Essere bocciati da Bruxelles per «eccessiva burocrazia» è qualcosa che nessuno riteneva possibile. Eppure, l’esperienza del “decreto rinnovabili” di Mario Monti, rispedito al mittente con questa etichetta, dimostra che nuovi picchi assoluti di carta straccia e procedure possono essere raggiunti. Il decreto rinnovabili è un nuovo Everest di commi e rimandi, punto di riferimento assoluto per gli uffici del catasto di Corea del Nord e Cina interna. Afferma l’Europa che con il nuovo decreto sarebbe «molto difficile, se non impossibile, per i produttori indipendenti accedere al finanziamento dei propri progetti». Insomma, sembra essere più facile aprire un concessionario di automobili a Cuba. Dai firewall fiscali siamo passati ai muri di carta contro lo sviluppo.
Il nostro primo pensiero va al povero Mario Monti, i cui trascorsi da commissario nella placida cittadina nordeuropea sembrano essere stati dimenticati troppo in fretta. Lo immaginiamo cenare da solo a mangiare moules frites in un ristorante belga, pulendosi con i brogliacci del decreto. Poi, rivolgiamo la nostra attenzione agli installatori italiani di impianti rinnovabili: l’improbabile ombrello di Bruxelles, già tempio del cavillo supremo, offre riparo temporaneo dalla slavina di moduli e procedure pronta ad abbattersi sulla penisola. Per il resto, la situazione politica del settore rimane così com’è: incerta, indecisa, irrisolta.”
Il “teorema della scimmia instancabile” afferma che un primate posto davanti a una macchina da scrivere, con tempo sufficientemente lungo, battendo tasti a caso prima o poi comporrà anche testi bellissimi, tra miliardi e miliardi di libri fatti di lettere alla rinfusa. L’idea è stata ripresa da letterati (Borges e Swift, informa Wikipedia) e da qualche scrittore di fantascienza, che immaginava astronauti in viaggio in una dimensione parallela, dove scimmie su scimmie scrivevano libri a caso.
Questo teorema del primate instancabile ben rappresenta la situazione delle energie rinnovabili italiane, una dimensione che ormai si colloca oltre ogni criterio razionale di buon senso politico ed economico. Gli operatori del settore, nella veste di astronauti del burocratico, dovranno fronteggiare la quinta redazione del “Conto Energia”, con ben tre edizioni che sono uscite a partire dall’agosto del 2010 a oggi. Lungi da me paragonare i nostri politici a scimmie, tanto fisicamente, quanto intellettualmente; ma il confronto con il teorema rimane strumentale perché ci possiamo porre la domanda: all’ennesimo tentativo, siamo arrivati finalmente a una legge sull’incentivazione alle rinnovabili giusta per tutti, utenti e investitori?
Gli operatori del settore sono stremati. Il 4 giugno gli “Stati Generali delle rinnovabili e dell’efficienza energetica” hanno chiesto al governo di «dichiarare subito e apertamente che gli attuali schemi incentivanti vengano mantenuti per il fotovoltaico almeno fino al 1 ottobre». Sono stati denunciati ritardi nell’emanazione dei decreti ed è stato richiesta una “condivisione” delle bozze degli stessi con le associazioni di categoria. Si sta umilmente chiedendo, insomma, di dare una forma politica al piano rinnovabile italiano.
Secondo le previsioni del Ministero dello Sviluppo Economico, l’incentivazione alle energie rinnovabili fino al 2020 dovrebbe costare 150 miliardi di euro. È una somma immane di denaro. Secondo quanto comunica il Ministero dello Sviluppo, nel 2009 una famiglia media pagava circa 30€ l’anno per sostenere le rinnovabili, e nel 2012 dovrà sborsarne 120. In totale, ogni anno si pagano circa nove miliardi di euro (al febbraio 2011), di cui sei miliardi destinati al fotovoltaico.
Questo sacrificio sta consentendo un’esplosione del settore rinnovabile in Italia. Si stima che nel 2011 gli impianti fotovoltaici abbiano generato 10.730 GWh di elettricità, rispetto ai 1.906 del 2010: la produzione sarebbe quintuplicata in un solo anno. La produzione del 2011 copre circa il 3,6 % del consumo elettrico nazionale, rispetto allo 0,6% del 2010. Il boom non è una sorpresa: a causa di una serie di nebulose circostanze architettate negli scorsi anni, gli incentivi del 2011 sono stati molto alti (sulla coreografia del balletto fotovoltaico, chi scrive si è espresso qui).
Le rinnovabili non sono più un semplice “complemento” nel mix elettrico italiano, ma ne rappresentano ormai una parte costituente. Per questo motivo, è davvero il caso di incominciare a trattare il fotovoltaico “da grande”. Questo significa che, se – a quanto pare – quest’anno sfonderemo la barriera del 5% di produzione elettrica da pannelli, sarebbe il caso di adeguare gli strumenti normativi.
Ancora di più, preoccupa il sistema scelto per la rinegoziazione del Conto Energia. Siamo alla quinta versione, tipo tema a casa nella scuola media inferiore. A far impazzire il settore, più dei tagli può l’incertezza. Lascia anche perplesso il sistema scelto nella nuova versione del Conto per rallentare l’installazione: tagli (come previsto), insieme a ciò che potremmo definire “labirinto burocratico”. Per capire dove si possono installare gli impianti non basta più un team di legali e ingegneri: serve Kafka in persona. C’è dell’altro: a ogni giro negoziale, dagli uffici del Ministero dello Sviluppo sfugge una qualche “Bozza” sulla riforma del Conto Energia. Quella attuale è disponibile on line. Sicuramente c’è qualcuno nelle stanze di via Veneto che, quando sente di perdere terreno, spedisce il pdf a un amico giornalista, per ribaltare il tavolo negoziale. Non è ora di finirla con questa storia? Non è il caso di individuare il responsabile di queste fughe di notizie?
La questione dei decreti e del continuo rincorrere nuove versioni del “Conto Energia” potrà essere risolta solo se si considerano alcune novità imprescindibili. Le tecnologie sono maturate in fretta. Solo negli ultimi sei mesi, il costo dei moduli fotovoltaici è sceso tra il 20 e il 38%, a seconda della tecnologia. In alcune aree il costo di produzione dell’elettricità da fotovoltaico ha raggiunto già la “grid parity”, cioè un costo simile alla produzione da fossile. Ciò non significa però che la tecnologia sia “matura”: c’è ancora molto da fare, soprattutto in termini di integrazione con la struttura energetica generale. Che lo vogliamo o no, il sole batte quando pare a lui, e soprattutto mai di notte, per questo una componente essenziale di produzione tradizionale è ancora necessaria.
Nonostante i buoni risultati degli ultimi anni, è necessario oggi selezionare gli operatori e le zone in grado di offrire la migliore efficienza in termini di costo di produzione. Lo strumento tradizionale delle “tariffe incentivanti” non è in grado di farlo. Bisogna passare ad altri strumenti, e il più adatto sembra quello delle aste, che dovrebbe essere introdotto dal governo con i (si spera) prossimi decreti. Si indicono delle gare per l’installazione di una certa quantità di impianti, e chi fa l’offerta migliore vince. Su questo punto, le opinioni sono spaccate. Secondo un paper dell’ “Istituto Bruno Leoni”, potrebbero garantire un abbassamento dei costi. Alcuni operatori segnalano invece rischi quali «da un lato il rallentamento, se non il freno, alle nuove iniziative rinnovabili; dall’altro la concentrazione del settore a causa delle difficoltà di accesso al credito delle iniziative soggette ad asta».
Sia la posizione degli operatori, che dell’IBL, sono da tenere in considerazione. Le aste in sé possono essere uno strumento utile, ma se non si garantisce un accesso equo al sistema bancario, i costi di finanziamento potrebbero rappresentare un fattore troppo discriminante sulla qualità delle offerte. Si rischia, cioè, che le rinnovabili diventino un affare per pochi. È giusto che ci sia una concentrazione basata sul merito aziendale (stia tranquilla Ayn Rand), ma non che si formi un oligopolio basato sul contatto con le banche, in stile Russia anni Novanta. Saremo in grado di crescere?