BERLINO – Dopo una settimana di maratona europea, Angela Merkel appare provata e seria di fronte al Bundestag. Quando deve spiegare le concessioni accettate a Bruxelles, il suo discorso singhiozza, più volte ricorre all’aiuto degli appunti e poi liquida la questione: «Gli accordi di questa mattina a Bruxelles non cambiano in nessun modo su quello che si vota qui stasera», se le decisioni prese sono state interpretate come una sconfitta, è stato solo «un problema di comunicazione», assicura, mentre dal Parlamento che si prepara a votare patto fiscale e meccanismo europeo di stabilità (Esm) arrivano sonore proteste.
Alla fine la maggioranza del governo, con l’appoggio dei principali partiti dell’opposizione, tiene. Ci sono i due terzi dell’emiciclo necessari per dire “sì” alla legge che sancisce l’austerità del bilancio e introduce il fondo di salvataggio per proteggere l’Europa dalla presente e dalle future crisi. Merkel salva la faccia e tira un sospiro di sollievo: superata questa, il governo reggerà fino alle prossime elezioni.
Sono passate da poco le otto di mattina quando le partite dell’Europeo finiscono a fondo pagina dei quotidiani on line, ma la sconfitta resta in apertura. «Angela Merkel perde in una giornata storica», è la sentenza di Die Welt, testata conservatrice vicina alla cancelliera, «La notte in cui Merkel ha perso», è l’eco di Spiegel On Line. La stampa tedesca non ha dubbi sull’interpretazione dei risultati del vertice di Bruxelles: Spagna e Italia portano a casa la vittoria, è una “cesura” all’interno della crisi dell’Eurozona. La Germania accoglie con sorpresa quello che l’opposizione ha già definito come «una svolta di 180 gradi» del governo.
«La più astuta si arrese», è il titolo di un articolo di opinione di Christian Rickens per Spiegel On Line. Nel testo riassume così la situazione: «Nella lunga notte di Bruxelles Merkel ha dovuto cedere sulle posizioni tedesche. Però in particolare riguardo a quelle che in ogni modo non si potevano mantenere. In cambio il primo ministro italiano si è assicurato una vittoria di cui ha urgentemente bisogno in politica interna».
Critica nei confronti dell’Italia, arriva la lettura del principale quotidiano conservatore, la Frankfurter Allgemeine Zeitung, che assicura ai suoi lettori che l’Italia «prepara la strada per chiedere gli aiuti», per poi passare a sottolineare alcune incongruenze tra le dichiarazioni di Merkel e quelle di Monti. Mentre Monti dice che non ci sarà bisogno di sottomettersi a controlli esterni in futuro per chiedere gli aiuti alle banche. Merkel invece sottolinea che nonostante gli aiuti vadano direttamente alle banche, la richiesta deve partire dal governo che dovrà a sua volta rispettare condizioni. Ci sono in gioco i soldi dei contribuenti e si parla di strumenti che entreranno in vigore dal 2013, anno delle elezioni in Germania. Nessuna sorpresa che Merkel insista su controlli e condizioni.
È ancora mattina presto quando Hermann Gröhe, segretario generale della Cdu cerca di gettare fumo negli occhi alla stampa con una dichiarazione in cui celebra le «abilità» di Frau Merkel che è riuscita a «mantenere il suo ‘no’ di fronte a dubbiosi progetti di mutualizzazione del debito in Europa». Un risultato di cui essere felici, secondo uno dei fedeli della cancelliera. Passano pochi minuti e arriva la voce della coscienza della Cdu, il partito conservatore di Merkel: Wolfgang Bosbach, presidente della commissione interni del parlamento non va per il sottile: «L’unione monetaria dá passi decisi verso una transferunion», denuncia Bosbach, «è una buona notizia per gli investitori ma una brutta notizia per i contribuenti».
Passano le ore e la commissione bilancio del parlamento annuncia una riunione straordinaria. «Il Governo deve spiegare il suo giro di 180 gradi», scrive su Twitter Carsten Schneide, responsabile del bilancio del partito socialdemocratico Spd, principale forza dell’opposizione che ha promesso a Merkel il suo appoggio nella votazione. Poco dopo arriva il «no comment» di Martin Kotthaus, portavoce del ministro delle Finanze Schäuble, sulla domanda riguardo alla necessità o meno di modificare la legge che prevede l’adozione del Meccanismo di Stabilità (Esm). A quel punto qualcuno ha temuto il peggio.
Ma poi la Merkel, ancora da Bruxelles inizia a parlare di «leistuing und gegenleistung», sarebbe a dire «prestazioni e contropartite», do ut des, e assicura che non darà niente senza avere qualcosa in cambio. E ancora: «Konditionen». Di fronte al parlamento difende i risultati che le fanno comodo: il patto per la crescita, un pacchetto da 120 miliardi più dieci miliardi per la Banca di investimento europea, l’organo di controllo del settore bancario e ancora la tassa sulle transazioni finanziarie «perché anche il settore della finanza deve dare il suo contributo per superare la crisi».
Merkel non ha dubbi: «Il mondo ha sette miliardi di abitanti e tutti vogliono vivere nel benessere. In Europa siamo 500 milioni e apportiamo il 25% del Pil mondiale. (…) Se vogliamo continuare vivere nel benessere abbiamo bisogno di finanze solide e competitività». Il patto fiscale, l’accordo in cui si prescrive all’Europa intera l’austerità come medicina, è secondo la cancelliera il fondamento di una «unione di stabilità». Mentre l’Esm è lo strumento necessario per proteggere la moneta unica dai rischi futuri. Il voto di questi strumenti nel parlamento tedesco è, nell’interpretazione di Merkel, «il segnale che l’Europa si aspetta dalla Germania». Prima di lasciare il podio ringrazia l’opposizione per il confronto «costruttivo» e l’appoggio sulle politiche europee.
Poco dopo il leader socialdemocratico Sigmar Gabriel spazza tutti i dubbi e nonostante le critiche conferma l’appoggio del partito al patto fiscale. Però annuncia che se il patto deve essere modificato, e tra le righe intende nella direzione voluta da Monti, la cancelliera sarà costretta a vedersela un’altra volta nel parlamento, non tanto con l’opposizione, piuttosto all’interno della sua stessa coalizione. E forse è anche quello che Merkel vuole: un’uscita secondaria per ovviare la sconfitta di Bruxelles. Ma alla fine il Bundestag approva il Fiscal compact con 491 si, 111 no e 6 astensioni quando erano 414 i voti necessari per la approvazione e c’è anche la maggioranza di 2/3 del parlamento per l’Esm.