Quel jet era una velivolo spia, ma Erdogan e Assad se la vedranno fra loro

Quel jet era una velivolo spia, ma Erdogan e Assad se la vedranno fra loro

Venerdì mattina alle 11.58 un caccia RF4E Phantom turco è sparito dai radar e s’è inabissato a circa 13 km al largo del villaggio siriano di Om al-Tuyour, nella provincia di Latakya.

Nonostante le informazioni siano ancora frammentarie e in qualche caso anche contradditorie, dalla vicenda si può trarre qualche deduzione. La Siria ha confermato che il jet, una versione da ricognizione elettronica e fotografica del leggendario (ma anziano e superato) caccia americano Phantom II del quale l’Aeronautica turca possiede ancora 54 esemplari (ora 53), è stato abbattuto perché avrebbe sconfinato per circa un chilometro nello spazio aereo siriano. La Turchia risponde che nel momento in cui è stato colpito, l’aereo si trovava nello spazio aereo internazionale. In ogni caso, il profilo di volo dell’RF4E, che secondo le prime informazioni procedeva ad alta velocità e a quota molto bassa, autorizza a ritenere che l’aereo fosse impegnato in una missione di ricognizione fotografica.

Cioè, nient’altro che il suo mestiere, visto che la versione “R” dell’F4E è stata infatti progettata proprio per svolgere missioni “recce”, di ricognizione aerea. In pratica si tratta di aerei disarmati secondo il significato stretto del termine (e Ankara ha tenuto a sottolinearlo), ma non si può negare che anche una semplice ricognizione, soprattutto se in territorio avversario, sia un’azione manifestamete ostile. Gli RF4E turchi, tra l’altro, oltre alla consueta panoplia di attrezzature fotografiche presenti su questo genere di veivoli, sono dotati anche di “pod” esterni israeliani Elbit LOROP in grado di registrare immagini ad alta risoluzione (sia nello spettro visibile, sia all’infrarosso) di un bersaglio che si trova fino un centinaio di chilometri dall’aereo vettore. Tuttavia, lo scopo della missione potrebbe anche essere stato quello di misurare, con apparecchiature dedicate, la consistenza e le caratteristiche delle emissioni dei radar della contraerea siriana, un tipo di attività che di solito è propedeutica a operazioni ben più pesanti e incisive come le Sead (Suppression of Enemy Air Defences), che l’Aeronautica di Ankara è in grado di portare a termine grazie al fatto di possedere uno squadron, il 151° di stanza nella base di Merzifon, dotato di caccia F16 Fighting Falcon block 50 con missili anti-radiazione AGM-88B Harm specifici per questo genere di missione. In entrambi i casi, però, è significativo notare che missioni del genere, con penetrazione negli spazi aerei dell’avversario, si intraprendono di solito quando i rapporti tra i contendenti sono davvero ai ferri corti.

Gli RF4E turchi sono schierati sulla base di Eskişehir, nel Nordovest del Paese (113° Squadron), e su quella di Malatya (173° Squadron), più a Sudest e più vicino al confine siriano, e sarebbe logico ritenere che il jet abbattuto sia partito da uno dei due aeroporti, forse con scalo tecnico in un base intermedia più prossima alla Siria. Tuttavia, l’agenzia d’informazioni siriana Sana, che ha divulgato la notizia, ha reso pubblico un tracciato di volo che, oltre a indicare che prima di puntare decisamente verso la Siria l’aereo ha tenuto per parecchi minuti una rotta circolare sul mare di fronte alla costa siriana, suggerisce che il jet potrebbe anche essere partito dall’aeroporto di Lefkoniko (che dispone di una pista lunga 3.400 metri) o da quello di Ercan, entrambi ubicati a Cipro Nord, cioè nella zona dell’Isola che, com’è noto, è in mano turca. Tuttavia il tracciato, ammesso che sia autentico (la Sana è pur sempre un’agenzia governativa), potrebbe semplicemente mostrare quanto registrato dai radar siriani a partire dal momento in cui l’aereo è stato rilevato, verso le 11.12 antimeridiane, poco a Nordovest di Rizokarpaso, nell’estremo lembo settentrionale di Cipro. Ciò lascia aperta la possibilità che l’RF4E, in realtà, possa essere decollato proprio da una delle due basi turche citate.

