Fosse stato vero e non taroccato, lo scoop rivendicato dall’agenzia di stampa iraniana Fars sarebbe stato davvero un colpo da maestri. Perché oltre a umiliare i grandi media panarabi, la presunta intervista rilasciata dal neo-presidente egiziano Mohammed Morsi aveva destato un’immediata inquietudine nei governi di mezzo Medio Oriente, da Gerusalemme a Riyad, e qualche malcelata apprensione anche a Washington. E se non fosse stata sbertucciata dagli stessi media iraniani, forse almeno a casa la Fars l’avrebbe fatta franca.
Certo sembrava singolare che il nuovo, prudente presidente dell’Egitto avesse deciso di rilasciare un’intervista in esclusiva proprio all’agenzia più vicina ai pasdaran iraniani. Tanto più che ai microfoni della Fars, addirittura “poche ore prima della proclamazione ufficiale dei risultati” assicurava il corrispondente dal Cairo dell’agenzia, Morsi avrebbe annunciato l’inizio di una nuova fase nei rapporti con la Repubblica Islamica – e con Israele.
“Dobbiamo assolutamente riallacciare buoni rapporti con l’Iran, sulla base degli interessi reciproci, sviluppando coordinamento politico e cooperazione economica” avrebbe detto Morsi. Un disgelo propedeutico alla “creazione di un equilibrio strategico della regione (…) un elemento centrale del mio programma di rinascita”.
Il Fratello musulmano asceso alla presidenza d’Egitto avrebbe in sostanza proposto di cambiare il campo di gara mediorientale “sdoganando“ il paria Iran, soggetto sin dal 1979 alla doppia pressione delle petro-monarchie sunnite e del “piccolo satana” israeliano. E come pegno di buona volontà, Morsi avrebbe smentito di voler fare il suo primo viaggio all’estero in Arabia Saudita, annunciando al contempo l’intenzione di rivedere gli accordi di Camp David, che portarono alla firma del trattato di pace tra Egitto e Israele nel 1979.
Le dichiarazioni di Morsi sembravano dunque giustificare tanto la soddisfazione con la quale Teheran aveva accolto la sua vittoria, considerata l’ennesimo segno di un “risveglio islamico” – espressione che nella vulgata iraniana abbraccia l’intera stagione di rivolta araba (Siria esclusa) – quanto la simmetrica preoccupazione dell’establishment israeliano, che teme il passaggio dalla “primavera araba” a un “inverno islamista”.
Il portavoce di Morsi però ha negato tutto, il presidente non avrebbe mai parlato con il giornalista iraniano. La Fars conferma ma la credibilità dell’intervista, subito contestata da BBC e al Arabiya, viene demolita anche a casa dall’Irna, l’agenzia di stampa ufficiale della Repubblica Islamica d’Iran. Addebitare la retromarcia alle pressione degli imperialisti a questo punto diventa un’impresa. E così la patacca – con tanto di audio postato sul sito della Fars, nel quale nessuno riconosce la voce di Morsi – dà luogo all’ennesimo atto del conflitto (anche mediatico) interno dell’Iran.
Screditata in casa e davanti agli indiscreti occhi stranieri, la Fars tenta un affondo disperato denunciando l’allineamento dell’agenzia di stampa ufficiale con i media “anti-rivoluzionari”, senza però convincere nessuno. È da tempo ormai che l’agenzia di stampa è entrata nel mirino dell’Irna per la creatività con cui confeziona i suoi servizi giornalistici, racchiusi la scorsa settimana in una perfida compilation di bufale che vanno da una fantomatica e colossale esercitazione militare congiunta tra Iran, Cina, Russia e Siria fino agli improbabili riferimenti al programma nucleare iraniano che avrebbero arricchito il discorso di ringraziamento a Hollywood del regista premio Oscar Asghar Farhadi.
Tutte “notizie” che erano state presto smentite, senza impensierire più di tanto la Fars. La propaganda di regime – in Iran come altrove – per sua natura teme poco le confutazioni che arrivano dell’estero, incriminanti semmai per i traditori che le ascoltano. La società iraniana post-rivoluzionaria però – e le sua stessa struttura politica – non è mai stato un monolite. E il conflitto in corso tra ultra-tradizionalisti clericali e rivoluzionari “laici” considerati blasfemi, raccolti attorno all’ormai azzoppato presidente Ahmadinejad (difeso da Irna ma nel mirino della Fars, che un tempo lo sosteneva) evidentemente fa vacillare anche l’abitudine di ricomporsi per presentare un fronte compatto davanti agli stranieri.
Liquidata come falsa l’intervista, non si può peraltro escludere che la Fars, inventandola, abbia dato la notizia troppo presto. La nuova presidenza egiziana sembra davvero intenzionata ad aprire una nuova fase nei rapporti con Teheran, congelati dopo la Rivoluzione iraniana e il riconoscimento dello Stato ebraico da parte dell’Egitto. Lo stesso Mohammed Morsi ha l’abitudine di chiamare Israele “entità sionista” e lo scorso febbraio, in qualità di leader dei Fratelli Musulmani, ha minacciato di “rivedere o denunciare” l’accordo di Camp David nel caso gli Stati Uniti avessero deciso di interrompere il sostegno economico all’Egitto. Per ora i soldi da Washington continuano ad arrivare (all’esercito in primis) e l’intervista rimane una bufala, per la quale l’ufficio del presidente Morsi ha intenzione di citare in giudizio la Fars.