Gian Angelo Bellati, lei è direttore di Unioncamere Veneto dal 2003 e responsabile dell’Eurosportello.Vorremmo parlare con lei dei costi del mancato federalismo…
Intanto il processo federalistico è totalmente fermo. Questa è la prima cosa da dire. La seconda è che il Sose, la Società per gli Studi di Settore, doveva fare questi studi anche sugli enti pubblici… Bene, hanno i dati pronti ma non li lasciano pubblicare. Non vorrei che sia perché il Veneto – lo cito perché è la regione di cui mi occupo – è particolarmente virtuoso rispetto alle altre regioni.
I dati li hanno già, e siccome dovevamo pubblicarli per gennaio, il sospetto sorge. Questo studio è importante perché è alla base dell’individuazione dei cosiddetti fabbisogni standard che imporrebbero finalmente di fare delle manovre differenziate, perché la parola magica per noi è: “Non più fare manovre uguali per tutti i territori, per tutte le aree, per tutte le regioni italiane. Chi è stato virtuoso deve essere premiato. Chi è stato sprecone deve essere punito”. Ma, attenzione, noi non vogliamo che venga punita l’impresa delle aree sprecone, perché è la prima vittima dello spreco. Ma deve essere “punita” la pubblica amministrazione che è stata sprecona: il comune, la provincia, la regione, lo Stato, perché lo Stato ha un sacco di dipendenti che sono nel territorio regionale. Insomma, se io scopro che lo Stato mi mette dieci volte tanto di funzionari all’interno di un tribunale rispetto a un altro, non è giusto. Se mi mette tutti gli insegnanti e i professori in un’area piuttosto che in un’altra, non va bene. Allora, il vero nocciolo – e potremmo praticamente concludere l’intervista qui – è questo. Gli studi del Sose dovevano fare una radiografia anche sulla spesa fissa. Almeno questo noi l’avevamo chiesto da tanto tempo. La spesa fissa sono i dipendenti. Il problema della spesa pubblica italiana non è la spesa per l’investimento. La spesa per l’investimento è addirittura bassa nel nostro Paese, potrebbe essere rafforzata. Ripeto, è la spesa fissa che è altissima. Che vuol dire che noi abbiamo troppi dipendenti pubblici. Ormai questo deve essere detto con chiarezza, apertis verbis, con tutti: abbiamo troppi dipendenti pubblici. Che vuole dire: troppa spesa per dipendenti, stipendi mediamente più alti che in tutti gli altri paesi europei. Si dice: “La maggior parte guadagna poco”. Non è per niente vero, perché c’è una percentuale altissima di dirigenti. In Regione Sicilia ce n’è uno ogni tre dipendenti. L’avvocatura dello Stato ha provato a intervenire, ma non c’è riuscita perché hanno lo statuto speciale, cioè l’autonomia usata male. Ma com’è possibile averne uno ogni tre? In Veneto ne avranno uno ogni cinquanta.
Ma poi non c’è solo il numero dei dipendenti, ci sono gli immobili e le relative spese, le auto blu, ecc. Queste voci (numero e costo dei dipendenti, consumi intermedi), se calibrate con i parametri veneti, cioè con la spesa pubblica di tutti gli enti del territorio, porterebbero un risparmio a tutto il Paese di trenta miliardi di euro l’anno. Cosa vuol dire questo? Che in Veneto la pubblica amministrazione non costa tanto, cioè c’è tanto da fare, però è performante, nel complesso funziona. Invece ci sono alcune regioni dove c’è troppa gente, troppi dipendenti che massacrano poi quelle stesse economie perché nessuno fa più attività d’impresa. Quei soldi sono come una droga da questo punto di vista.
Dirò di più, questa massa di dipendenti pubblici non solo incidono troppo pesantemente sulla spesa pubblica, ma creano complicazione amministrativa. Perché poi quando uno è di troppo o non fa nulla da mattina a sera, oppure cerca di trovare qualche modulo, qualche formulario da far riempire…
Lei provocatoriamente diceva che era preferibile dare degli ammortizzatori…
Ma certo, e questo in contrasto con la riforma Fornero che invece vorrebbe mantenere ancora più a lungo posti di lavoro inutili. Sono le solite riforme fatte uguali per tutti, come se l’Italia fosse uguale da nord a sud, da est a ovest. E come se tutti i mestieri fossero uguali. Ora questa riforma va a influenzare persino le forze armate. Ma come possiamo pensare che un settantenne possa svolgere queste mansioni? Così ci condanniamo a mantenere nelle pubbliche amministrazioni un sacco di gente il cui lavoro non è utile. Laddove sarebbe meglio, invece, mandarli in pensione anticipata col 60%, in maniera tale che si riduce il numero di dipendenti liberando la pubblica amministrazione da un peso eccessivo, che poi è concentrato in alcune regioni e nello Stato.
