Dopo il controverso parere del presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale, una riflessione sullo stato di salute delle famiglie omogenitoriali, a partire dalla domanda più scomoda: cresceranno sani?
Il presidente della Società italiana di pediatria preventiva e sociale (Sipps) dottor Giuseppe Di Mauro è solo l’ultimo in ordine cronologico a esprimere un parere incauto ma non così raro quando si parla di figli (adottati o meno) di genitori dello stesso sesso. «I figli di gay sono tendenzialmente ad alto rischio di problemi sicuramente psicosomatici, neuropsichiatrici e di depressione» ha detto il dottore in un programma televisivo in onda su Youtube.
Un’affermazione senza alcun riscontro scientifico secondo l’associazione delle Famiglie Arcobaleno (www.famigliearcobaleno.org), che con lo slogan “È l’amore che fa una famiglia” in Italia si occupa di omogenitorialità dal 2005 (tra gli iscritti 300 coppie con figli). «I risultati delle ricerche psicologiche – spiega Giuseppina La Delfa, presidente dell’associazione – hanno da tempo documentato come il benessere psicosociale dei membri dei gruppi familiari non sia tanto legato alla forma che il gruppo assume, quanto alla qualità delle dinamiche relazionali che si attualizzano al suo interno». Cita, inoltre, «le numerose prese di posizione dell’American Academy of Pediatrics (che rappresenta il 99,9% dei professionisti statunitensi) a sostegno delle famiglie omogenitoriali oltre ai risultati degli studi (più di un centinaio) sul tema svolti negli ultimi 40 anni, che hanno reso chiaro che i nostri figli non hanno particolari difficoltà nella loro crescita psico-affettiva».
Nonostante in Italia un omosessuale per legge non possa né sposarsi, né adottare un bambino, o sottoporsi a inseminazione, se si discute del futuro dei figli delle coppie gay significa che la realtà viaggia più spedita della giurisprudenza. Anche nel nostro paese fare un figlio per una coppia dello stesso sesso è infatti un desiderio difficile ma non impossibile. Tra i molti ostacoli il più insistente rimane però proprio il dubbio culturale sintetizzato nelle domande «un bambino può fare a meno della figura materna o paterna?». O peggio, come sostiene Di Mauro, «svilupperà disagi psicologici di qualche tipo?»
In attesa di raggiungere l’età di una maggiore consapevolezza i figli under 18 delle Famiglie Arcobaleno hanno detto la loro in un film documentario Il Lupo in calzoncini corti delle filmaker Lucia Stano e Nadia Dalle Vedove. Due anni di riprese in compagnia di due famiglie patchwork per riprenderne la quotidianità, eccezionale e insieme ordinaria. «Come ci si senta con un papà – spiega Federico, 10 anni e due mamme – non lo posso sapere. Stando bene così non m’interessa come si sta in un altro modo».
Sara, 8 anni, senza esitazioni racconta come «la mia famiglia è composta da due mamme, un gemello, un fratello più grande, cinque gatti più un acquario con dei pesci». Altra inquadratura e Lia, 4 anni, timidamente spiega di avere due papà “Patò e Papacco” che le vogliono un bene così, e allarga le braccia più che può. «La mia famiglia – dice Michele, 5 anni – si chiama Tim e Terry e quello che mi piace di più di loro è che quando litighiamo non si fa male mai nessuno». La maggior parte dei bambini concepiti nelle famiglie gay nel nostro paese ha meno di 14 anni, mentre in Francia e negli Stati Uniti molti di loro sono invece già adulti.
Tra quelli che si riuniscono in associazioni come Colage c’è Rachel, 25 anni, cresciuta con due mamme che sul sito racconta: «La mia adolescenza è stata scandita da un inesorabile conto alla rovescia. Mi domandavo se sarei venuta fuori etero oppure gay. A 17 anni però mi innamorai per la prima volta di un ragazzo di Boston con cui sperimentai finalmente il sesso, togliendomi ogni dubbio». Emile, 23 anni, concepita per inseminazione artificiale e, anche lei, cresciuta da due mamme, racconta un’infanzia piuttosto felice: «Quando mia madre mi ha spiegato fino a che punto la mia storia era particolare – dice – sono rimasta affascinata, mi sono sentita più grande». Per far luce sul benessere dei figli delle famiglie che si fondano sull’amore e non sui legami biologici perché quindi non sentire, oltre al parere di psicologi e pediatri, anche le parole dei diretti interessati?
Negli Stati Uniti si calcola che i bambini cresciuti da genitori gay siano circa 14 milioni, compresi quelli concepiti in precedenti relazioni eterosessuali. In Italia, in mancanza di dati ufficiali, si ricorre a quello dell’Istituto superiore di Sanità: circa 100 mila ragazzi – compresi i figli nati da precedenti unioni eterosessuali – hanno un genitore gay. Qui da noi la legge non prevede né l’utero in affitto, cui si affidano gli omosessuali maschi all’estero (India, Usa, Canada e Ucraina) né l’inseminazione artificiale, proibita dall’art. 5 della legge 40/2004, cui più di frequente fanno ricorso le coppie di lesbiche (il 50% va all’estero per la fecondazione eterologa con un donatore anonimo, mentre il restante 50% ricorre a un donatore privato, di solito un amico).
In questo vuoto legislativo le famiglie omogenitoriali non sono tutelate. In caso di separazione dei genitori, per esempio, i figli nati all’interno di una relazione omosessuale non hanno diritto ad avere contatti col genitore “non biologico” o non legale. Non solo, poiché sul certificato di nascita questi ragazzi hanno un solo genitore, le tutele sono dimezzate soprattutto in caso di morte dell’unico genitore legale, che renderebbe il bambino orfano davanti alla legge.