamenti e della devianza a La Sapienza di Roma, sentito però prima della notizia del fermo di questa sera,.spiegava che «il protagonismo è classico di chi vuol fare il “mass murderer”, l’assassino di massa che per rivendicazioni personali proprie, per un trittico psicologico particolarmente esplosivo, tra depressione, bassa soglia di tolleranza a stress o a soprusi, insieme ad un narcisismo particolarmente accentuato, ha l’assoluta necessità di mostrare cosa è capace di fare».
Il capo della procura di Brindisi, Marco Dinapoli, il giorno dopo l’attentato, ha parlato di un «gesto isolato di una persona in guerra con il mondo e che tende a creare una tensione sociale» con riferimenti anche a Breivik, il terrorista norvegese autore del massacro di Utøya del 22 luglio 2011. «Mi viene in mente come libera associazione Lee Oswald, l’attentatore di Kennedy. Quando effettuai la sua psicobiografia, mi resi conto che era un pusillanime con un infanzia particolare. La madre aveva avuto quattro figli con quattro padri diversi e ogni sei mesi ne cambiava uno. Senza sicurezze, cerca di arruolarsi come marines, ma poi viene isolato e irritatissimo scappa in Russia, lì gli viene respinta la cittadinanza, viene cacciato e quando ritorna in America qualcosa di unico e grande doveva farlo ad ogni costo. L’attentato al generale Edwin Walker (10 aprile 1963, ndr) va male e si organizza per qualcos’altro di più importante. Qualcuno poi lo individua perché fonda un partito filocomunista, anche se poi si scopre che ha un solo iscritto, lui stesso».
Nell’ultima riunione operativa di lunedì scorso, oltre al procuratore Cataldo Motta, c’erano anche il questore Alfonso Terribile e i magistrati della Dda di Lecce, Guglielmo Cataldi, e il pm aggregato da Brindisi, Milto De Nozza. Nei prossimi giorni torneranno sul posto i vertici di Ros e Sco che lavorano da quasi tre settimane insieme agli investigatori di squadra mobile, Digos, Ucigos e carabinieri del comando provinciale. Sulla base dei reperti raccolti dalla Scientifica, è stato individuato il codice di produzione dell’altro elemento chiave delle indagini: il cassonetto blu usato per contenere l’ordigno e che non è mai stato visto lì né dagli studenti né dagli abitanti della zona (le immagini di Google maps dell’aprile 2009 danno ulteriore conferma) e che, secondo alcuni testimoni, nella notte del 19 maggio scorso sarebbe stato trasportato davanti ai cancelli di via Galanti da alcune persone a bordo di un pick-up bianco.
La ricostruzione della scena e la misurazione della dinamica dell’attentato avviene attraverso una riproduzione 3d della zona. Si procede anche nell’esame delle immagini riprese dalle telecamere, verificando la compatibilità delle caratteristiche somatiche dell’uomo con quelle di profili già noti alle forze dell’ordine. Al vaglio ci sono pure i tabulati delle celle telefoniche che quel sabato erano agganciate a un ripetitore del quartiere, i profili Facebook delle ragazze e gli accessi online degli ultimi mesi privi di tracce o del tutto anonimi. Dagli interrogatori delle studentesse coinvolte (manca l’audizione di Veronica Capodieci ancora in gravi condizioni e ricoverata a Pisa) non sarebbe in ogni caso emersa alcuna minaccia o dichiarazione sospetta giunta nei giorni o nei mesi precedenti l’esplosione.
Ma, come sostiene a Linkiesta il chimico ed esperto di esplosivi Roberto Gagliano Candela, ordinario di Tossicologia forense all’università di Bari, «il profilo dell’attentatore viene fatto sapendo prima cosa ha adoperato» anche se, subito dopo l’attentato, ha spiegato che «uno spostamento di aria senza grossi danni localizzati è compatibile con l’esplosione da gas». In altre parole, se lì fossero esplose sostanze diverse dal gpl, forse i danni sarebbero stati più devastanti o quantomeno più evidenti. E il muretto di cemento della scuola rimasto in piedi quasi intatto si spiegherebbe così. «L’esplosione da esplosivo solido – continua Gagliano Candela – lascia sempre tracce di residui di esplosivo e dei suoi prodotti di combustione, mentre l’esplosione da gas non lascia tracce perché il butano, anche se in piccola parte non bruciato o esploso, è già un gas che si disperde nell’aria. Ho visto le foto dei crateri di Brindisi e non sono sporchi di residui di esplosivo, sembrano più crateri da pezzi di bomba andati a sbattere contro il pavimento. Quando si esamina un luogo dove è avvenuta un’esplosione e si nota la presenza di frammenti di proiettili, metalli, residui di crateri e danni alle strutture, allora c’è la bomba, se non ci sono allora si ipotizza un’esplosione di tipo gassoso dove è il gas che esploso con un aumento di temperatura e di volume più ridotto rispetto alla bomba. Chi è più vicino viene scagliato a distanza, a chi è più distante può anche non succedergli nulla».
La verifica tecnica sui frammenti dell’ordigno è stata effettuata l’1 giugno scorso a Roma, nella sede centrale del Ris dei carabinieri. Servirà a sciogliere una volta per tutte il mistero della bomba e dell’eventuale presenza di polvere pirica, alluminio, nitrato di ammonio o altre sostanze. «Se lì – sottolinea ancora Gagliano Candela – ipotizziamo che l’esplosivo sia all’interno della bomba, il che è difficile, bisogna trovare dei frammenti della bombola, se non sono gonfiati a botte non è un’esplosione avvenuta all’interno, se sono tranciati o schiacciati è stata all’esterno. Si dovrebbero cercare tutti i possibili frammenti di metallo nei dintorni, esaminarli e solo dopo si può dire se è stata esplosione da esplosivo e quale, se i frammenti non sono a botte allora è il gas che è esploso. Anche analizzare l’eventuale uso o presenza di nitrato di ammonio è facilissimo, la quantità di residui dopo l’esplosione è abbondante perché l’esplosivo brucia completamente quando c’è un ottimo rapporto esplosivo-aria e in ogni caso rimangono i sali che non sono volatili. Una volta stabilito se l’esplosivo è organico-solido, inorganico-solido, oppure gas, si passa all’esame dell’innesco».
Da alcune foto scattate subito dopo l’esplosione è visibile un taglio che ha decapitato la bombola quasi a ridosso delle saldature superiori. Quella mattina in ogni caso tutto è stato azionato da un telecomando e proprio al passaggio delle studentesse scese da un bus giunto da Mesagne, culla del barocco leccese e della Sacra corona unita. «Si sa che i detonatori sono difficilissimi da comprare – precisa Candela -, si analizza così anche quel mercato. L’esplosione di tipo gassoso va innescata a distanza e non è semplice, servono conoscenze tecniche. Non dico un ingegnere, ma quantomeno un elettrotecnico, un perito, perché comunque le bombole di gas non sono mai esplose, a meno che non si trovino ad esempio all’interno di un capannone che prende fuoco con una temperatura altissima che obbliga il liquido che è all’interno ad esplodere. Uno sprovveduto non sa come fare a mano che non si fa una grossa esperienza via internet e facendo varie prove».