Mi consentoCaro Monti, lei ha deluso gli italiani non i poteri forti

Caro Monti, lei ha deluso gli italiani non i poteri forti

A parte il fatto che sarebbe interessante capire quand’è che un potere possa essere definito debole. Ma questa è una discussione già affrontata. Sono passati quasi vent’anni, infatti, da quando Pinuccio Tatarella – ideologo di quella che fu Alleanza nazionale – coniò la definizione di “poteri forti”, bucando il video e soprattutto la carta. 

Oggi, con un certo qual sprezzo del senso dell’ironia, l’espressione è stata utilizzata dal nostro presidente del Consiglio. Intervenuto in videoconferenza al congresso nazionale dell’Arci, Mario Monti ne ha approfittato anche per tracciare un bilancio dei sette mesi di attività a Palazzo Chigi. L’inizio è stato improntato all’onestà intellettuale, riconoscendo che «avremmo potuto fare di più e meglio». Poi, però, il professore ha rivendicato il carattere innovativo di alcune riforme – su tutte quella del lavoro – che ha «toccato e scardinato temi che fino a poco fa erano considerati tabù. È stata molto sottovalutata in Italia, soprattutto da coloro che, come il sistema delle imprese, ne saranno i principali beneficiari». 

Un attacco a Confindustria che non si è concluso qui. La frase clou, infatti, è stata la seguente: «Il mio governo e io abbiamo sicuramente perso negli ultimi tempi l’appoggio che gli osservatori ci attribuivano da parte dei cosiddetti poteri forti: in questo momento non incontriamo il favore di un grande quotidiano, considerato voce autorevole dei poteri forti, e non incontriamo il favore di Confindustria».

Ecco, una frase così, da chi ha trascorso la vita a braccetto coi poteri forti, può suonare solamente ironica. Per non dire altro. Una frase che vorrebbe accreditare il presidente del Consiglio come una figura spuria, persino scomoda per i poteri di questo Paese. E una frase che rivela, invece, una visione molto da poteri forti. Tipica di chi considera determinante il pensiero delle cosiddette élitè. Non staremo certo qui a sottovalutare l’importanza e l’influenza del Corriere della Sera nel nostro Paese. Però siamo abbastanza uomini di mondo da capire che un editoriale al vetriolo di Giavazzi e Alesina sorvola comodamente sulla testa degli italiani, mentre invece rimbomba – e non poco – nelle stanze che contano. Senza dimenticare che via Solferino ha annoverato tra gli editorialisti di prestigio anche il professor Mario Monti. 

Che cosa vogliamo dire? Semplicemente che Monti è scattato con stizza perché beccato sul vivo – in maniera impietosa – da due professoroni, da due studiosi che considera pari grado e di cui soffre il giudizio e l’analisi impietosi. Un uomo politico, una persona che avrebbe  in mente l’idea di governare questo Paese, non sarebbe balzato dalla sedia ieri mattina alla lettura del Corriere. Lo avrebbe fatto domenica scorsa, leggendo le due pagine curate su Repubblica da Ilvo Diamanti. Lì, in quel paginone, c’è la risposta agli errori di Monti e della sua squadra.

In sette mesi di governo, la fiducia degli italiani nei confronti del professore è scesa di oltre trenta punti percentuali. A metà novembre il gradimento del Governo era al 78,6%. A fine maggio è sceso al 45,3. Una perdita secca di 33 punti percentuali. E ancora: due mesi fa l£indice di gradimento di Monti era al 67,2%; oggi al 52,1. E ci creda, professore, quegli italiani intervistati probabilmente nemmeno sanno dell’esistenza dei docenti Alesina e Giavazzi. Il punto è che a Monti interessa solo il parere dei poteri forti. Gli altri, il Paese, lui non li considera. Non ci si confronta. Mai. 

E invece c’è un’altra Italia. E se il professore in questi sette mesi avesse convinto quell’altra Italia, oggi non sarebbe ricorso a una definizione vecchia di diciotto anni che ci riporta all’inizio della seconda repubblica. È un altro segnale di arretramento, l’ennesimo. L’Italia aveva accolto Monti e il suo governo col tappeto rosso. Ma poi, pian piano, progressivamente e inesorabilmente, gli italiani hanno cambiato idea. È il motivo per cui l’ex commissario europeo alla Concorrenza non pensa di ricandidarsi e probabilmente non ha nemmeno più la possibilità di salire al Quirinale. Chi intende governare un Paese deve quantomeno considerare i suoi abitanti. Farli sentire partecipe di un progetto. Dialogare in qualche modo con loro. In questo, Palazzo Chigi ha profondamente fallito. Fatta eccezione per Elsa Fornero, l’unica che si “abbassa” a parlare col popolo: siano essi operai, studenti o pensionati. Ma questa è un’altra storia. 

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