Il salva-Spagna non convince, i mercati pensano a Roma

Il salva-Spagna non convince, i mercati pensano a Roma

Il salvataggio della Spagna doveva placare il nervosismo dei mercati. Ma sono bastate poche ore per cancellare questa idea. Il piano di aiuti al sistema bancario iberico, valutato in circa 100 miliardi di euro, ha portato più danni che benefici. E a (ri)entrare nel calderone della crisi europea ora è anche l’Italia, già considerata la candidata principale a seguire l’esempio, poco virtuoso, di Madrid. A poco sono servite le parole del ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, che in mattinata ha sottolineato che «l’Italia nei mesi scorsi ha fatto quanto doveva per salvarsi». Gli investitori non ci credono.

Non sono ancora chiari i dettagli del piano di salvataggio del sistema bancario spagnolo e già si parla di chi sarà la prossima vittima della crisi europea. Tutti gli indizi lasciano intendere che sarà l’Italia a seguire le sorti della Spagna. Nella notte è stato diffuso un report di Citigroup che ha evidenziato come il rischio di contagio che Roma possa subire il contagio di Madrid è aumentato oltre ogni soglia dopo la richiesta d’aiuto da parte del premier iberico Mariano Rajoy. «È quasi certo che, alla luce della crisi spagnola, arriverà una forma di supporto da parte della troika (Fondo monetario internazionale, Banca centrale europea, Commissione Ue, ndr)», hanno scritto gli analisti della banca statunitense. A far paura sono tre diversi fattori. Da un lato c’è la rapidità con cui la crisi sta invadendo l’eurozona. «Abbiamo agito velocemente per evitare il peggio», ha detto il ministro iberico del Bilancio Cristóbal Montoro. Ma la fretta, troppo spesso, non serve. «A oggi non c’è ancora un piano, ma un’intenzione e chiedere aiuto. È evidente che i mercati finanziari attendevano risposte, non questo pasticcio. », dice a Linkiesta un diplomatico iberico. Proprio per questo c’è il timore che il virus delle malversazioni spagnole possa presto infettare Roma. Dall’altro c’è un governo, quello italiano, che ha sempre più le mani legate sotto il profilo dell’azione riformatrice. Come ha fatto notare un’analisi di Bank of America – Merrill Lynch «la possibilità che il governo di Mario Monti possa portare avanti le riforme promesse di fronte alla Commissione europea diminuisce sempre più, anche considerate le continue spinte politiche che vedono un’anticipazione delle elezioni nel prossimo autunno». In altre parole, il potere negoziale di Monti è sempre minore.

In mezzo ci sono le indiscrezioni di piani di contingenza nel caso l’Italia entri nel vortice della crisi, proprio come un anno fa. Nelle sale operative di Londra e New York si fanno insistenti i riferimenti al 1992, quando l’Italia decise di uscire dal Sistema monetario europeo (Sme) per svalutare la lira. «Il debito italiano è troppo elevato e i margini operativi per la sua riduzione in modo sostenibile nei prossimi due anni sono troppo ridotti. Sarebbe meglio una ristrutturazione», ha scritto stamattina in una nota Lombard Street Research.

Dopo i guadagni delle Borse asiatiche, anche le piazze finanziarie europee sono partite in modo positivo. I dubbi sulle modalità del salvataggio spagnolo hanno però spinto al ribasso tutte le sedute poco prima di metà giornata. A innervosire gli investitori ci ha pensato la mancanza di trasparenza sulle modalità di azione di sostegno delle banche iberiche. Contrariamente rispetto a quanto detto dal ministro dell’Economia Luis de Guindos sabato scorso, ci saranno precise condizioni per gli aiuti. «È chiaro che ci sarà un memorandum d’impegni che il governo spagnolo dovrà firmare», ha detto Amadeu Altafaj Tardio, portavoce del commissario Ue agli Affari economici e monetari Olli Rehn. Tuttavia, come anticipato lo scorso 6 giugno da Linkiesta, non ci saranno soluzioni esenti da oneri. Il Fmi monitorerà gli esborsi finanziari destinati alla ricapitalizzazione delle banche iberiche e vigilerà sui conti pubblici spagnoli. A tutti gli effetti sarà un programma, con missioni trimestrali, come quelli adottati per Grecia, Irlanda e Portogallo. L’obiettivo di Commissione europea e Moncloa è tuttavia quello di evitare che si facciano paragoni di questo genere. Infatti, come rivelato da El Mundo, il premier Rajoy ha inviato un sms a de Guindos poco prima della capitolazione di sabato scorso. «Siamo la quarta economia europea. La Spagna non è l’Uganda», ha scritto Rajoy. Parole che ben descrivono il clima che si sta vivendo a Madrid e dintorni.

Ad aumentare la sfiducia ci ha pensato il balletto su come si deve salvare Madrid. Quello che è certo è che sarà il debito a farla da padrone, invece che nuovi capitali. Due sono i fondi europei che possono essere utilizzati, il temporaneo European financial stability facility (Efsf) e il permanente European stability mechanism (Esm), che entrerà in vigore a luglio. Se il primo ha una dotazione di 440 miliardi di euro (meno i 192 miliardi erogati per Atene, Dublino e Lisbona), il secondo ha un tetto di 500 miliardi. Tuttavia, il funzionamento è ben differente. Questo perché l’Esm ha, come indicano le linee guida, serve per emettere debito senior, cioè con uno status differente da quello dell’Efsf. Come se non bastasse, l’emissione di debito tramite l’Esm rischierebbe probabilmente di far scattare il pagamento dei Credit default swap (Cds), i derivati finanziari che immunizzano dall’insolvenza di un emittente obbligazionario. Questo perché, come spiega lo studio legale Allen & Overy, se l’Esm emette debito senior e questo viene utilizzato per la ricapitalizzazione delle banche iberiche, il debito esistente in quest’ultime diventa immediatamente subordinato, soggetto a un evento creditizio secondo gli attuali contratti di CDS regolati dall’International swaps and derivatives association (Isda). In altre parole, alla Spagna succederebbe ciò che è accaduto alla Grecia lo scorso 9 marzo. Per Luc Coene, membro belga del Consiglio direttivo della Bce, l’uso dell’Esm non costituisce motivo di allarme e non ci sarà un evento creditizio, ma la querelle è in corso. 

Il risultato di questo clima d’incertezza, misto a sfiducia, non era difficile da prevedere. I rendimenti dei titoli di Stato italiani con scadenza a dieci anni hanno superato il 6% in poco tempo. Analogo l’andamento dei tassi d’interessi dei corrispettivi spagnoli di pari durata, che hanno continuato la loro corsa al rialzo fino a toccare quota 6,50 per cento. A poco sono servite le parole di de Guindos. «Non è un salvataggio, ma un aiuto. E l’Europa è più forte di prima con questo accordo di massima», ha detto. A guardare i mercati valutari, azionari e obbligazionari non si direbbe.  

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