Un avvocato, docente universitario, con tanto di studi a Harvard che si trasforma in giuria, giudice e boia ordinando ogni settimana omicidi mirati di persone le cui uniche prove a sfavore sono dossier dell’intelligence – e a cui viene così negato quel giusto processo a cui ogni essere umano avrebbe diritto. Un militante di sinistra che, una volta al potere, l’unica cosa che riesce a fare, a parte un inizio di sistema sanitario universale, è salvare la banche. Un liberal che si reca al Cairo a dire che «gli Usa non sono – e non saranno mai – in guerra con l’Islam» ma che poi manda con tetra regolarità un drone ad uccidere leader religiosi islamici in odore di jihad. Stiamo ovviamente parlando di Barack Obama. Ma è proprio quell’ “ovviamente” il problema.
Per una volta ha ragione l’editorialista conservatore Charles Krauthammer a fare notare che l’articolo sul New York Times di ieri, 6mila parole, otto pagine web, non è una fuga di notizie, ma semmai un comunicato stampa della Casa Bianca. Le persone intervistate raccontano con nome e cognome delle riunioni periodiche con oltre 100 uomini degli apparati di sicurezza collegati in video conferenza da tutto il mondo dove si decide il menù degli assassini. E in un momento in cui i massacri in Siria mostrano tutta la sua impotenza e Putin lo snobba, sottolinea Krauthammer, fare vedere la faccia dura può pagare, soprattutto sotto elezioni.
Va bene, la spiegazione di marketing politico ci può stare, e combattere il terrorismo è arduo tanto più quando, come nel caso dell’11 di settembre, lancia la prima “guerra privata” della modernità, comandata da un miliardario e non da uno Stato, usando areoplani al posto dei missili, e senza una precisa linea del fronte. Ma a leggere il resoconto di quelle riunioni il George W. Bush così esecrato dalla sinistra sembra un garantista. Come fa notare sul Manifesto Marco D’Eramo (autore di uno dei libri più belli per capire gli Usa “Il maiale e il grattacielo”) il texano «era stato pù fedele allo spirito della Costituzione americana quando si era “limitato” a ordinare la detenzione arbitraria di qualunque sospetto al mondo: se proprio doveva essere ucciso, il malcapitato andava almeno processato in una corte marziale americana». Qua invece nessuna corte, nessun giudice: arriva il drone e zacchete. Come scrive il New York Times: «mentre una ventina di sospetti sono stati assassinati da Obama, solo uno è stato portato in galera e il presidente è recalcitante davanti all’idea di aggiungere nuovi prigionieri a Guantanamo» il carcere che il primo presidente nero della storia aveva annunciato che avrebbe smantellato (famoso il discorso del maggio 2009 in cui promise di chiuderlo citando la prigione cubana per ben 28 volte). Problema risolto: basta eliminare subito i potenziali sospetti.
Non soprende allora che in questo mondo sotto-sopra, in questo Topsy-Turvy della politiica estera Usa, sia il repubblicano Romney ad accusare Obama di essere diventato «un dottor Stranamore». Né che il consigliere per la sicurezza nazionale Thomas E. Donilon si faccia virgolettare quando dice che Obama «è un presidente abbastanza a suo agio nell’uso della forza per conto degli Stati Uniti».
Agghiaccianti sono i racconti di come si calcola l’impatto del missile lanciato dal drone sui civili e gli innocenti. Un metodo sposato da Obama. Per la Cia i maschi in età adulta che stanno attorno ad un target sono potenziali terroristi e quindi, a meno che non ci siano prove della loro innocenza, non c’è problema ad ucciderli. Ecco quindi svelato perché il numero ufficiale di “morti collaterali” risulta basso, perché i maschi adulti non rientrano in questo computo. E se poi erano solo dei parenti in visita o degli amici che nulla c’entravano, amen, colpa loro che erano lì. Un metodo che, scrive il Nyt, mette il mal di pancia anche a molti agenti Cia, non esattamente noti per la loro sensibilità.
Beitullah Mehsud, leader dei talebani pakistani, ucciso da un drone
I criteri usati per questi assassini di Stato è che il target deve essere una minaccia per gli Usa. Inoltre ci deve essere la «quasi certezza» che innocenti non siano colpiti. Il New York Times è un giornale liberal e per quanto pubblichi questa impressionante storia, Obama è pur sempre il “suo” presidente e quindi sottolinea in vari passaggi l’attenzione che l’Amministrazione dedica a non ammazzare gente che non ha colpe. Solo che poi racconta anche di Baitullah Mehsud, il leader pakistano dei talebani. Mehsud non rispecchiava il primo criterio, non era un pericolo per gli Usa, attaccava solo il governo di Islamabad, e i pakistani non lo volevano più fra i piedi. Fu allora trovato un escamotage legale: Mehsud era un pericolo non per la madrepatria ma per i soldati americani in Pakistan. Il capo della Cia di allora, Leo Panetta, ammonì che anche il secondo criterio, quello che vuole evitare la morte di civili, nel suo caso sarebbe stato difficile da rispettare. Ma tant’è: il 23 agosto 2009 l’uomo fu assassinato assieme alla moglie e ai suoceri per fare un favore agli “amici” pakistani che lo reputavano coinvolto nell’ omicidio di Benazir Bhutto.
Forse ora che i droni Usa arriveranno anche in Italia dovremo porci il problema di come verrano usati. Forse è la natura dell’impero americano, primo impero al mondo ad essere una vera democrazia con tanto di telecamere addosso («i romani potevano massacrare i ribelli, gli americani devono essere più scaltri» lamentano spesso i falchi Usa) che impone limiti tali all’azione politica che le differenze fra sinistra e destra si assottigliano. Forse è il momento di crisi politico-economica che lascia poco spazio alla scelta. Forse aveva ragione Marx quando descriveva il potere omologante del capitalismo che spinge ogni fenomeno verso un area grigia, verso un indifferenziato. Ma che l’inquilino della Casa Bianca sia diventato come la Ford T, il cui slogan pubblicitario era «puoi averla di qualsiasi colore purché sia nera» è il messaggio agghiacciante che l’Obama capo militare consegna ora agli americani. E con loro a tutti quelli che, in questo inizio di secolo pensavano che fosse ancora possibile, usando un’espressione di Derrida, «pensare la differenza».