Anche adesso, con la spending review, invece di guardare a se stesso e colpire il proprio spreco interno, lo Stato va a tagliare le spese decentrate, la sanità, ecc. Non ha senso. Dallo Stato dipende oltre la metà dei dipendenti pubblici di questo Paese, altro che federalismo! In Germania, dove il federalismo c’è, dallo Stato dipende l’11% dei dipendenti. Da noi è il 56%! Che poi siano distribuiti sulle regioni, a me poco importa. Se venisse applicato l’art. 116 della Costituzione sul federalismo differenziato, bisognerebbe avere questi dipendenti alle dipendenze della regione. Ma chi è che ferma questi processi? Chi è che ferma la pubblicazione dei dati del Sose?
Alla fine, questa politica di voler trattare tutti alla stessa maniera, che cosa provoca? Provoca che, nelle regioni produttive tu hai una compressione fiscale spaventosa. Le aziende o chiudono oppure delocalizzano, creando problemi di disoccupazione, i quali vanno a pesare sullo Stato. Così questi lavoratori vanno a prendere i soldi dalle casse pubbliche, invece di produrli… e questo in una situazione in cui già lo Stato non ha soldi o ne ha sempre di meno.
Ecco perché le banche, coi soldi della Bce, comprano i titoli di Stato, invece che darli alle imprese. E così vengono bloccati 103 miliardi di crediti che le aziende vantano nei confronti delle pubbliche amministrazioni, con un effetto devastante sulla società, perché l’azienda che ha lavorato non riceve i soldi dal sistema pubblico e quindi non può pagare i suoi fornitori, i quali, a loro volta, non possono pagare i loro fornitori. Si spezza il regime di fiducia.
Diceva che invece in Gran Bretagna le tasse sul lavoro, pur in un periodo di crisi, sono state ridotte…
La Gran Bretagna ha ridotto di due punti l’imposizione fiscale. Noi continuiamo ad aumentarla. Bisogna capire che questa compressione fiscale alla fine è un’operazione suicida per il nostro tessuto produttivo. Perché? Perché tu impedisci alle imprese di produrre con efficacia ed efficienza, di essere competitive e quindi alla fine per assurdo riduci l’imposizione fiscale perché ci sono sempre meno imprese, meno lavoratori e quindi meno redditi da tassare. Ripeto: è un suicidio per le regioni del Nord, che – non dimentichiamolo! – sono quelle che alimentano la finanza pubblica delle regioni del sud. Quindi, alla fine, tu colpisci anche le regioni del sud!
Nessuno si assume la responsabilità di dire: “Invece di andare alla morte economica, prendiamo il toro per le corna”. Perché dobbiamo andare a mettere in ginocchio le regioni del meridione, dopo aver messo in ginocchio quelle del settentrione, quando avremmo invece potuto subito ridurre i dipendenti pubblici?
Ci sono delle regioni del Sud che spendono in maniera smisurata. La Calabria, che è forse l’esempio peggiore, ha una spesa pubblica rispetto al Pil che arriva al 70%. Noi l’abbiamo al 31%. Se è vero che la Costituzione dovrebbe trattarci in maniera uguale, insomma, dovrebbe esserci almeno un dislivello minore: aiutiamo sì, ma non esageriamo, perché sennò facciamo assistenzialismo.
Qui noi non stiamo dicendo “annulliamo la solidarietà”. Anzi. Ma facciamo investimenti, non spesa per dipendenti pubblici. Anche perché sennò tu hai questo effetto terribile che, dopo la cosiddetta perequazione, il Veneto, che è la seconda regione come ricchezza d’Italia, passa al dodicesimo posto. E questa è un’ingiustizia. Per cui, oltre che avere un suicidio, un sistema drogato che non può più rigenerarsi, noi abbiamo addirittura una situazione di ingiustizia fiscale che grida vendetta. Infatti qui monta la rabbia tra la gente. Non si può sopportare di sentire quanto costano le migliaia di forestali in Calabria o i dipendenti della Regione Sicilia. Cioè in Veneto ci sono 2000 dipendenti, in Sicilia ce ne sono 24.000. Una volta, tutto questo si pagava col debito pubblico, cioè caricando questo peso sulle generazioni future. Uno sconcio anche questo, eppure è stato fatto. Oggi non c’è più modo di fare debito pubblico per pagare queste chiamiamole vergogne. Dobbiamo rendere sana la spesa. Ma non si può pensare di farlo solo con Equitalia, che magari insegue imprese che allo stesso tempo vantano crediti nei confronti del sistema pubblico! Bisogna anche far sì che queste ingiustizie vengano cancellate.
Può spiegarci la questione del “residuo fiscale” e di come questo meccanismo finisca col creare una concorrenza sleale in Europa per le nostre imprese?
Il residuo fiscale fa parte di queste ingiustizie fiscali. In sostanza si obbligano le regioni più produttive a fare un trasferimento “fuori regione” di circa un terzo delle tasse che vengono pagate. A livello Veneto vuol dire diciotto miliardi di euro l’anno. Circa 3400 euro pro capite, compresi i bebè. Ecco, questi diciotto miliardi, che corrispondono a poco meno di un terzo delle tasse (che sono in diminuzione proprio perché le aziende chiudono) escono dal territorio, ma – attenzione – non vanno spesi in investimenti, ma in assistenzialismo. Quindi sono deleteri, come una droga.
Ma non finisce qui. Faccio una provocazione: se noi fossimo un land tedesco, come fondi di perequazione, noi dovremmo dare sei, sette miliardi (non diciotto). Perché la Costituzione tedesca prevede che una regione, un land, che è al secondo posto deve rimanere comunque al secondo posto, sennò c’è ingiustizia fiscale. In questo caso, al Veneto rimarrebbero quindi dagli undici ai dodici miliardi sul territorio che potrebbero abbattere le tasse alle nostre imprese, oppure produrre più infrastrutture, più servizi, eccetera eccetera.
Infatti, come fanno le nostre imprese, che magari vengono criticate, a far fronte alle imprese bavaresi, alle imprese del Baden-Württemberg? Lavorando il fine settimana! In Germania, alle 17, la gente va a casa, va a fare altre cose, sta con la famiglia, va in palestra, magari fa un po’ di cultura… Da noi si lavora fino a tarda sera, tutti i giorni. I nostri imprenditori hanno sopperito in questa maniera al gap di competitività. Il problema è che questa differenza sta aumentando.
Ecco perché la Germania riesce ad esportare così bene. Noi ce la facciamo ancora perché la gente lavora di notte e il fine settimana. Ma l’export, che è l’unico dato positivo che abbiamo in questo momento, in base alle ultime rilevazioni della nostra indagine congiunturale, sta cominciando a frenare. Ora, cosa succede quando la domanda estera, e quindi l’export, diminuisce, visto che è l’unico dato che tiene ancora in piedi le nostre regioni produttive?
Io faccio questa metafora. Noi siamo un grande nuotatore, che nuota velocissimo, potrebbe superare tutti in Europa; il nuotatore veneto, lombardo, emiliano potrebbe essere il più veloce di tutti, invece ha un cappio attorno al collo con un masso che diventa sempre più grande, sempre più pesante… Fino adesso ha resistito, nuotando sempre più veloce per rimanere a galla, ma il peso crescente del masso lo sta trascinando verso il fondo.
Questo ce lo dicono i numeri. Questo non è un discorso politico. Tra l’altro segnalo che noi, già dal 2005 avevamo notato che gli investimenti diminuivano. Proprio adesso la Safilo manda a casa mille persone. E i sindacati hanno criticato l’impresa per la mancanza di investimenti: “Come si fa a fare impresa senza investimenti?”. Bene, gli investimenti non ci sono perché non ci sono più profitti da molto tempo. Ma questo noi l’avevamo segnalato già nel 2005. Noi facciamo l’indagine su più di duemila imprese e la media già allora era quella di non investire più. Ma quando tu non investi più oppure riduci gli investimenti, il risultato, l’effetto negativo, non lo vedi il giorno dopo, lo vedi casomai a cinque-dieci anni di distanza. Guarda caso ci siamo in pieno!
Questo per dire che i mali li avremmo dovuti affrontare già alla fine dello scorso millennio. Oggi siamo in un ritardo spaventoso. Forse non si riesce più a tornare indietro. Dal punto di vista nostro, dei nostri numeri, tu torni indietro solo se vai a pensionare anticipatamente questi circa 600.000 dipendenti di troppo e aumentando la spesa di investimento anche nel settore pubblico. Se questo non viene fatto, o c’è qualche santo in paradiso… ma dal punto di vista della matematica e della statistica, noi francamente non riusciamo a capire come se ne possa venir fuori.
