La profezia mormone che imbarazza il “cavallo bianco” Romney

La profezia mormone che imbarazza il “cavallo bianco” Romney

La strategia comunicativa di Mitt Romney, candidato repubblicano ai tempi della crisi, è tanto semplice quanto efficace: trasformare le presidenziali del prossimo novembre in un referendum sull’operato di Obama. In una congiuntura economica dai toni assai foschi, lo sfidante sente di potersi limitare ad applicare la tecnica del «go negative». Senza addentrarsi nel campo minato della lotta di classe o in quello poco rilevante della politica estera. E soprattutto soffermandosi il meno possibile sugli aspetti più esotici della sua religione.

Perché Romney, primo nominee mormone della storia, è oggi il membro più autorevole della Chiesa di Gesù Cristo dei santi degli ultimi giorni (Lds), quella che molti americani ancora considerano una “setta” misteriosa relegata ai margini della società. Negli anni Mitt ha imparato a schivare con maestria il fuoco di domande riguardanti la sua fede, ma l’argomento resta potenzialmente incendiario. 

A generare sospetti sono soprattutto l’aura divina che i membri riconoscono al primo leader Joseph Smith, la visione eterodossa della Trinità, la presenza di un testo sacro supplementare (Il libro di Mormon) e di profezie dal chiarissimo significato politico. Come quella del “Cavallo Bianco”, che adesso potrebbe perseguitare lo sfidante repubblicano.

Nauvoo, Illinois, maggio 1843. Preoccupato dal clima di intolleranza e dalle accuse di anti-americanismo che investono la neonata Chiesa, il fondatore Smith preconizza per i suoi un ruolo fondamentale nel futuro del Paese. «Arriverà un momento in cui le banche falliranno [sic] e il destino della nazione e della Costituzione sarà appeso a un filo, allora un Cavallo Bianco – un mormone – apparirà per guidare l’America verso la grandezza», rivela ai presenti.

L’autenticità delle parole di Smith – riportate per primo dal collaboratore Edwin Rushton – resta a lungo incerta e nel 1918 la Chiesa dello Utah ha ufficialmente respinto la profezia, ma da sempre tra i fedeli persiste la convinzione che si tratti di uno scenario molto realistico. Molti si rifanno a quanto scritto nel 1855 da Brigham Young, il successore di Smith: «Quando la costituzione degli Stati Uniti sarà in pericolo, saranno i mormoni a salvarla dalla distruzione».

Negli anni il tema del White Horse ha investito ogni leader Lds affacciatosi al palcoscenico della politica nazionale. Nel 1953 Ezra Taft Benson, il primo mormone ad essere nominato in un Gabinetto presidenziale, fu assalito dalle domande al riguardo. Per molti anni Taft Benson non fornì risposte, fino al 1986 quando ammise «di credere nella profezia di Smith». Stesso discorso nel 1967 per il papà di Romney, George Wilcken, chiamato a specificare la sua posizione al momento di candidarsi alla Casa Bianca. «Sono convinto che arriverà una fase in cui ci dovremo interrogare sul nostro agire in base alla Costituzione e credo che saranno i seguaci dei Santi degli ultimi giorni ad offrire una risposta», affermò candidamente.

Inevitabile che nell’ultimo periodo, dopo l’effettivo fallimento di alcune tra le più importanti banche d’America e l’ascesa per la prima volta di un mormone alla guida del partito repubblicano, la profezia tornasse prepotentemente di moda. Già il 14 novembre 2008, all’indomani dell’elezione di Barack Obama, il celebre opinionista conservatore e membro della Chiesa Lds Glenn Beck dichiarò ai microfoni di Fox News che «la Costituzione era appesa ad un filo e che era giunto il momento per i “buoni” americani di svegliarsi».

Romney invece ha fin qui accuratamente evitato di entrare nel merito della questione. L’unica sortita in materia risale al 2007, quando al Salt Lake Tribune ha spiegato «di non sentirsi un Cavallo Bianco» e che la rivelazione «non è parte della dottrina ufficiale della Chiesa». Evidenti le ragioni di opportunità politica che gli consigliano di mantenere un profilo basso. 

Secondo un sondaggio Pew risalente a novembre 2011, il 65 per cento degli americani reputa tuttora il mormonismo «una fede molto diversa dalla propria». Peraltro la Lds è l’unica religione a cui Washington ha letteralmente dichiarato guerra. Nel 1857 il presidente James Buchanan inviò 2500 soldati nello Utah per porre fine all’istituto della poligamia e alla “democrazia teocratica” introdotta da Young. Bilancio: 38 militari caduti e 126 civili uccisi. Da allora la Chiesa ha ripudiato le pratiche più controverse, ma nessuno dubita del valore soprannaturale che i mormoni attribuiscono alla Costituzione americana e della necessità che a salvarla dalla perdizione debba essere uno di loro.

Una convinzione condivisa dallo stesso Romney. Il sette maggio scorso durante un comizio tenuto a Euclid, in Ohio, ad una donna che gli chiedeva cosa avrebbe fatto per ristabilire la dignità delle istituzioni, Mitt ha fornito una risposta dall’inequivocabile sapore religioso. «Personalmente ritengo che la Costituzione non sia solo il risultato di un lavoro eccellente, ma che sia soprattutto il frutto dell’ispirazione divina», ha detto solenne. I presenti sono scoppiati in un applauso fragoroso. E chissà se per un istante Mitt il mormone non s’è sentito il Pegaso d’America.