Nigel Farage vola nei sondaggi e ora a Londra guida l’opposizione

Nigel Farage vola nei sondaggi e ora a Londra guida l’opposizione

LONDRA – «Ha ragione Nigel» è il commento di Daniel davanti a uno schermo che mostra questo servizio sulle elezioni in Grecia, e il commento suona come un “chi l’avrebbe detto?”. Daniel è un operatore finanziario della City londinese, caso più unico che raro di elettore medio che per tre volte di fila ha votato con la maggioranza degli inglesi: Blair, Gordon Brown e Cameron. “Nige”, invece, è Nigel Farage: leader dell’Ukip, il partito arci-isolazionista, xenofobo e anti-ecologista che fino a due anni fa era praticamente sconosciuto e adesso si pappa – nei sondaggi – un terzo dell’elettorato Tory.

Chi l’avrebbe detto? Eppure i numeri parlano chiaro. Mentre ad Atene si vota sull’Euro, a Londra il partito della sterlina (con simbolo “£”) fondato in contemporanea all’UE da una manciata di Tory secessionisti indiavolati per la firma del trattato di Maastricht, oggi è dato nei sondaggi tra l’8 e il 13 per cento. Con i conservatori di Cameron al 32%, e i liberal-democratici che scendono sotto il 10%, l’Ukip (United Kingdom Independence Party) è la terza forza politica del Regno Unito. E strizza l’occhio a quei due terzi degli elettori conservatori che, come Daniel, dicono di volere il Paese fuori dall’Unione Europea.

Sulla crisi dell’Eurozona che imperversa, Farage e Daniel la pensano in modo molto simile. «Il governo deve indire un referendum – dicono – deve lasciare i cittadini liberi di decidere». E può darsi che Cameron li accontenti, se il trend nei sondaggi sarà confermato nelle prossime settimane. Eppure, puntare tutto sulla linea anti-Ue non ha mai premiato il partito di Farage alle elezioni locali, che alle ultime politiche si è aggiudicato appena due posti nella House of Lords. Sembrano passati anni, ma fino a ieri l’Ukip era il paradosso di un partito euroscettico, che esisteva quasi esclusivamente nel parlamento europeo (con 13 deputati, un soprendente 16% incassato nel 2009).

Come si è arrivati alla svolta? Le storie che circolano nei bar della City si intrecciano con quella di un signor nessuno assurto alle cronache nel 2010, quando si schiantò a bordo di un aereo che trainava lo striscione elettorale di un partito, allora, semisconosciuto. Sarà stato l’incidente – in cui il politico e il suo pilota si salvarono per miracolo – a portare fortuna a Nigel Farage? Da allora il capo dell’Ukip (eletto per la seconda volta proprio nel 2010) ha trasformato il partito da un caotico comitato “No EU” in qualcosa di molto simile a una Lega Lombarda d’oltremanica.

Il programma che Farage ha messo insieme per le amministrative 2012 è un pugno sui denti al politically correct. Va dallo stop all’immigrazione per 5 anni, al no categorico ai matrimoni gay e a tutto quello che “puzza” di Europa e di Cameron (persino l’introduzione della carta d’identità). Dagli aumenti alle spese militari «per portare la Royal Navy agli antichi splendori», alla “tolleranza zero” con il crimine. E ancora, come si legge nel sito dell’Ukip: «Liberare le forze dell’ordine dagli obblighi del politicamente corretto», abrogare lo Human Rights Act, ossia la Convenzione Europea per i diritti umani «per porre fine alla spavalderia dei criminali pregiudicati e degli immigranti illegali».

E se il partito di Farage non è ancora riuscito a “uccidere” i Tory, come recita un vecchio slogan, poco ci manca. Nelle città dove si è votato il mese scorso, l’Ukip è balzato a una media del 14% (5 punti in più rispetto a un anno fa), sottraendo voti proprio agli odiati conservatori. Il partito di Farage si è piazzato addirittura secondo in quattro seggi alle elezioni suppletive, e dai seggi rurali è sbarcato anche in quelli metropolitani. «Le defezioni in favore dell’Ukip hanno consegnato diverse città ai Labour», ha commentato il candidato conservatore a Plymouth, Gary Streeter. Lo stesso campione dei Tory Boris Johnson, da poco eletto sindaco di Londra, avrebbe avuto vita meno facile se il partito di Farage non avesse “dimenticato” di apporre il proprio sigillo a una lista civica (“Ukip: A Fresh Choice for London” è diventata, per un errore burocratico, solo “Fresh Choice for London” facendo perdere ameno due punti percentuali al candidato).

In questa situazione sono molti a chiedersi, come fa Patrick O’Flynn sul Daily Express, chi è il vero leader dell’opposizione? Se il Labour Miliband appare un po’ troppo distratto dagli scandali giudiziari che hanno travolto Cameron assieme magnate Rupert Murdoch, Farage risplende come un Umberto Bossi quarantenne, in cravatta e doppio petto. “Poco professionale”, “amatoriale”, persino “inaccettabile” dopo il suo intervento in difesa di un portavoce che aveva dato della “puttana” a una parlamentare Tory, il leader degli euroscettici è un ago della bilancia piuttosto insolito, in un momento in cui la somma di Labour e Tory, come ha osservato il fondatore di YouGov Stephan Shakespeare, arriva appena a coprire il 65% dell’elettorato inglese (il minimo storico dal 1951).

Forte dei numeri, l’Ukip è spavaldo come la Lega dei tempi d’oro. E Farage – che è presidente assieme al leghista Francesco Speroni dell’EFD il gruppo parlamentare europeo che riunisce, oltre a Ukip e Lega, partiti di ultra-destra come i Veri Finlandesi e il Partito Nazionale Slovacco – a Bruxelles fa la voce grossa. «Rajoy è il leader più incompetente – ha detto in occasione del prestito d 100 miliardi concesso alla Spagna – anche se nell’Ue c’è una bella competizione». Quanto a competenze finanziarie, rispetto ai “cugini” leghisti, il leader euroscettico rischia di passare per un tecnico. «Sul tavolo sono stati messi 100 miliardi e il 20% deve venire dall’Italia. Gli italiani devono prestare agli spagnoli al 3%, ma per avere quei soldi devono prenderli in prestito sui mercati al 7%. Quello che facciamo con questi aiuti è portare paesi come l’Italia verso nuove richieste d’aiuto».

Che sia proprio la dimestichezza sempliciona con i meccanismi della finanza a rendere Farage così popolare tra gli euroscettici di mezza Europa? «Ho conosciuto quel mondo e me ne sono andato», è il ritornello che ripete quando gli ricordano che, fino al 2002, ha lavorato come broker per una società della City. «Questo la dice lunga su che razza di gente circola da queste parti», commenta qualcuno. Non si sono ancora dimenticati, qui, di come in un intervento di un anno fa al Consiglio Europeo l’ex-broker paragonò il presidente Herman Van Rompuy a «uno straccio bagnato» e a «un bancario di basso livello». Eppure oggi non è difficile incontrare bancari di basso livello, nella City, pronti a dare il loro voto all’Ukip alle prossime elezioni generali.  

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