Noi, ricercatori senza futuro dell’università italiana

Noi, ricercatori senza futuro dell’università italiana

Passioni, speranze, dubbi. I giovani neolaureati italiani, che aspirano alla carriera universitaria, nel nostro Paese sembrano non avere futuro. La riforma Gelmini, a un anno dalla sua introduzione, ha di fatto bloccato le assunzioni nel mondo accademico. Decine di migliaia di precari vengono espulsi ogni anno a causa del blocco del turn-over: solo nell’ultimo anno si è passati dai 33 mila precari della ricerca a soli 13.400. Ai dipartimenti non resta che attingere a fondi e assunzioni esterne, utilizzando ulteriori contratti precari o aumentando il numero dei dottorati senza borsa di studio.

Chi sono i dottorandi senza borsa di studio? Sono persone che per fare ricerca, e quindi per lavorare, sono costrette a pagare. Ovvero non solo non percepiscono un euro, ma sono tenuti anche a sborsare i soldi della retta universitaria, che è scelta in maniera discrezionale dai singoli atenei. Secondo i dati dell’Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani (Adi), i minimi della tassazione oscillano da 30 a 1.550 euro e i massimi da 30 a 2.204 euro.

Le borse di studio negli ultimi tre anni sono state ridotte di circa il 26%, passando da 5.553 a 4.112. Ma la situazione è critica anche per chi all’interno dell’università viene riconosciuto come figura indispensabile, per chi fa ricevimento o addirittura tiene lezioni, per chi passa ore al microscopio a osservare cellule che un giorno potrebbero (o meglio, avrebbero potuto) salvarci la vita, per chi in qualsiasi Paese europeo sarebbe accolto a braccia aperte. Basti pensare che l’85% dei 13.400 assegnisti odierni non potrà continuare la propria carriera universitaria e più della metà abbandonerà la ricerca senza alcun ammortizzatore sociale. 

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