La Sana ha dichiarato che il velivolo è stato abbattuto “dall’artiglieria contraerea siriana che l’ha colpito direttamente e che l’ha riconosciuto come turco solo dopo aver aperto il fuoco”, ma non è ancora chiaro se il successo di Damasco si debba all’artiglieria convenzionale a guida radar oppure a un missile, visto che le 25 brigate della Difesa Aerea siriana, inquadrate in una struttura dotata di un vero comando indipendente da quello dell’Esercito e dell’Aeronautica, dispongono abbondantemente di entrambe le opzioni. Ma a parte ciò, la dichiarazione della Sana è un po’ sorprendente e, se veritiera, dimostra che la reazione siriana è stata a dir poco nervosa: di solito, prima si identifica un aereo, o almeno si accerta che non sia amico e che rappresenti realmente un pericolo, poi semmai lo si abbatte. In questi casi, le regole in uso prevedono di far decollare dei caccia su allarme (in gergo aeronautico, si definisce decollo su “scramble”), intercettare l’intruso, accertare le sue intenzioni ed eventualmente accompagnarlo “con gentilezza” fuori dallo spazio aereo, oppure costringerlo all’atterraggio.

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Il video fatto circolare dai siriani sull’abbattimento del jet, che però nelle immagini non si vede

Insomma, aprire il fuoco è un’azione che rappresenta l’ultima chance, da mettere in atto solo dopo aver appurato che il velivolo ha intenzioni ostili, e il fatto che la Siria l’abbia invece messa in pratica senza pensarci troppo dimostra che la tensione tra i due Paesi è ormai a livello elevatissimo e che Damasco è disposta a premere il grilletto senza curarsi molto delle conseguenze. Oppure, che la sua contraerea ha compiuto un gesto assolutamente sconsiderato, totalmente al di fuori delle regole d’ingaggio stabilite dal comando.

In ogni caso, dopo le scaramucce di frontiera, le azioni volte a respingere l’appoggio che la Siria fornisce ai ribelli curdi del Pkk in funzione anti-turca e l’espulsione reciproca delle rappresentanze diplomatiche, la spinosa faccenda del caccia abbattuto costituisce una pericolosa escalation nel confronto tra i due Paesi, che ora è salito di un livello. La Turchia ha già chiesto per martedì prossimo, una riunione Nato urgente in base all’art. 4 del Patto Atlantico (in pratica, l’atto costitutivo della Nato) e sta meditando se coinvolgere o meno l’Alleanza invocando l’art. 5, che considera un attacco a uno dei suoi membri motivo sufficiente per una risposta corale degli altri. Se si arriverà a questo, è ovvio che dietro tale decisione si nasconderebbe in realtà il desiderio dell’Occidente di farla finalmente finita con il sanguinario regime di Bashar al-Asad, legittimando l’eventuale intervento militare con il “casus belli” dell’abbattimento dell’aereo. Un simile sviluppo non pare attualmente molto probabile, anche perché dietro la Siria c’è la Russia, il suo fornitore privilegiato in fatto di materiali bellici che ha stipulato con l’attuale regime siriano (e già prima con quello del padre di Bashar, il predecessore Hafiz) un alleanza di ferro che, oltre che sulle forniture di armi e l’assistenza dei soliti “consiglieri” militari, ruota intorno all’importante base navale siriana di Tartus, da decenni utilizzata anche dalla flotta russa per le operazioni in Mediterraneo in quanto è l’unica sfruttabile a tale scopo.

Attualmente, il complesso di Tartus è in fase di ampliamento e ristrutturazione con i fondi di Mosca, che dopo anni di assenza in seguito al deterioramento della sua flotta seguito al crollo dell’Urss, non fa mistero di voler tornare ad affacciarsi nel bacino del Mediterraneo. Al momento, la logica rende probabile che Turchia e Siria dovranno vedersela da sole nel comporre i loro attriti o, eventualmente, nel darsele di santa ragione. Ma certo altri scenari, più complicati e nefasti, non possono essere esclusi a priori.

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