In Germania si parla anche di solidarietà orizzontale…
Negli anni Settanta, i partiti al potere, in cambio della nascita delle regioni, hanno voluto l’accentramento fiscale. Sono state così eliminate le tasse locali. Con l’accentramento fiscale noi abbiamo perso il controllo dei soldi che mandavamo a Roma e lì è cominciata la devastazione del debito pubblico.
Ecco perché noi siamo per il federalismo e il decentramento fiscale. In Germania questo errore non l’hanno fatto. Addirittura, laggiù la solidarietà maggiore non la fanno mandando i soldi allo Stato che poi li riversa sulle regioni, ma sono i lander più ricchi che danno direttamente ai lander più poveri. Danno per legge, ma possono controllare come spendono. E quindi in Germania il controllo della spesa di solidarietà viene fatto rigorosamente. Per cui la solidarietà c’è, ma è vera solidarietà, non è assistenzialismo, non è permettere alle regioni più povere di drogarsi come è stato fatto con le nostre regioni meridionali, che quindi hanno aumentato a dismisura i dipendenti pubblici, invece di dare fiato alle imprese, sviluppare il turismo, le infrastrutture, tutte queste cose. Poi sicuramente i tedeschi non hanno la criminalità organizzata che abbiamo noi. Noi abbiamo un fattore devastante in più… difatti le regioni più in difficoltà sono quelle dove più alto è il tasso di criminalità organizzata.
Qualcuno teme che col federalismo si abbandoni un po’ il Sud al suo destino.
Il Sud non viene abbandonato, anzi! Con il federalismo il Sud viene responsabilizzato. Purtroppo sembra che i dirigenti delle regioni meridionali questo non l’abbiano capito. In questo momento la lotta ormai è se soccombe prima il sistema pubblico o quello privato.
Poi c’è il problema delle banche…
Che comprano titoli di Stato invece di dare linfa alle imprese. Ho qui i dati della Banca d’Italia sugli acquisti fatti dalle nostre banche di titoli di Stato. Bene, a novembre 2011, erano 219 miliardi, siamo oggi a 304 miliardi. Un differenziale di quasi cento miliardi. Cosa vuol dire? Che la gran parte dei soldi della Bce è servita, da una parte, a comprare i titoli di Stato e dall’altro a mettere a posto i bilanci delle banche. Non sono stati dati alle imprese. Questo dato è impressionante.
Ma quello che più mi preoccupa è che è ormai evidente che si vuole salvare a tutti i costi la macchina pubblica senza ridurre la spesa, perché comunque la spesa non sta diminuendo, sta aumentando. E questo nonostante il blocco delle assunzioni, perché aumentano i privilegi, aumentano le pensioni, aumentano gli stipendi alti, ci sono gli scatti di anzianità… Tutto ciò che dipende dallo Stato aumenta. Mentre le regioni e gli enti locali hanno fatto una cura dimagrante, soprattutto quelle del centro nord, lo Stato no. Non c’è il senso del bene comune. E dall’altra c’è la stretta del credito.
Fino a qualche anno fa, la soluzione dei problemi della finanza pubblica erano le comunità montane. Bastava tagliare le comunità montane e si risolvevano i problemi dell’Italia. Bene, le comunità montane valgono lo 0,22% della spesa pubblica fissa. Adesso la medicina è: tagliare le province. Scoprendo che poi non puoi comunque mandare a casa i dipendenti, quindi non tagli niente. Ma le province valgono l’1,36% della spesa totale. Mentre lo Stato controlla il 56% per cento della spesa fissa. Ecco, si sono operati tagli sugli enti piccoli e anche sulle regioni, ma la spesa vera, quella dello Stato non è stata tagliata. O comunque è stata tagliata pochissimo, in confronto. Infatti la spesa relativa, rispetto al Pil, sta aumentando, non sta diminuendo. Anche perché, a furia di andare a colpire con l’imposizione fiscale annichilisci lo sviluppo economico e quindi anche il Pil diminuisce.
L’evasione fiscale: va benissimo intervenire, ma magari colpendo soprattutto dove ce n’è di più. Secondo dati non nostri, ma dell’Agenzia delle entrate, noi andiamo da un’evasione fiscale del 20% veneta al 65% della Calabria. Bisogna colpire dove si evade di più. Non solo in valore assoluto, anche in valore relativo rispetto al Pil. Ma anche se noi avessimo sanato l’evasione, cosa ne facciamo di quei soldi? Guardiamo quello che è il peso fiscale in questo momento anche con l’evasione. Sul Pil reale, senza aumentarlo fittiziamente dell’economia nera, il peso fiscale è del 55%. Il punto è: ma siamo certi che i soldi dell’evasione verrebbero poi dati indietro a chi è onesto? Oppure il loro destino è andare anch’essi ad alimentare la spesa pubblica?
Se non c’è chiarezza su questo – e non c’è – noi rischiamo che la lotta all’evasione abbia un effetto addirittura contrario a quello che dovrebbe avere. Perché, o immette denaro e liquidità presso gli onesti, altrimenti tira via risorse al sistema privato per darle al sistema pubblico.
Si dice sempre che il nostro Paese non attrae investimenti. Perché?
Al primo posto c’è la giustizia, i tempi infiniti della giustizia. Cioè questo non è più uno stato di diritto. Perché quanto tu ottieni giustizia, se la ottieni, dopo dieci anni, non è più giustizia. Quindi, il primo punto è questo: le imprese sono terrorizzate a venire in Italia per questa ragione.
Il secondo è il fisco: troppo opprimente, ingiusto, ma anche complicato. E questo non è che lo diciamo noi, lo dicono gli organismi internazionali.
Poi c’è la corruzione, le complicazioni burocratico-amministrative, per noi generate anche da un eccesso di numero di dipendenti e da un atteggiamento dello Stato che non è di eguaglianza col cittadino. Lo si vede nel momento in cui il cittadino o l’impresa avanza dei soldi da una parte e dall’altra parte deve darli. Se li avanza, non ha mai diritto di averli, quando deve darli, lo deve fare subito, pena delle sanzioni terribili. Questo che cosa vuol dire? Che il cittadino è suddito. Non è un vero cittadino. Oppure, se io ho una controversia con la pubblica amministrazione e attacco l’ente sbagliato, io perdo la causa anche se ho ragione.
Ma, scusa, dovrebbero essere gli enti fra di loro a mettersi d’accordo per sanare il diritto di un cittadino. Una pubblica amministrazione seria non va a mettere in difficoltà il cittadino: che sia il comune, la provincia, lo Stato, se tu cittadino hai ragione, io devo pagarti, devo darti ragione del tuo diritto. Quindi, diciamo, siamo in una situazione di sudditanza rispetto al sistema pubblico.
Non ha citato la rigidità dei contratti in entrata e uscita, l’art. 18…
Non ci risulta che sia al primo posto. Sicuramente la legislazione sul lavoro non è considerata un fattore positivo, ma dobbiamo dire che rispetto ad altri paesi europei non è che sia l’elemento con la “e” maiuscola.
L’altro problema, cui ha già accennato, è che oggi solo la spesa è decentrata, ma le entrate restano accentrate…
È così. Emblematicamente di tributi propri non si parla più. Non essendoci tributi propri succede che quasi tutte le entrate vanno a Roma e però, al contempo, gli enti pubblici locali hanno un sacco di competenze e di spesa. Questa discrepanza fra entrate basse e uscite alte, a livello locale, e invece entrate altissime e uscite più basse, a livello statale, è proprio la cosa che fa sì che ci sia una totale deresponsabilizzazione. È il discorso che facevamo prima rispetto alla Germania: non c’è il controllo sulla spesa. C’è il controllo sulle entrate, che può essere brutale verso il cittadino e l’impresa, ma non c’è il controllo sulla spesa.
Allora cosa bisognerebbe fare per uscire da quest’impasse? Riepilogando: riduzione del numero di dipendenti pubblici, manovre differenziate, favorendo le regioni competitive affinché possano proseguire ad avere delle aziende sane che poi pagano le tasse permettendo di fare solidarietà. Questo significa promuovere un’attuazione del federalismo fiscale molto più veloce. Da questo punto di vista ribadisco che la pubblicazione dei dati del Sose per avere la radiografia dei costi standard in Italia è fondamentale, assieme alla creazione di veri tributi propri, in attuazione sempre della legge del federalismo fiscale. Poi, come ho già ricordato, ridurre le spese fisse e aumentare le spese di investimento, ridurre l’imposizione fiscale che grava sulle imprese, contrastare l’evasione fiscale, accrescendo il ruolo di Regioni ed enti locali nel far emergere il sommerso. E soprattutto, ma questo è un fatto culturale: promuovere una responsabilizzazione della pubblica amministrazione con controlli più seri sul suo operato. E infine tutte quelle cose che ci consigliano dall’estero: la velocizzazione dei tempi della giustizia, la semplificazione del sistema fiscale e la semplificazione dei carichi amministrativi. Questa è la medicina.
*Articolo originariamente pubblicato su Una città