FIRENZE. Il ragazzo non lo buggeri, come dicono a Firenze. Matteo Renzi parla 40 minuti del mondo che vorrebbe ma alla fine non scioglie il nodo gordiano della faccenda. Nessun annuncio sulla sua candidatura alle primarie del Pd. Troppo presto. Si brucerebbe con il passare delle settimane, e poi per correre le vuole aperte. Una rassicurazione però la dà: «Noi ci saremo». E quel «noi», che fa tanto romanzo collettivo, infiamma la platea dei Mille sbarcati in riva all’Arno.
Il Big Bang organizzato dal rottamatore questa volta ha pochi fronzoli scenografici, ma tanta sostanza nel messaggio. Una prova di maturità rispetto agli anni un po’ più discoli della Leopolda con Pippo Civati (grande assente). Di sicuro è un’opa, l’ennesima, lanciata nei confronti di una classe dirigente che il prossimo giro deve stare a casa. «Cari D’Alema, Veltroni, Rosy, Franco Marini avete fatto molto, ma ora basta», scandisce Renzi. Che, sotto gli occhi premurosi del guru Giorgio Gori, dimostra di tenere il palco alla grande. Una lezione di comunicazione, intervallata da video, stacchetti musicali, battute e slanci emotivi. Un mix di veltronismo buonista e narrazione vendoliana con le qualità affabulatorie del Cavaliere degli anni d’oro. Cifre che non sono proprio il piatto forte del “capo della ditta” Pierluigi Bersani a cui comunque arriva un bacione da Firenze: «Un saluto affettuoso e complimenti per il tempismo nell’ organizzare sempre le iniziative del Pd in concomitanza con le nostre».
E allora ecco il pantheon di Renzi: una carrellata iconografica che passa dal salto di schiena di Fosbury al Barcellona dei record di Pepe Guardiola, ma c’è spazio anche per le mamme italiane, «loro sì che fanno il lavoro più bello del mondo».
E se a Roma i democratici si arrovellano il cervello sulla foto di Vasto, da Firenze arriva la metafora della Polaroid. Il sindaco ne prende in mano una degli anni ’80 e scatta. Poi, con un fare un po’ da Vanna Marchi, tira fuori un’altra Polaroid ma digitale: «Dobbiamo essere in grado di dare una foto digitale dell’Italia, senza più nostalgia del passato». E in questo ritorno al futuro arriva un altro messaggio: siamo noi la maggioranza del partito. Una maggioranza di «veri tecnici, cioè di amministratori che stanno sui territori come me», sottolinea il primo cittadino accolto stamattina dalla contestazione degli orchestrali del Maggio Fiorentino, inviperiti contro i tagli e gli esuberi decisi da Palazzo Vecchio per il teatro comunale.
Cambiare idee, forme e facce: è il nuovo slogan del vocabolario renziano che ha sostituito la parola “rottamazione”, già messa in pratica in maniera più efficace dal Movimento Cinque Stelle in diversi comuni d’Italia. Lo show man, calvinamente leggero e sobrio nelle polemiche, da buon fiorentino non rinuncia a un piccolo corpo a corpo sarcastico con Stefano Fassina («Mi dispiace per lui e per i pappagalli che sono stati paragonati a me»). Il resto è coinvolgimento puro per entrare in empatia con la platea che lo interrompe più volte per applaudirlo, e dalle file posteriori si sente anche un «Matteo, sei un marziano». L’acme comunicativo arriva sul finale: «Riprendiamoci i voti di chi non va più alle urne, restituiamo loro la carta d’identità». Segue giubilo e clap clap. Ora si pranza. Niente buffet offerto dall’organizzazione. Si paga 10 euro. È la spendig review renziana.