Quando parla del presidente Napolitano è solo “Giorgio”, quando deve citare l’inquilino della Casa Bianca, allora lo chiama “il presidente Obama”: Joseph La Palombara svela così, con questo vezzo, la sua familiarità anagrafica con una certa Italia e un po’ di distacco da una certa America. Abbiamo incontrato il politologo della Yale University a Istanbul, a margine di un convegno sulle rivolte arabe. Una conversazione iniziata davanti ad un capuccino fuori dalla chiesa di San Salvatore in Chora, con aneddoti sulla Prima Repubblica (a casa sua, vicino a Piazza di Spagna, per la prima volta un esponente del Pci, proprio Giorgio Napolitano, incontrò l’ambasciatore Usa), e conclusa il giorno dopo parlando di economia ed Europa.
Joseph La Palombara non nasconde la sua preoccupazione per l’immobilismo europeo nell’affrontare la crisi, ma non lesina critiche all’amministrazione Obama: «Mi aspettavo una reazione decisa dai governanti europei; speravo in un esito diverso dell’ultima riunione del G8. Invece sono uscite solo belle parole ma nessuna indicazione concreta per la crescita. E pensare che in Europa potrebbe arrivare una nuova ondata negativa».
Professor La Palombara, lei sta dicendo che non solo i repubblicani, solitamente critici verso l’Europa, ma anche i democratici sono preoccupati dall’immobilismo del Vecchio Continente?
Direi che il presidente Obama si aspettava un risultato diverso dall’ultima riunione del G8. Forse si aspettava qualcosa di più anche dal Primo Ministro italiano, l’abile Mario Monti. I leader europei hanno detto solo che non basta l’austerità, occorrerebbe la crescita ma sono stati generici, non hanno detto come.
La vittoria di Hollande in Francia potrà cambiare qualcosa?
Speriamo. Speriamo che la vittoria di Hollande in Francia insieme alla vittoria della sinistra nelle ultime elezioni regionali in Germania convinca la signora Merkel che deve cambiare atteggiamento e deve cambiarlo in fretta.
Non solo il movimento di Occupy Wall Street si domanda come sia possibile che chi ha causato la crisi, il grande capitale finanziario, adesso possa risolverla…
Beh, è vero che la crisi inizia a Wall Street, è vero che gli Stati Uniti hanno fatto dei grossi errori nella regolamentazione del mercato finanziario. Però è troppo semplice dire che la colpa è del governo Obama o anche dell’ultimo governo Bush: la crisi comincia durante il mandato Clinton, perché si è abolita – su sua iniziativa – una legge del 1933, la Glass-Steagall, che distingueva il ruolo delle banche d’affari da quelle che prestavano soldi per i mutui. Venendo meno quella separazione formale e sostanziale, le banche si sono buttate in attività finanziarie particolarmente rischiose. In questi ultimi mesi, a dire il vero, l’Europa non ha fornito quella risposta che invece il presidente Obama ha dato: un lento sviluppo dopo una forte recessione. Questa mancanza di risposte da parte dell’Europa è altamente preoccupante.
Il Glass-Steagall Act (dal nome dei due esponenti politici che la proposero) cercava di rispondere al panico creato dalla grande crisi del ’29. Si fondava su due capisaldi: la creazione della Federal Deposit Insurance Corporation per garantire i depositi e controllare la solvibilità delle banche, e la separazione tra attività bancaria tradizionale (prestiti e mutui) dall’attività bancaria di investimento. La sua abolizione durante la presidenza Clinton è uno dei passaggi fondamentali per capire dove siamo finiti: l’abbondante liquidità dovuta alla liberalizzazione dei movimenti di capitale trova nell’abrogazione del Glass-Steagall Act la leva per inventare nuovi prodotti finanziari. La politica espansiva della Federal Reserve nei primi anni 2000 aggiunge ulteriore liquidità, che spinge le “locuste” verso strumenti sempre più spericolati. Fino al 2007, quando il collasso di due hedge funds legati al mercato dei mutui delle case negli Stati Uniti farà crollare il turbocapitalismo. La voce dei pochi che, anche anni fa, denunciavano questa prevedibile e pericolosa parabola si perdeva nel frastuono del pensiero unico. Quelle voci anche adesso non hanno un grande uditorio. Il professor Joseph La Palombara è convinto che la Casa Bianca ha delle responsabilità.
Perché economisti come Krugman, Stieglitz, Rogoff non hanno ascolto nel dibattito pubblico, e non sono per esempio consulenti della Casa Bianca?
Tutti e tre questi economisti – e qualcun’altro – sono molto critici verso il Presidente Obama. Sono stati critici fin da quando il Presidente Obama ha chiamato nel suo governo, in incarichi importanti, personaggi del mondo economico che – mettiamola così – sono agli antipodi rispetto a Krugman, Stieglitz e Rogoff.
E perché Obama ha scelto gli uni e non gli altri?
Mi fa una domanda delicata… Diciamo che nel sistema americano vige la regola del “money talks”. Nelle nostre consultazioni elettorali il peso del denaro è fortissimo, ci vorrebbe una riforma radicale, ma al momento non la vedo possibile.