“Cantiamo canzoni naziste”, così il ct preparava la Croazia

“Cantiamo canzoni naziste”, così il ct preparava la Croazia

Qualcuno lo aveva previsto: «I tifosi croati, a Euro 2012, qualche guaio lo combineranno di sicuro». Detto, fatto. Il 10 giugno, giorno della partita d’esordio della loro nazionale, vinta contro l’Irlanda del Trap, gli ultras sono venuti alle mani con i poliziotti polacchi.
Lo scontro, avvenuto sul ciottolato del Rynek, la piazza centrale di Poznań, è avvenuto a causa dell’arresto di un giovane tifoso, prelevato da tre agenti all’interno di un locale. Un manipoli di hooligan (huligani, alla croata) li ha seguiti, cercando di convincerli a liberarlo. Il negoziato è durato non più di cinque secondi. I teppisti, infatti, hanno preferito il corpo a corpo. Il giovane arrestato, nella colluttazione, s’è divincolato dalla presa rifugiandosi nel mucchio. Alla rissa è seguito il classico confronto, quasi cinematografico, tra agenti schierati marzialmente e tifosi che gridano a squarciagola i peggiori improperi. Potete vedervi il “film” qui sotto:

Ora, nulla a che vedere con la scazzottata russo-polacca dell’altro giorno. Però i croati hanno fornito un esempio della loro proverbiale fama di duri e puri. Il che, visto che stasera l’Italia se la vede con la Croazia, non rasserena. Gli hooligan croati – questo ci si chiede – daranno oggi un’altra prova del loro arditismo? Speriamo di no.

Ma chi sono esattamente gli ultras croati? Cos’è che li ispira? Perché sono così temuti in Europa? Proviamo a snocciolare la storia. Partendo da un coro – “uccidi il serbo” – molto in voga tra i sostenitori della nazionale e delle due principali squadre di club del paese, Dinamo Zagabria e Hajduk Spalato. Il coro, scagliato contro gli storici nemici, è affiancato da tutta una serie di gesti e rituali. Alcuni richiamano agli ustascia, i miliziani fascisti guidati da Ante Pavelic che durante la Seconda guerra mondiale cercarono di creare uno stato etnico croato, massacrando migliaia di civili serbi (molti ne morirono nel campo di concentramento di Jasenovac). Altri sono legati alle vicende belliche degli anni ’90 e alla guerra con la Serbia, durante la quale anche i croati si macchiarono di numerosi crimini, come provato nel corso del processo ai danni del generale Ante Gotovina, condannato a 25 anni di carcere dal Tribunale internazionale sull’ex Jugoslavia, con sede all’Aja.

Questa cultura, con i suoi miti antichi e recenti, è stata fatta propria da Marko Perković, fondatore dei Thompson, rock band che prende il nome dal fucile automatico che il cantante usava al tempo del conflitto con la Serbia, al quale partecipò. Voi direte: che c’entra Perković con il calcio? C’entra, c’entra. Il punto è che le canzoni di questo nazi-rocker ricco sfondato, terzo uomo di spettacolo più popolare di tutto il paese secondo la rivista Globus, vengono cantate dai tifosi durante le partite. Sono i loro inni. Non basta. Le liriche di Perković (qui sotto un videoclip vi chiarirà le idee), fino a qualche tempo fa, prima che la federazione calcio croata intervenisse, venivano sparate a tutto volume dagli altoparlanti dello stadio Maksimir di Zagabria, in occasione degli incontri della nazionale.

Le canzoni di Perković, tendenti al metallaro, le intonano persino i calciatori. Agli europei di quattro anni fa, organizzati da Austria e Svizzera, l’allenatore croato Slaven Bilić, lo stesso che siede in panchina oggi, ammise che durante l’intervallo della prima gara, contro l’Austria, caricò i suoi facendo loro cantare una hit di successo dei Thompson, Lijepa li si (nel video qui sotto intonata dal pubblico croato allo stadio). L’esperimento, a quanto pare, ebbe successo. L’undici croato, che nel primo tempo aveva offerto una prova pessima, riscese in campo con un altro spirito e vinse.

 https://www.youtube.com/embed/JpE2r5CBOe0/?rel=0&enablejsapi=1&autoplay=0&hl=it-IT 

Chiariamoci: quello croato non è peggiore di altri hooliganismi e la Croazia, come Paese e come comunità, non va letta alla luce di queste vicende. Ci sono senz’altro delle note fuori posto e qualche scoria non rimossa di nazionalismo. Ma il Paese è una moderna democrazia che tra l’altro entrerà nell’Ue il primo luglio dell’anno prossimo. Insomma, le carte sono in regola. Lo Stato di diritto è assicurato. Qualche scricchiolio, ultimamente un po’ troppo rumoroso, arriva invece dal versante dell’economia. La crisi ha picchiato davvero duro.

Quello che avviene negli stadi non è l’istantanea della Croazia odierna. È stato però uno spaccato della Croazia che fu, secondo uno schema tutto balcanico che ha portato calcio, politica e ultra-nazionalismo a sovrapporsi. Ci fu la celebre partita tra Dinamo Zagabria e Stella Rossa Belgrado del 1990, che a suo modo, con gli scontri tra le tifoserie e i calcioni volanti del giovanissimo Zvonimir Boban, simboleggiò l’imminente crollo dello Stato federale degli slavi del sud. Qui le immagini:

Ma ci fu anche, come ricorda Alex Bellamy, autore di The Formation on Croatian National Identity, la scelta di campo dei Bad Blue Boys, la frangia più a destra della curva della Dinamo Zagabria. Si schierarono con il leader nazionalista e indipendentista Franjo Tuđman e si arruolarono nell’esercito, prim’ancora che fosse degno di essere chiamato così. La prima fase della guerra, infatti, colse la Croazia impreparata e la resistenza all’offensiva serba fu organizzata improvvisando un po’.

Oggi i Bad Blue Boys sono tra i gruppi ultra più temuti d’Europa, ce l’hanno a morte con i serbi e un po’ con tutto il mondo, celebrano i loro militi noti e ignoti, cantano le canzoni di Perković e rivaleggiano con la Torcida, gli scalmanati ultras dell’Hajduk Spalato. Salvo quando gioca la nazionale. In questi casi scatta l’alleanza e si rimuove, momentaneamente, ogni campanilismo. Anche se, riferisce qualche sito polacco, la rissa di Poznań sarebbe iniziata proprio a causa di un battibecco tra membri delle due brigate calcistiche, dovuto a qualche giro di vodka di troppo. Sarà vero?
 

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