Soldi per le mamme-casalinghe: e ora il governo Merkel rischia

Soldi per le mamme-casalinghe: e ora il governo Merkel rischia

BERLINO . – Non si tratta di una semplice questione di budget. In gioco c’è il modello di donna che la Germania sceglie per il suo futuro. In un paese che ha mancato negli ultimi anni gli obiettivi dell’uguaglianza di genere sul lavoro e dell’aumento delle nascite in una popolazione sempre più anziana, sono ora le madri e le donne che fanno paura a Angela Merkel. La sua proposta di legge per sovvenzionare le famiglie che curano i bambini da casa è rimasta in stand-by lo scorso venerdì, per un brutto scherzo dell’opposizione. Di fronte all’impossibilità di raggiungere il quorum, è stato tutto rimandato a settembre, e ora la coalizione di governo tra liberali e conservatori trema.

È venerdì mattina e nei corridoi del Reichstag a Berlino suona l’allarme che avvisa delle votazioni. Più di 400 dei 620 deputati del parlamento tedesco non sentono o lo ignorano. Una grande scritta appare sullo schermo dell’emiciclo: “La seduta è sospesa”, l’annuncio viene dato dalla presidentessa del parlamento Petra Pau e causa una reazione rumorosa. È immediatamente chiaro a tutti che la votazione riguardo al Betreuungsgeld, “la sovvenzione per la presa a carico” dei figli piccoli, slitta a dopo le vacanze estive in quello che si interpreta come un sonoro schiaffo alla coalizione conservatrice della cancelliera.

L’incentivo di 150 euro al mese previsto a partire da gennaio di 2013 per i genitori che si prendono cura da casa dei propri figli fino a tre anni e rinunciano al posto in asilo è uno dei temi più scottanti dell’attuale governo di Merkel. I critici denunciano che esiste il rischio che sia interpretato come un invito per le donne a rinunciare alla carriera e restare a casa coi figli. Il tema è però uno dei cavalli di battaglia di Horst Seehofer, il leader dei socialcristiani (CSU) bavaresi: lo ha promesso in campagna elettorale e in più occasioni ha ripetuto che non dubiterà a far cadere il governo se il progetto non dovesse essere approvato.

Dopo l’annuncio, Thomas Oppermann, capogruppo in parlamento dei socialdemocratici dell’SPD riesce a malapena a contenere il sorriso di fronte ai giornalisti. In totale 126 parlamentari dei 330 della coalizione di governo non sono presenti, il resto degli assenti si suddividono tra i tre partiti dell’opposizione d’accordo sul boicottaggio. Oppermann parla di “protesta silenziosa” e “rivolta contro la cancelliera”. Tra le fila della CDU regna l’indignazione: “L’opposizione abusa dei suoi diritti parlamentari. Non è tra i compiti delle frazioni del parlamento quello di limitarne le possibilità decisionali”, denuncia Michael Grosse-Brömer. 

Il problema però, come ricorda il socialdemocratico Kurt Beck, è che in ogni caso la coalizione di governo non è nella posizione di congelare le trattative con l’opposizione su altri temi. Entro fine giugno è prevista la votazione in parlamento del Fiscal Compact, il patto fiscale che prescrive l’austerità, e del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM). Per entrambi Merkel ha bisogno di due terzi del parlamento e cioè dei voti dell’SPD e dei Verdi. Entrambe le formazioni si sono dimostrate disponibili ad approvare la via di Merkel contro la crisi, si discute ora sui dettagli ma non ci sarà una barricata. Detto in altre parole, non è la Grecia né l’Euro, a far tremare la Merkel è un dibattito su asili nido tra donne lavoratrici e casalinghe moderne (e bavaresi).

L’accusa avanzata contro la donna più potente del mondo di tradire proprio la causa delle donne è attualmente la più dolorosa. Durante lo scorso mandato Frau Merkel, sapientemente aiutata dalla ministra della Famiglia e le Pari Opportunità, Ursula Von der Leyen, è riuscita a introdurre provvedimenti di discreto successo, come maggiori aiuti alle famiglie con figli e tempi più lunghi di maternità (anche se quest’ultimo punto fu oggetto di un dibattito acceso) anche per le free-lance. Le cose sono però cambiate. Dopo le elezioni del 2009 Merkel ha spostato von der Leyen al ministero del Lavoro e l’ha sostituita con Kristina Schröder (CDU), che al tempo aveva 32 anni. È proprio Schröder ora la responsabile del tanto discusso progetto di legge sul Betreuungsgeld. La situazione è complicata perché dalla sua nomina, la ministra non ha fatto altro che condurre uno scomodo dibattito pubblico con alcune tra le più influenti femministe tedesche. Come se non bastasse, questa primavera ha pubblicato un libro che dichiara la fine del femminismo e l’inizio di un’era post-femminista.

Il testo si chiama “Danke, emanzipiert sind wir selber!”, Grazie, quelle emancipate siamo noi! Una delle presentazioni chiave si é tenuta del quartiere di Prenzlauer Berg a Berlino, uno dei pochi posti in Germania che, data la alta densità di genitori lavoratori con figli, sembra la prova apparente del successo delle politiche famigliari di Merkel. Tra le altre cose Schröder ha letto il seguente passaggio: “Mai in Germania le donne sono state libere come oggi ma tra le ideologhe degli anni settanta siedono ogni tipo di dogmatiche che non fanno altro che condannare pubblicamente i risultati di questa libertà”.

Molte delle critiche che vengono avanzate alla ministra argomentano che Schröder ignora i fondamenti e addirittura condanna a morte il movimento che ha reso possibile la sua stessa carriera. È stata eletta per la prima volta nel parlamento tedesco all’età di 25 anni nel 2002. Nel 2009 completò un Ph.D e fu nominata ministro da Merkel. Da allora si è sposata e ha avuto un figlio: è stata la prima ministra nella storia tedesca ad avere un bambino durante il suo incarico. Eppure quando parla delle femministe dice sbrigativamente che le loro battaglie portano alla conclusione che l’omosessualità è l’unica scelta buona e che ignorano la felicità che può produrre una coppia e una famiglia.

Se Schröder ha avuto una carriera brillante, questo non significa che in Germania vada tutto bene per le donne: solo il 14% delle madri tedesche con un figlio torna dopo la maternità al suo impiego a tempo pieno e solo il 2% delle donne siede nei quadri dirigenziali delle aziende. Dichiarare guerra al femminismo in questa situazione è strategicamente poco cauto. Il prezzo del suo comportamento ricade ora su tutta la coalizione e in particolare sui cugini bavaresi di Merkel, soci vitali del Governo. Il loro leader Seehofer ha incassato la sconfitta e l’ha usata per richiamare i suoi all’ordine nel fine settimana. Cento parlamentari di CDU/CSU non erano presenti nel giorno decisivo, non succedeva da 28 anni, “non è un comportamento responsabile da parte di un deputato”, ha detto nel corso di un comizio. Poi è passato al contrattacco: “lo dico anche in nome di tutto il partito: la CSU non accetterà il fallimento della legge. E i voti della CSU sono necessari per la coalizione”.