I venti di guerra in medio oriente hanno riempito le cronache dei primi mesi del 2012. L’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica aveva da poco scoperto che i piani di Teheran per costruire l’arma atomica erano più avanti di quanto immaginato: erano in molti a sostenere che l’intervento militare fosse l’unica soluzione al problema. Il pericolo veniva principalmente da Israele che, in assenza di alternative, avrebbe potuto lanciare un attacco con gli Stati Uniti quasi costretti a sostenerlo negli attacchi armati ai siti nucleari. In un clima di incertezza assoluto, Washington ha rilanciato l’azione della comunità internazionale aggirando lo stallo al quale il Consiglio di Sicurezza era stato condannato dal veto di Mosca, imponendo sanzioni al petrolio iraniano. L’obiettivo è quello di diminuire le entrate dello stato che dipendono molto dalla vendita di greggio. Ci sono prove che dimostrano che le sanzioni stanno avendo i primi effetti.
In primo luogo, è necessario valutare l’andamento delle esportazioni di petrolio iraniano e pare che, negli ultimi cinque mesi, ci sia stato un calo di circa il 40% dei barili esportati. Secondo i report mensili dell’Opec, l’Iran esportava circa 2,6 milioni di barili al giorno a dicembre 2011, mentre a maggio i barili dovrebbero essere circa 1,5 milioni. Tale crollo potrebbe avere conseguenze serie anche sui livelli di produzione, che si aggirano sui 3,4 milioni di barili al giorno (dati di marzo 2012). Il petrolio è una materia prima, quindi potrebbe sempre avere mercato e quando mancano i compratori è possibile stoccarla ed attendere tempi migliori. Tuttavia, lo stoccaggio di grandi quantità richiede un sistema di infrastrutture che è, per natura, limitato, così pare che l’Iran abbia quasi utilizzato tutti i depositi a disposizione e sarà costretto a diminuire la produzione (e quindi l’accumulazione di riserve e la perdita di introiti in futuro) già dal prossimo mese.
Gli Stati Uniti non sono i soli ad avere ridotto l’import dall’Iran, visto che la strategia di Washington si basava anche sulla cooperazione dei maggiori partner di Teheran. L’Unione Europea ha imposto un embargo che entrerà in vigore il prossimo primo luglio, mentre altri paesi come il Giappone e la Corea del Sud hanno volontariamente ridotto gli acquisti. In altri casi, per evitare le sanzioni extra-territoriali decise da Washington, paesi come India, Cina e Turchia hanno avuto problemi a chiudere le normali commesse contribuendo al regime sanzionatorio pur non nascondendo la loro contrarietà. La riduzione dell’offerta di greggio mondiale avrebbe potuto far salire il prezzo del petrolio, ma questo calo pare sia stato controbilanciato da una maggiore produzione dell’Arabia Saudita su richiesta degli Stati Uniti, così l’offerta mondiale è rimasta sopra i 30 milioni di barili al giorno ed il prezzo del petrolio non ha scontato la perdita dell’export di Teheran.
Il costo del petrolio è infatti il secondo indicatore utile per avere un’idea di quanto le sanzioni stiano avendo un impatto sul bilancio iraniano. Infatti, se il costo del petrolio salisse più del calo dell’export, allora le sanzioni starebbero rafforzando, e non penalizzando, il regime di Teheran. Così non sta avvenendo. Immediatamente dopo l’imposizione delle sanzioni, il prezzo del petrolio crebbe di $30 in due mesi passando da $95 a $125 al barile. Questo trend è presto cambiato ed ora il prezzo è tornato sotto i $100 al barile, quindi si stima che il volume di scambi legati al petrolio sia calato di circa $100 milioni al giorno. A questo fattore dobbiamo aggiungere il “mercato parallelo” di petrolio che l’Iran ha messo in piedi, cercando di offrire partite di petrolio scontate per evadere le sanzioni Usa. Se è vero che questi sforzi potrebbero avere successo, ci sono già voci di un accordo con la Cina. È anche vero che il petrolio che l’Iran riuscirebbe a piazzare sarebbero comunque sotto il prezzo di mercato penalizzando comunque le casse del Paese.
Gli effetti delle sanzioni vanno oltre il settore petrolifero. Le sanzioni bancarie imposte dagli Stati Uniti stanno rendendo difficili i pagamenti in euro verso e dall’Iran. Le lamentele sono arrivate praticamente da tutto il mondo, come il caso di MTN, colosso africano di telefonia mobile, non in grado di completare lavori nel paese degli Ayatollah oppure dei produttori di banane filippini che non possono ricevere i pagamenti per le loro forniture. La stima di queste sanzioni è difficile da realizzare, ma è certamente elevata. Nel breve periodo, quasi tutto il volume di commercio internazionale subisce lo shock di sanzioni extra-territoriali del sistema finanziario americano, mentre nel breve e nel lungo periodo alcuni processi di aggiustamento potrebbero rendere l’Iran indifferente a queste misure.
L’incertezza nel medio/lungo periodo riguarda la tenuta della coalizione internazionale. Alcuni paesi hanno tentato di aggirare le sanzioni extra-territoriali usa, quindi Washington ha deciso di concedere delle eccezioni verso sette stati (India, Corea del Sud, Giappone, Malesia, Sud Africa, Sri Lanka, Turchia e Taiwan) per permettere loro di chiudere alcuni affari con l’Iran, ma a un ritmo ridotto rispetto al passato. Questo riduce l’impatto delle sanzioni, ma mantiene la coalizione anti-Iran più vasta possibile. In questo quadro, è interessante come la Cina, la quale non ha fatto segreto di non voler applicare tout court queste misure, non ha ricevuto le eccezioni concesse agli altri.
Certamente le sanzioni stanno avendo un forte impatto sull’economia iraniana e forse neppure gli Ayatollah avevano messo in conto la possibilità che l’occidente potesse privarsi del loro petrolio rischiando un’impennata dei prezzi in un momento di crisi economica durissima. In effetti, le sanzioni rappresentano un costo anche per coloro che hanno smesso di acquistare il petrolio iraniano o che stanno avendo problemi a farlo. Esiste quindi una pressione sugli Stati Uniti affinché le misure vengano quantomeno alleggerite. Gli effetti delle sanzioni hanno per ora contribuito a sbloccare i negoziati che sono ripresi con gli incontri di Istanbul ad Aprile e Baghdad a Maggio.
*Senior Lecturer presso il Dipartimento di Relazioni internazionali e Studi europei della Metropolitan University di Praga e autore di «Coercing, Constraining and Signalling» (Ecpr press). Twitter: @fragiumelli