E ora, per il bene di Generali, Mediobanca si liberi del “pacco” Ligresti

E ora, per il bene di Generali, Mediobanca si liberi del “pacco” Ligresti

Da qualche ora Giovanni Perissinotto non è più il group ceo di Generali. Ha vinto Mediobanca, l’azionista di riferimento con il 13,5% delle quote, e i grandi investitori come Leonardo Del Vecchio, Lorenzo Pellicioli e Francesco Gaetano Caltagirone, che hanno perso molti soldi avendo acquistato le azioni della compagnia triestina quando valevano 20-30 euro (oggi sono a 8,5). Nessuno scandalo: Alberto Nagel e Renato Pagliaro, rispettivamente amministratore delegato e presidente di Piazzetta Cuccia, hanno semplicemente fatto quanto in loro potere, cioè mandare a casa un manager ritenuto non più affidabile in termini di risultati. 

Giuste o sbagliate che siano le loro motivazioni, legate all’andamento del titolo di una società che comunque, va ricordato, sul mercato sconta effettivamente il rischio-Italia, avendo 50 miliardi di euro in bond del Tesoro iscritti a bilancio, è indiscutibile che il titolo abbia ceduto il 44,18% nell’ultimo anno, chiudendo ieri a 8,49 euro per azione, in rialzo rispetto agli 8,2 euro di giovedì, forse anche ai massicci acquisti degli stessi azionisti rilevanti che hanno sfiduciato oggi Perissinotto. Insomma, guardando ai numeri, la mossa di Mediobanca è sensata. A meno che la discontinuità non sia invece frutto del progressivo affrancamento del manager ravenntate rispetto ai desiderata e all’influenza dell’azionista di maggioranza. 

Allo stesso modo, cioè sempre guardando ai numeri, il 70% della capitalizzazione di Mediobanca, pari a 2,4 miliardi di euro, deriva dalle sue quote nel Leone. Per questo la salute della terza compagnia assicurativa d’Europa per premi sottoscritti dovrebbe starle molto più a cuore della custodia degli interessi “sistemici”.

In un’ottica puramente di mercato, allora, Piazzetta Cuccia dovrebbe uscire dall’articolato salvataggio di Fondiaria-Sai da parte di Unipol, non solo perché i numeri dicono che la compagnia assicurativa delle Coop non abbia le spalle abbastanza grosse per portarla a termine creando valore per gli azionisti, ma anche per non tarpare ulteriormente le ali del Leone di Trieste con un nuovo maxipolo assicurativo che si pone come suo diretto concorrente. L’operazione con Unipol, infatti, nasce in palese conflitto d’interessi con Generali: Piazzetta Cuccia è esposta per 1,1 miliardi nei confronti di Fonsai, per via di prestiti subordinati erogati negli anni dal medesimo management che oggi ha licenziato Perissinotto. 

Da tempo il mercato si interroga sulla necessità di un aumento di capitale della compagnia triestina, soprattutto per via dei quasi 3 miliardi di euro che dovrà sborsare il prossimo anno per riprendersi la quota di sua pertinenza in Ppf, joint venture con il finanziere ceco Petr Kellner. Ieri gli analisti di Cheuvreux scrivevano: «Probabilmente il suo più grande errore (di Perissinotto, ndr) è stato quello di non eseguire un aumento di capitale qualche anno fa quando le condizioni dei mercati finanziari erano migliori, ma ancora una volta molto probabilmente questa è stata la decisione del principale azionista». Cioè Mediobanca. 

Per togliere il piombo dalle ali del Leone, Nagel e Pagliaro dovranno concedere presto a Generali il via libera per la dismissione delle partecipazioni “di sistema”. Come Telco, holding che controlla Telecom Italia, per la ricapitalizzazione della quale usciranno dalle casse della compagnia triestina 700 milioni di euro e come Rcs, società editrice del Corriere della Sera, di cui la compagnia assicurativa detiene il 3,9 per cento, Mediobanca il 14,2%, e Premafin (holding che controlla Fonsai) il 5,4 per cento. Per provare a evitare un pericoloso aumento di capitale, in queste condizioni di mercato, si potrebbe anche mettere nero su bianco un piano di buyback dei propri bond ibridi esattamente come hanno già fatto molte banche, da Unicredit a Intesa passando per Ubi, ottenendo una plusvalenza immediata. 

Mediobanca, da azionista di maggioranza, oggi ha cacciato un manager che in 10 anni ha distrutto valore per 1,1 miliardi di euro. Ora però deve dimostrare di voler lasciare davvero le Generali dalla parte del mercato.

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