Non c’è pace per la Spagna. Due settimane fa, l’ammissione della necessità di un sostegno internazionale per le proprie banche. Oggi, l’ennesima reiterazione del fatto che lo stato del Paese non è comparabile a quello in cui versa la Grecia. I rendimenti dei titoli di Stato iberici a dieci anni rimangono sopra quel 7% considerato come limite della sostenibilità dalla banca americana Goldman Sachs un anno fa. Da Madrid chiedono, informalmente, il supporto della Banca centrale europea (Bce) sui mercati obbligazionari. Nel frattempo il cancelliere tedesco Angela Merkel si attende una richiesta formale «quanto prima». Ma difficilmente questa arriverà prima della prossima settimana. «Dipende quando arriveranno le stime sulle perdite del sistema bancario. Prima arrivano, prima ci sarà la richiesta di aiuto», dice a Linkiesta un diplomatico spagnolo.
La road map che porta al salvataggio del sistema bancario spagnolo prevede alcune tappe obbligate. La prima è la presentazione dell’audit di Roland Berger e Oliver Wyman, attesa in questi giorni. Nelle previsioni del governo di Mariano Rajoy c’è una richiesta di aiuto finanziario per circa 100 miliardi di euro. Ma, come sta circolando negli ambienti bancari europei, non si può escludere che la cifra finale possa essere più elevata. «Noi ci attendiamo circa 126 miliardi di euro di intervento per la ricapitalizzazione delle banche spagnole», ha scritto in una nota la banca francese Crédit Agricole. Non è ancora chiaro tuttavia il meccanismo con il quale saranno erogati i fondi, se con il fondo salva-Stati temporaneo European financial stability facility (Efsf) o con quello permanente European stability mechanism (Esm), che entrerà in vigore da inizio luglio. «È probabile che si possa usare direttamente l’Esm», spiegano a Linkiesta fonti europee. Tutto dipenderà dall’iter di ratifica del Trattato di funzionamento del fondo stesso, che può contare su una dotazione da 500 miliardi di euro. «La potenza di fuoco più elevata e la maggiore flessibilità dello Esm sono elementi che stanno facendo propendere la Commissione europea verso questa soluzione, ma la risposta definitiva credo si avrà solo la prossima settimana», ha sottolineato il funzionario Ue. Quello che è certo è che le risorse passeranno attraverso il Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (Frob), lo speciale fondo creato nel 2009 dall’allora premier José Luiz Rodriguez Zapatero.
C’è però attesa per il secondo audit, questa volta condotto dalle quattro sorelle di questo settore: Deloitte, Kpmg, PwC ed Ernst Young. Questo controllo, più completo e approfondito, secondo fonti europee sarà pronto solo per settembre, ma Madrid smentisce e dice che sarà presentato il 31 luglio. Non ci sono ancora previsioni su quale esito darà. Ma guardando ai dati del Banco de España è difficile che sia positivo nei confronti del sistema bancario iberico. I crediti inesigibili sono saliti in febbraio al massimo livello dal 1994, toccando l’8,16%, in netto aumento rispetto al 7,91% fatto segnare in gennaio. «La tendenza è in aumento ed è possibile che si superi quota 10% entro la seconda metà dell’anno», ha spiegato la banca centrale nazionale. E dire che nel 2007 questo valore era intorno all’1 per cento. Il motivo di questo incremento è imputabile al deterioramento del mercato immobiliare iberico, iniziato a partire dall’agosto 2007. Le prospettive non sono buone: secondo la banca statunitense Goldman Sachs nei prossimi 18 mesi i prezzi delle abitazioni possono ancora calare del 25 per cento. In questo scenario, i crediti dubbi hanno raggiunto i 144 miliardi di euro, mentre l’esposizione degli istituti di credito spagnoli al mercato degli immobili rimane fissa a 605 miliardi, sempre secondo i calcoli del Banco de España.
A testimonianza della situazione precaria in cui versa Madrid, oggi è intervenuto anche Moritz Kraemer, managing director della divisione European sovereign ratings di Standard & Poor’s. «Un ulteriore downgrade della Spagna non è inevitabile, ma è chiaro che bisogna attendere l’arrivo dell’audit bancario», ha spiegato. Attualmente il rating sovrano della Spagna secondo S&P è di BBB+, dopo il taglio di due note effettuato a fine aprile. Sono solo due i gradini che separano il giudizio di Madrid dal territorio junk bond, le obbligazioni con un maggiore rischio. «Un eventuale declassamento potrebbe far cadere la Spagna in una spirale simile a quella vissuta da Grecia, Irlanda e Portogallo», spiega Citigroup in un report di due settimane fa. Questo perché i portafogli degli investitori istituzionali hanno un rating minimo, che in molti casi non può essere pari o inferiore allo status di junk.
Intanto, la Spagna continua a scendere sui mercati obbligazionari. Oggi il Tesoro Público ha collocato circa 3 miliardi di euro di bond con scadenza a 12 e 18 mesi. Per i primi il rendimento promesso è stato del 5,074%, in netto rialzo rispetto al 2,985% dell’asta precedente. Per i secondi invece il tasso d’interesse è stato del 5,107%, anch’esso in aumento nel confronto con l’ultima volta, quando il Tesoro era riuscito a collocare i suoi titoli a 18 mesi al 3,302 per cento. Continua a essere elevato il rischio calcolato dagli operatori, che richiedono tassi sempre più elevati. Del resto, come aveva spiegato poche settimane fa il ministro del Bilancio Cristóbal Montoro, alla vigilia della richiesta di aiuto, la Spagna ha quasi perso l’accesso ai mercati obbligazionari.
Sebbene la domanda di titoli di Stato spagnoli sia ancora buona, si continua a invocare il sostegno della Banca centrale europea. Come avvenne quasi un anno fa, l’istituzione guidata da Mario Draghi potrebbe scendere sui mercati obbligazionari secondari per l’acquisto di bond tramite il Securities markets programme (Smp). Questa, tuttavia, è ciò che vorrebbe la Spagna. Ma come ha già ribadito più di una volta l’Eurotower, per ora non ci sono margini per il ritorno di una misura, il Smp, da sempre considerata temporanea. «L’unica soluzione in campo è quella del sostegno tramite l’Esm, ma nemmeno questo potrebbe bastare», ha messo in guardia Citigroup, che resta convinta che si arriverà a un pieno programma di salvataggio, come stato per Atene, Dublino e Lisbona. Ma di questa soluzione, a Madrid, nessuno vuole sentirne parlare.