L’Istituto per il commercio estero? Un ente inutile da abolire

L’Istituto per il commercio estero? Un ente inutile da abolire

Della sua utilità si è discusso all’infinito, senza capirci granché. Soppresso dalla manovra dello scorso agosto varata dall’esecutivo Berlusconi, è risorto dalle proprie ceneri come l’araba fenice grazie al decreto Salva Italia del governo Monti. Finito nell’orbita del ministero dello Sviluppo Economico guidato da Corrado Passera, che ha assegnato la presidenza a Riccardo Monti, già consulente di via Veneto per l’internazionalizzazione, il nuovo Ice (in teoria) dimagrito a quota 300 dipendenti, e un consiglio di amministrazione di 5 membri, pare sarà finanziato da Sace e Cassa depositi e prestiti e sarà focalizzato non solo sull’internazionalizzazione delle imprese italiane ma anche sull’attrarre imprese estere sul territorio nazionale. Un dossier che per ora è sulla carta, come confermano dalla Cdp, già peraltro impegnata nell’assistenza alle imprese all’estero assieme a Simest e Sace. Un impegno che, va da sé, rende inutile anche il nuovo Ice. 

L’ex presidente di Confindustria Emma Marcegaglia lo aveva definito «un papocchio che non aiuta», e non si contano gli imprenditori che negli anni si sono lamentati dello scarso rapporto qualità-prezzo dei suoi servizi. Insomma, l’Ice era il classico carrozzone. Tanto che, come ha confidato una fonte bancaria a Linkiesta, la Banca popolare di Vicenza ha deciso di aprire una filiale a Mosca proprio per intercettare una domanda, da parte degli imprenditori italiani, di gran lunga inevasa.  

Sul Sole 24 Ore di ieri l’ex presidente dell’Ice Umberto Vattani, padre di Mario, console a Osaka recentemente richiamato in Italia dalla Farnesina per via della sua militanza in un gruppo fascio-rock, spiega le ragioni a sostegno del suo rilancio. Citando le importanti commesse scaturite dalle «tante Missioni di Sistema organizzate insieme al Governo, alla Confindustria e all’Abi in Paesi strategici per la nostra politica economica e commerciale». Cioè proprio le maxi iniziative criticate in passato perché troppo costose e troppo poco mirate ed efficaci. Alcune delle quali imbarazzanti, come la missione in Cina del 2010, “declassata” dalle stesse autorità di Pechino per via dello scandalo che aveva appena colpito Claudio Scajola, allora titolare del dicastero che oggi è di Corrado Passera.

Anche a non voler prestare ascolto alle accuse di assunzioni pilotate, personale gonfiato a dismisura e preparazione inesistente, i numeri parlano chiaro. Le cifre del “Piano Performance 2011-2013” evidenziano che nel 2010 sono stati spesi «54 milioni di euro per il 2010 di risorse per il finanziamento del piano di attività promozionale» e «79 milioni di euro per il 2010 di risorse per il funzionamento dell’ICE». Già questo è un dato che dovrebbe far riflettere.

Nel novero dei successi conseguiti dai 679 dipendenti sparsi in 115 uffici in 86 Paesi – la cui retribuzione media annua è di ben 43mila euro – si possono riscontrare: «5.000 clienti partecipanti alle iniziative promozionali e fruitori dei servizi di assistenza erogati dall’ICE nel 2009», «843 iniziative promozionali nel 2009 con un contributo privato di 47 milioni di euro», «22.000 servizi di assistenza forniti alle imprese clienti/utenti, con ricavi superiori ai 3 milioni di euro nel 2009», oltre a «51.000 aziende italiane presenti nella banca dati dell’ICE consultabile da operatori stranieri». Nota bene: i ricavi e i contributi privati non arrivano neanche a coprire la metà dei costi della struttura. La quale, in compenso, riceverà 100 milioni di euro l’anno fino al 2013. 

Tanto o poco? L’ultimo bilancio dell’Icex, il corrispettivo iberico dell’Ice, racconta una storia simile: 200 milioni di euro concessi nel 2010, di cui 47 destinati al mantenimento dell’agenzia, composta da circa 600 dipendenti spalmati su 100 uffici esteri e ben 31 nazionali. A giudicare dal Plan integrado de refuerzo de las exportactiones y de las inversiones extranjeras di fine dicembre 2011, che conferisce all’Icex altri 100 milioni di euro, i risultati sono stati al di sotto delle attese. Una fonte giornalistica iberica racconta a Linkiesta che fino a poco tempo fa, soltanto a San Paolo le Comunità autonome spagnole avevano 11 uffici, mentre ora la Regione di Valencia è stata la prima a tagliare i propri per integrarli all’istituto nazionale, che dipende dal ministero dell’Economia. 

La transalpina Ubifrance, che secondo Vattani ha copiato dall’Italia alcuni progetti, nel 2011 ha ricevuto, come previsto dall’Assemblea nazionale, 104 milioni di euro (+14,2% sul 2010), fondi necessari a mantenere 80 uffici in 60 Paesi e 1.400 dipendenti. L’anno scorso l’agenzia ha seguito 20mila imprese, ha partecipato a 813 eventi promozionali collettivi accompagnando 13.800 aziende, e ha realizzato 3.400 missioni individuali promozionali. Ha inoltre accompagnato 7mila stagisti in giro per il mondo attraverso il Vie (Volontariat internazional en enterprise) . Lo scorso settembre Ubifrance ha siglato un Programma 2012-2014 che prevede un aumento delle consulenze a quota 60mila imprese e l’obiettivo della conclusione di almeno un contratto su tre società seguite dall’agenzia.

Nel rapporto sull’attività 2011, tuttavia, si scopre che è proprio da Vie che arriva la maggior parte delle entrate: 177 milioni di euro pagati dalle imprese avere una persona da mandare all’estero da 6 a 24 mesi per creare una struttura o ampliare il proprio business. Un’idea che non solo ha contribuito a chiudere il 2011 in utile per 262mila euro, ma che la dice lunga su come si fanno affari all’estero: meno fiere più persone.

Twitter: @antoniovanuzzo 

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