Il voto ad ottobre, o giù di lì, torna ad essere una possibilità concreta. Si sa dell’ostilità del capo dello stato ad uno scioglimento anticipato delle Camere che segnalerebbe ai mercati l’instabilità italiana. Tuttavia molti segnali indicano che la prospettiva elettorale è meno lontana di quanto si pensi. In primo luogo comincia a farsi pressante l’insofferenza nel Pdl.
Questo partito e il suo leader, Berlusconi ovviamente, hanno chiare alcune cose. La prima è che lo sfarinamento del centro-destra continua a manifestarsi con grande rapidità. La seconda è che la guida di Alfano è mal tollerata dai boiardi del Pdl. La terza è che si comincia a intravvedere il contenuto della campagna elettorale belusconiana. Anche questa volta la impronterebbe sulla minaccia delle sinistre, ma soprattutto la caratterizzerebbe contro l’euro e la Germania che vuole indicare come responsabili dell’attuale stato del paese al punto da far dimenticare, lui spera, i danni del suo governo. Infine il Cavaliere è convinto che più passa il tempo e meno forze potrà aggregare e quindi una formazione parlamentare anche più piccola dell’attuale Pdl, e della lontana Forza Italia, potrebbe rappresentare nelle assemblee legislative una casamatta per tutelare il proprio elettorato e, perché no, i propri interessi.
Lontano dal governo, Berlusconi sente anche minacciata la sua forza imprenditoriale e quindi potrebbe essere tentato da una chiamata alle armi contando anche sulle divisioni a sinistra. Quel che non è chiaro a Berlusconi è come e con chi combattere la sua ultima battaglia. Di soluzioni fantasiose ne sta analizzando parecchie compreso lo spacchettamento del PdL per dar vita a tanti movimenti che possano federarsi con un gruppone centrale da lui diretto. Dando alla campagna elettorale una connotazione anti-comunista, nel senso largo che lui predilige, e dirigendola verso la diffidenza di molti italiani sull’Europa e sulla nostalgia per la lira, Berlusconi spera di intercettare sia la crisi del suo elettorato sia la crisi leghista. Le timidezze e gli errori dell’attuale governo verrebbero indicate come la prova della necessità che il pallino torni nelle mani delle forze parlamentari licenziando i tecnici e il loro esperimento.
Per far questo però Berlusconi ha bisogno di un gesto traumatico essendo improbabile una generale volontà parlamentare verso il voto anticipato. Il gesto traumatico è la caduta del governo Monti che provocherebbe conseguenze immediate sulla stabilità finanziaria del paese esposto d’improvviso alla bufera dei mercati senza rete di protezione politica e governativa.
Questo gesto non sembra raccogliere però nello stesso Pdl un consenso unanime, perché molti esponenti di quel partito temono che il voto si riveli punitivo verso il centro-destra e interrompa molte carriere fortunosamente create.
Nel Pd la prospettiva del voto anticipato non dovrebbe avere una sponda. Bersani si è dichiarato più volte contrario ma l’anima più di sinistra di quel partito, che si sta raccogliendo attorno a Stefano Fassina, sembra voler considerare la prospettiva di mandare a casa i professori. Il voto anticipato a ottobre cancellerebbe le primarie e toglierebbe dalla scena politica, per questo giro, Matteo Renzi, la cui presenza sembra essere diventata davvero minacciosa a giudicare dalle contumelie che lo stesso Fassina gli rivolge un giorno sì e l’altro pure.
Per alcuni il voto anticipato potrebbe fotografare all’istante la forza del movimento di Grillo impedendogli, con il proseguimento stanco della legislatura, di lucrare sulla crisi del sistema politico. Quel che è certo è che non ha molto futuro un paese che non sa decidersi, che vive perennemente in mezzo al guado. Forse il danno del voto anticipato potrebbe essere migliore di una legislatura e di un governo a cui in pochi credono. Sarà, anticipato o meno, uno scontro politico confuso ma forse questa volta si potrà farlo su un contenuto forte, cioè su Europa o non Europa, piuttosto che su berlusconiani versus antiberlusconiani. Sapremo così se prevarrà un’idea piccola-piccola dell’Italia ovvero emergerà un paese che vuole recitare la sua parte nel rilancio dell’unità europea.