Esistono incroci e reciprocità che vanno attraversati come per fare luce su un testimone imprevisto. La memoria su Pier Paolo Pasolini contempla prove autonome anche in pittura, studi assenti fino ad oggi da una reale occasione pubblica. Questo l’intento della retrospettiva che l’Associazione Culturale Casa Testori – in collaborazione con alcuni tra gli archivi storici più autorevoli, tra cui il Gabinetto Viesseux di Firenze e il Fondo Pier Paolo Pasolini – gli dedica sia per proseguire coerentemente nella conservazione della casa natale di Giovanni Testori a Novate Milanese, sia per trasformare l’ospitalità in un intreccio di prospettive tra due autori che hanno reso la dirompenza delle periferie linguaggio dell’Italia del secondo dopoguerra.
Già il primo passo dentro Casa Testori non è casuale: superato un autoritratto del 1970 del drammaturgo milanese, gli occhi corrono in alto a una sua citazione chiave sul senso del precipizio consumato in un silenzio grave e comune. Otto stanze tematiche aprono poi a una messinscena del percorso da disegnatore e ritrattista di Pier Paolo Pasolini, alternando la sua ricerca grafica a teche che mostrano i raccordi con l’esperienza artistica di Giovanni Testori. Entrambi scoprono il disegno con la stessa voracità delle pagine e proprio Testori, nel 1977, sostituirà Pasolini dalle colonne di “Tribuna aperta” del Corriere della Sera.
La prima pittura di Pasolini, quella che riflette la pratica condivisa con la madre di aprire la propria casa in Friuli all’alfabetizzazione dei ragazzi indigenti, proviene non a caso a partire dal 1942 da ritratti di volti infantili o di famiglia fissati su carta lucida. In un’età gonfia della eco di Guernica è una tecnica inedita cui fanno seguito soggetti sacri o mitologici e autoritratti a olio più tardi ispirati a Van Gogh, pur tenendo fermo il maestro di sempre, Filippo De Pisis.
Nello stesso periodo Testori collabora con alcune riviste del Guf, così fa Pasolini per poi sospendere l’esplorazione pittorica intorno al 1950 e trasferirsi a Roma con la madre scoprendo il sottoproletariato delle borgate. La loro miseria è fatta oggetto di un’indagine linguistica che Pasolini insegue annotando modi di dire confluiti nei glossari di Ragazzi di vita e Una vita violenta, esposti come premessa al suo primo film nel 1961, Accattone. Le assonanze con Testori si irrobustiscono proprio nel ventre delle periferie: Pasolini difende dall’attacco della censura uno tra i copioni testoriani più scomodi e insieme celebrati, L’Arialda, e abbozza con Bassani un soggetto cinematografico dal romanzo Il dio di Roserio.
Ma la pausa dalle pitture cessa nel 1964 quando riabbraccia sagome ed evocazioni su tela, carta o legno. Alberto Arbasino nel ’60 scrive a proposito della sperimentazione pasoliniana accanto a quella di altri “nipotini dell’ingegnere”, vale a dire sulla scia di Gadda. E non si tratta mai di strade separate, quel che è impresso in poesia, romanzi, drammaturgie o saggi riaffiora nei dipinti, ne plasma il morso figurativo attraverso personalità centrali: Ninetto Davoli, incontrato sul set de La ricotta e raffigurato più volte come adolescente o ragazzino, ma anche Laura Betti, attrice e cantante, “luna protoromantica” cui Pasolini dedica, tra gli altri, nel 1967 un Bozzettone su legno dove compaiono scene da una cena e iscrizioni enigmatiche. Parallelo è poi il ritorno a una serie di autoritratti con tecniche miste del proprio volto deformato dalla febbre, quasi una sequenza di fotogrammi mai identici.
Sono gli anni delle ripetizioni ossessive della Pop Art e dell’incontro con Maria Callas, scritturata per Medea nel 1969. Dello stesso periodo anche i dipinti su carta realizzati con vino, colla e petali di rosa sull’isola di Skorpios e un carteggio prova del rapporto esclusivo del regista con il soprano. Un legame che, se da un lato richiama lo sguardo di Testori alla lirica, non ne condivide le visioni più introspettive o già programmatiche pronunciate in una lettera da Pasolini come “stringimenti al cuore” e bisogno di «spezzare e frantumare una realtà “intera” per ricostruirla nella sua verità sintetica e assoluta».
Della frantumazione, dell’esplosione selvaggia di indegnità e intrallazzi Pasolini scrive più volte anche su Il Corriere della Sera, dopo una prima lettera infuocata nel 1973 all’allora direttore Piero Ottone in merito alle notizie dal Vietnam. Una stanza di Casa Testori, quella che un tempo era adibita a cucina, conserva una selezione di quattro tra i suoi articoli più caparbi, ricordando i punti di contatto con il contestato papa Paolo VI.
Gli ultimi anni di Pasolini, come del resto i primi della sua passione d’arte, si imbattono nel critico forse più noto, Roberto Longhi, pretesto di una “folgorazione figurativa”. Quattro anni dopo la sua morte, nel 1974, una serie di ritratti lo omaggiano conducendo idealmente all’epilogo dell’esposizione di Casa Testori: Il mondo non mi vuole più e non lo sa, un disegno forse risalente alla fine degli anni Sessanta, denso di letture e domande destinate al buio calato sull’assassinio brutale dello scrittore “corsaro” nel 1975.
Una fine cui i curatori della mostra, Davide Dall’Ombra e Giovanni Agosti, rispondono con proiezioni in loop di pellicole celebri e un’ultima stanza dove sostare prima di accedere ai giardini della casa. Lì il tracciato visivo si fa documentario del racconto di Pasolini attorno alla “metafisica realistica” di una città come Sabaudia. Sulla parete opposta l’affissione di A rischio della vita di Testori, scritto che non smette di tuonare da quel numero monografico dell’Espresso pubblicato poco dopo la morte di Pasolini: «Cosa lo spingeva la sera o la notte a volere e a cercare quegli incontri? La risposta è complessa, ma può agglomerarsi, credo, in un solo nodo e in un solo nome: la coscienza e l’angoscia dell’essere diviso, dell’essere soltanto una parte di un’unità che, dal momento del concepimento, non è più esistita. […] La solitudine, questa cagna orrenda e famelica che ci portiamo addosso da quando diventiamo cellula individua e vivente e che pare privilegiare coloro che con un aggettivo turpe e razzista si ha l’abitudine di chiamare “diversi”».
Pasolini a Casa Testori 20 Aprile – 1° Luglio
Mostra a cura di Davide Dall’Ombra e Giovanni Agosti
Novate Milanese (MI) – Largo A. Testori, 13 (incrocio tra via Dante e via Piave)
Orari: Martedì – Venerdì 18-22, Sabato 10-23, Domenica e festivi 10-20, Chiusura: Lunedì.
Scuole e Gruppi (min 15 persone) aperture anche fuori orario, su prenotazione, con guida
Informazioni e Prenotazioni tel. 02.55.22.98.375
[email protected] www.associazionetestori.it