L’Europa ascolta i cittadini, la guerra contro Acta lo dimostra

L'Europa ascolta i cittadini, la guerra contro Acta lo dimostra

L’Unione europea, quel grigio bivacco di burocrati e tecnici che spesso viene accusato di eccessiva distanza dai cittadini, batte gli Stati Uniti in quanto a trasparenza e democrazia 1 a 0. L’occasione per ricordare i progressi che, malgrado tutto, sta facendo la Ue è la ratifica del trattato commerciale internazionale anti-contraffazione, meglio noto come Acta.

Nato nelle segrete stanze della diplomazia internazionale nel 2006-2007, fortemente supportato dalle lobby del copyright, il trattato è stato conosciuto dall’opinione pubblica grazie a Wikileaks, che nel maggio 2008 pubblica un documento che ne parla. Da giugno dello stesso anno inizia il negoziato ufficiale tra gli Stati (i promotori originali sono Stati Uniti e Giappone, ma subito si aggiungono Canada, Australia, Sud Corea, alcuni Paesei arabi e l’Unione europea). Il testo definitivo viene diffuso a fine 2010, e da allora è un crescendo di proteste e manifestazioni, fino a quelle più imponenti di inizio 2012. Mentre i promotori di Acta sostengono che servirà a tutelare la creatività e la ricerca, proteggendo gli interessi dei creatori e diffusori di contenuti, i suoi detrattori temono che sia un tentativo, nemmeno eccessivamente nascosto, di limitare la libertà di espressione su internet.

Al di là del merito, il trattato è un esempio – uno dei primi – dei nuovi meccanismi decisionali dell’Unione europea. Dopo il Trattato di Lisbona – entrato in vigore il primo dicembre 2009 – il Parlamento europeo è stato coinvolto nelle decisioni di ratifica dei trattati internazionali. Senza il suo voto favorevole, Acta non potrà entrare in vigore. Ed ecco che allora le molte manifestazioni dei cittadini dei singoli Stati membri possono sortire un qualche effetto sui centri decisionali europei. Contrariamente a quanto succede negli Stati Uniti. In America infatti sembra che il trattato non passerà al vaglio del Congresso, nonostante le proteste di cittadini e parlamentari. L’interpretazione che attualmente prevale è che si tratti di un accordo esecutivo che può essere adottato senza essere votato da Camera e Senato.

L’Unione europea, e 22 dei suoi 27 Stati membri, hanno firmato Acta il 26 gennaio 2012. Le proteste tuttavia sono state di tale entità, soprattutto in Germania e Est Europa, che alcuni Stati – ad esempio la Polonia – hanno immediatamente annunciato l’intenzione di non far seguire alla firma la ratifica del trattato. Il relatore di Acta al Parlamento europeo, il francese Ader Karif, si è dimesso per sensibilizzare ulteriormente l’opinione pubblica sul tema. Il suo successore, l’inglese David Martin, in aprile ha suggerito all’Unione di non adottare Acta, in quanto la sua vaghezza potrebbe aprire la porta ad un uso distorto della normativa. Ai primi di maggio è stato il commissario all’agenda digitale, Neelie Kroes, ad invitare la Ue a non recepire il trattato. La stessa Commissione europea ha chiesto l’11 maggio alla Corte di Giustizia un vaglio di legalità, sostenendo che fino al pronunciamento dei giudici l’iter di ratifica andasse sospeso.

Contrariamente a questa indicazione, la commissione Commercio internazionale (Inta) del Parlamento europeo ha confermato l’intenzione di far votare la ratifica all’aula a inizio luglio, tra il 2 e il 5. Preliminarmente al proprio esame, l’Inta ha chiesto il parere non vincolante di altre commissioni, che finora hanno tutte chiesto ai parlamentari di non ratificare il trattato. Qualche giorno fa hanno espresso l’auspicio che l’Unione europea non adotti tale normativa le commissioni Industria, Affari giuridici e Libertà civili. Ieri è toccato alla commissione Sviluppo (Deve) dare il suo parere, e anch’essa ha bocciato Acta con 20 voti a favore, 1 contro e 3 astensioni sulla mozione che raccomanda al Parlamento di respingere il trattato.

L’Inta voterà il 21 giugno e poi, due settimane dopo, toccherà al plenum del Parlamento. Il cambio di atteggiamento da parte di molti Stati membri (Germania, Polonia, Bulgaria, Repubblica Ceca, Slovacchia e altri) e di numerosi parlamentari europei è una conseguenza della mobilitazione che ha investito il web, usandolo come strumento di informazione e propaganda, per poi debordare nelle strade. E non è stata coinvolta solo l’opinione pubblica europea, ma quella mondiale. Gli oppositori di Acta vedono infatti il “no” dell’Unione come l’unico possibile strumento per impedire l’entrata in vigore del trattato anche in America e nel resto del mondo. Secondo questi, difficilmente gli Stati Uniti accetterebbero di essere gli unici, tra i tre colossi dell’economia mondiale (gli altri due sono Unione europea e Cina), ad applicare le norme del trattato. Norme che, secondo il senatore americano Wyden, possono influenzare le politiche che incoraggiano l’innovazione negli States.

Ed ecco allora che la mobilitazione contro Acta prosegue. Il 9 giugno si terranno manifestazioni in tutta Europa – in Italia finora si è visto poco, ma qualcosa si sta organizzando – ed è prevista un’intensificazione della protesta fino al voto finale di luglio. La speranza è di contrapporre alle lobby che sostengono il trattato anti contraffazione una lobby di cittadini-elettori che ha un importante peso politico.

Le prossime elezioni del Parlamento europeo nel 2014 saranno le prime dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. La ratifica di Acta sta diventando uno dei primi, e sicuramente tra i mediaticamente più importanti, temi di scontro politico nell’Unione. Il partito socialista ha fatto dell’opposizione ad Acta una sua bandiera, e anche i Verdi. Più indecisi il partito popolare e l’Alde (liberali), che pure l’hanno sostenuto finora. Un piccolo passo per colmare il “deficit democratico” dell’Unione è stato fatto.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter