«I fondamentali dell’economia mondiale non sono, di per sé, così spaventosi; è l’aver abdicato quasi universalmente alle proprie responsabilità che dà a me, e a molti altri economisti, un crescente senso di terrore». Paul Krugman sintetizza così il tema della volontà. È questa, più che i soldi o le idee, ciò che sta mancando alla zona euro per uscire dalle secche (ma anche al Congresso Usa che, in questa generale deresponsabilizzazione delle élite, sta felicemente ballando sull’orlo di un mostruoso fiscal cliff). Certo, colpisce dover parlare di volontà proprio ai tedeschi che, da Schopenhauer a Nietzsche, sono stati i primi a dare al tema della Wille il riconoscimento che merita. Eppure. Eppure in questo momento di mancanza di volontà lo scontro è fra due diverse irresponsabilità: una è quelle delle istituzioni europee (e americane), l’altra è quella rappresentata da Silvio Berlusconi, dal suo tornare ad agitarsi in campo. Parte del tentativo in atto è di utilizzare la seconda come effetto leva per porre rimedio alla prima.
La differenza fra queste due forme di irresponsabilità è che la prima non è consapevole. I ministri della Ue si incontrano, dibattono, litigano, mulinano teorie, ognuno punta il dito verso l’altro e intanto quel senso da “5 minuti prima della mezzanotte”, come lo chiamano alcuni commentatori, resta lì, inebetito e fisso, immobile, come del resto è sempre stato da due anni a questa parte. Poi c’è invece l’irresponsabilità di Silvio, e questa invece è tematizzata, è quella di chi pensa di poter guadagnare dall’irresponsabilità degli altri, dalla nostra uscita dall’euro. È quella che fa dire a David Wessel, capo della sezione economia al Wall Street Journal, che in Italia ci sarebbero «forze potenti in azione» per tornare alle svalutazioni competitive. Ma questa irresponsabilità è diversa dalla prima: è dinamica, dionisiaca, in perenne movimento, disperata, folle, a tratti patetica, e per molti versi, tristemente prevedibile.
I due principali articoli usciti in questi giorni sulla stampa anglossassone sui rapporti fra Mario Monti e la sua maggioranza, ragionano proprio di questo, di Monti sotto assedio mentre Silvio, come Lazzaro, torna sulla scena. Con alcuni punti in comune. Nell’impostazione di Bill Emmott, ex direttore dell’Economist, Monti dovrebbe sfidare i partiti. Scrive infatti sul Times (“Mario Monti is facing a big, hairy problem“) che il premier dovrebbe «sfidare i partiti che vogliono farlo cadere» e che sono «meglio le elezioni anticipate che l’impotenza». Il problema del futuro di Monti, l’enigma di chi verrà dopo, che tanto influenza anche i nostri costi di rifinanziamento, lo si risolverebbe così, tagliando al contempo l’erba sotto i piedi a Grillo e Berlusconi. «Sarebbe meglio che ora sfidasse i partiti a farlo cadere. Se questo dovesse accadere, com’è probabile, almeno le elezioni anticipate servirebbero a spazzare via la nebbia politica» intesa come i movimenti anti-euro alla Grillo o, appunto, alla Berlusconi.
Poi c’è Wolfgang Münchau, sul Financial Times di oggi, che dà una lettura opposta e coincidente nel suo “Why Mario Monti needs to speak truth to power“. Dopo aver sottolineato che lo story telling della crisi a Berlino è «un universo parallelo» dove «il preservare l’euro non è l’obiettivo primario» e che la forbice anti euro composta da Grillo e Berlusconi è la rappresentazione del «processo di come una posizione anti euro possa diventare mainstream», Münchau sostiene che Monti sia l’unico che al vertice di giovedì possa sfidare la inutile caramella zuccherosa che verrà proposta dai tedeschi. «Il suo paese è il prossimo ad essere attaccato dai mercati. La Ue non ha un piano B. Una sua minaccia di dimissioni sarebbe credibile e farebbe paura a molti. Cosa ha da perdere? I suoi punteggi nei sondaggi sono in calo, sta perdendo l’appoggio della sua coalizione. Solo dicendo la verità al potere Monti può salvare il suo paese e l’euro». Davanti al ritorno di Silvio nello scenario dei cinque minuti a mezzanotte, uno chiede a Monti di dimettersi e andare a elezioni, l’altro di minacciare di farlo. Davanti al ritorno di Silvio nello scenario dei cinque minuti a mezzanotte, la stampa anglosassone, che prima aveva esaltato il nostro premier e poi lo aveva mollato, si ricompatta a sua difesa, per evitare il peggio. Gioca a mettere un’irresponsabilità contro l’altra nella speranza che si elidano a vicenda.
Peccato che, forse, Monti questo atto di forza, poteva farlo quando aveva un capitale da spendere. Appena eletto poteva andare dai tedeschi a dirgli che, prima l’Italia si sarebbe occupata di rimettersi a crescere, e poi, ma solo poi, in uno o due anni, si sarebbe rimessa a rispettare i target. Chi avrebbe detto di no alla seconda economia manifatturiera del continente, all’uomo messo lì in quel momento dalla stessa Merkel per salvare il salvabile? È molto più difficile farlo ora, quando l’unico capitale rimasto da spendere è quello della disperazione per una situazione che non si risolve malgrado tutti gli sforzi. Non sorprende che fonti politiche parlino di un Monti molto arrabbiato con la Cancelliera che, prima lo ho mandato al fronte, poi gli ha negato la copertura aerea (ancora adesso sono in molti in Germania a dire che Monti non ha fatto “i compiti a casa” ma possono farlo perché a questa definizione non è stato dato un siginificato preciso).
L’aggregazione di molte inteligenze che, messe assieme, non riescono a produrre una soluzione credibile fa ripensare a quei matematici che spiegavano come il tutto non corrisponda alla somma delle parti, o a quegli scienziati sociali che mettevano in luce come, quando sono troppe le teste a dover decidere su un piano quasi paritetico, la decisione che ne esce sia sempre il minimo comune multiplo. E, aggiungiamo noi, a forza di minimi comuni multipli, non si riesce più a gestire un mondo interconnesso di debiti insostenibili e dove il solo valore dei derivati è 12 volte il Pil mondiale.
Se già il meccanismo è fallace, l’assenza di volontà rischia di far deflagrare queste mancanze. È questo che mette paura a molti, economisti e non. Un meccanismo che fa sì che si sia finiti in questo clima dove ognuno, a torto o a ragione, ritiene reponsabile l’altro e dove, se si va avanti su questo crinale, anche noi italiani, su cui poggia il futuro della zona euro, rischiamo di essere trascinati sul banco degli imputati. «Non è ancora cinque minuti alla mezzanotte ma l’orologio sta continuando a battere» diceva un editoriale sul Financial Times di sabato. E se davvero lo spauracchio di Silvio, o di quello che ne resta, dovesse riuscire a fermare le lancette, se davvero dovesse riuscire a produrre quell’aiuto a Monti che ancora manca, se davvero dovesso riuscire a svelare quello che gli ottimisti ritengono essere un bluff della Merkel, questo sì che sarebbe un miracolo italiano.
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