Solo inclusione e apertura salveranno l’Europa dalla crisi

Solo inclusione e apertura salveranno l’Europa dalla crisi

Inclusione e condivisione sono le due parole chiave che emergono dal dibattito più recente per salvare l’Europa. L’approfondita analisi di Enrico Pedemonte su Linkiesta del 23 maggio nell’illustrare il libro degli economisti D.Acemoglu e A.Robinson Why Nations Fail ci spiega – con gli autori del libro – che le nazioni possono facilmente crollare se le loro istituzioni non rimangono, o non diventano, inclusive.

Essere inclusivi significa coinvolgere i cittadini nelle istituzioni che governano il Paese, garantire il diritto di proprietà e dar loro pari opportunità di partenza, incoraggiando le iniziative individuali.
Al contrario, governi dominati da elites che respingono i cittadini e che impediscono anche la mobilità sociale, prima o poi sono destinati a crollare. Gli Stati crollano quando le istituzioni si arroccano, è il titolo dato all’analisi di Pedemonte.

Dunque, la tesi provocatoria dei due economisti americani, il primo del MIT, il secondo di Harvard, è che Paesi come la Cina, se non si evolvono verso forme di partecipazione democratica inclusive, rischiano di decadere più velocemente di quanto non si possa credere.

Quasi a far da eco a queste voci, ecco apparire sul New York Times del 23 maggio l’accorato appello di un altro grande economista e premio Nobel, Amartya Sen, che ci spiega come si possa facilmente evitare il crollo dell’Europa, che tutti danno per imminente, se solo i governi europei si aprissero alla condivisione.

Sen ci spiega che la crisi economica che l’Europa vive deriva in realtà da una crisi di democrazia. Secondo l’economista indiano, la storia ci mostra come si possa facilmente uscire dalle crisi economiche generate dai grandi deficit combinando tagli di spesa severi con una rapida crescita economica, che genera maggiori entrate. Cita come esempi la rapida uscita dalla fine della Seconda Guerra Mondiale e l’economia durante l’era di Clinton, od anche la riduzione del deficit Svedese negli anni dal 1994 al 1998.

Ma la tradizione europea, secondo Sen è fatta non solo di sani principi keynesiani ma anche di un profondo impegno a proteggere il benessere dell’uomo (molto più di quanto non si sia fatto in altre parti del mondo, per esempio in America). Questo impegno e riguardo al benessere derivano dagli impegni di democrazia assunti dai popoli e dai governi europei, e derivano dal metodo di governo per discussione.

Il cancro che sta rodendo l’Europa è l’abdicazione di questi principi in favore di dettati finanziari imposti dai leader tecnocratici dell’Unione Europea, della Banca Centrale Europea e indirettamente delle molto errate previsioni delle agenzie di rating. Sen ritiene che una partecipazione pubblica e un dibattito condiviso fra i cittadini europei avrebbe in poco tempo identificato riforme appropriate, senza distruggere il sistema di giustizia sociale, che sarebbe il tratto caratterizzante dell’Europa.

Calare dall’alto misure drastiche né discusse né condivise dai cittadini europei genera solo rivolta, secessione dalla politica da parte dei popoli e premia gli estremismi ai due poli dello spettro politico.

Peggio ancora, ritiene Sen, questo modo di fare impedisce di arrivare ad una soluzione ragionevole ed in tempi brevi della crisi europea. Ci si può domandare,alla luce di questi autorevoli contributi, se la rigidità espressa dalla Germania di oggi verso politiche di crescita che non siano solo di controllo del deficit non sia in qualche modo il riflesso della rigidità che alcuni dei suoi leader – in particolare la Primo Ministro Signora Merkel – abbiano a loro volta sofferto quando la Germania era ancora politicamente divisa, ed una parte di essa era dominata da una dittatura che poco spazio lasciava sia all’inclusione, se non fra i ranghi della nomenclatura, ed alla condivisione politica in forma di dibattito partecipativo.

Dunque l’Europa forse rischia il crollo per un deficit di democrazia che i popoli europei starebbero sperimentando e che si esprime nel premiare di volta le opposizioni al governo in carica o, nei Paesi che più risentono della crisi economica nel premiare gli estremismi o i fautori della massima democrazia dal basso.

Chiunque cammini per strada in questi giorni registra sempre più sfoghi di ribellione verso misure che non sono sentite come condivise e certo sperimenta una lontananza dalle élite al potere tutto sembrano offrire fuorché una inclusione partecipativa alla cosa pubblica. 

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter