Soluzione greca per la Spagna, ma guai a dirlo

Soluzione greca per la Spagna, ma guai a dirlo

Ormai, è solo più questione di tempo. Il premier spagnolo Mariano Rajoy ha messo nero su bianco cosa sta passando il suo Paese, l’ultima vittima della crisi europea: «La situazione è di estrema difficoltà». Le parole di Rajoy sono arrivate ieri, di fronte al Senato, al termine di una giornata tanto convulsa quanto complicata. La Spagna ha ammesso che avrà bisogno di un sostegno finanziario, ma non ha ancora formalizzato la richiesta di aiuto. Tuttavia, è da settimane che la comunità internazionale si è detta pronta a intervenire. E la soluzione verso cui si sta andando, come apprende Linkiesta da fonti diplomatiche iberiche, prevede una doppia azione: europea per il supporto delle banche iberiche, internazionale per il consolidamento dei conti pubblici. In altre parole, la troika composta da Banca centrale europea (Bce), Fondo monetario internazionale (Fmi) e Commissione europea è pronta a volare a Madrid.

«Siamo sull’orlo di un collasso generalizzato». Il 12 aprile scorso un trader di Bankia, parlando con Linkiesta, aveva detto senza compromessi dialettici cosa sarebbe successo. E oggi, dopo quasi due mesi, le sue idee non sono cambiate. «Te lo avevo detto e te lo ripeto: il collasso è alle porte. L’unica via che abbiamo è quella della richiesta di aiuto e bisogna sperare che non sia troppo tardi», afferma con la voce quasi rotta. E questa soluzione sta arrivando.

L’Europa, ancora una volta, ha detto di essere pronta. «La Commissione europea sta monitorando la situazione ed è in contatto con Madrid per vedere gli aspetti di un eventuale aiuto di Stato». Così, Bruxelles ha oggi confermato che esiste un programma per la Spagna. E questo, come ha appreso Linkiesta, è duplice. La prima azione sarà in supporto delle banche spagnole, tramite l’azione coordinata di Bce e dei due fondi di stabilità finanziaria, lo European financial stability facility (Efsf) e lo European stability mechanism (Esm). Resta ancora da capire, però, come evitare di violare i trattati di funzionamento di Efsf e Esm. Il portavoce del cancelliere tedesco Angela Merkel, Steffen Seibert, ha oggi spiegato che «se la Spagna decidesse di chiedere l’aiuto del fondo Efsf, potrebbe esserci chiaramente l’accesso ai fondi». Ammettere la débâcle, quindi, potrebbe giovare a Madrid piuttosto che continuare a rifiutare un aiuto. E rimangono ancora irrisolte le cifre dell’intervento. «Non abbiamo idea di quanto siano le esigenze finanziarie della Spagna sul fronte della ricapitalizzazione bancarie, bisogna attendere la fine dell’audit», ha fatto sapere la Commissione europea. Ma c’è poi la seconda azione, quella internazionale.

«I contatti con il Fmi ci sono sempre, come di consueto, ed è chiaro che si sta discutendo anche di un possibile aiuto». Ad affermarlo è un funzionario diplomatico spagnolo a Linkiesta, dietro anonimato. La missione iniziata lunedì scorso dai tecnici dell’istituzione guidata da Christine Lagarde era prevista da tempo e rientra nella normale attività di monitoraggio del Fmi. Ma come conferma il diplomatico «qualcosa di diverso c’è». Si sta infatti anche discutendo di una forma soft di sostegno, sia finanziario sia tecnico. «Niente a che fare con quello che si è visto in Grecia, piuttosto qualcosa come accaduto in Irlanda», rende noto il diplomatico. Nessuno usa la parola troika, considerata tabù, ma il significato è quello. Una missione, non permanente ma con cadenza trimestrale, aiuterà Madrid a stabilizzare i conti pubblici, ridurre gli sprechi, portare avanti le riforme e ristrutturare il sistema bancario. Proprio come per Grecia, Irlanda e Portogallo. Sono ancora ignote le tempistiche definitive, ma ci sono già alcune possibilità. «Si è parlato di settembre, ma potrebbe essere anche prima. Dipende tutto dalla velocità con l’Europa si accorda su unione bancaria e attivazione effettiva del fondo Esm», spiega il diplomatico iberico. Il tempo, in ogni caso, è sempre di meno.

La crisi spagnola, come quella che ha colpito l’Irlanda due anni fa, si è espansa a partire dal sistema bancario. Il capro espiatorio di oggi è proprio Bankia, il quarto istituto di credito del Paese, frutto di una serie di fusioni e acquisizioni fra le Cajas, le casse di risparmio iberiche imbottite di crediti inesigibili. Ma la banca guidata fino al 7 maggio dall’ex ministro dell’Economia Rodrigo Rato non è che la punta dell’iceberg. A testimoniarlo è stato più volte il Banco de España. A fine 2008 il governatore Miguel Ángel Fernández Ordóñez ha reso noto che gli asset legati al settore immobiliare in pancia alle banche erano circa 450 miliardi di euro. Di questi, «almeno il 20% è già deteriorato», disse Ordóñez. E quel 20%, cioè circa 90 miliardi, diventò il paradigma della crisi spagnola. Il premier di allora, José Luiz Rodriguez Zapatero, inizio a riflettere su come intervenire. Ma il buco dell’immobile era troppo grosso. Sei mesi dopo la relazione di Ordóñez, l’esposizione delle banche era salita a 530 miliardi di euro, sempre secondo i dati della banca centrale iberica. Madrid decise allora di lanciare il Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (Frob), il maxi piano di ristrutturazione del sistema bancario con una dotazione, appunto, di 90 miliardi di euro. Troppo tardi. I crediti deteriorati erano già diventati pari a 150 miliardi di euro. Il Frob ha fatto molto, come contribuire alle fusioni e acquisizioni fra le casse di risparmio, ma non abbastanza. L’abisso della bolla immobiliare è aumentato sempre di più e di pari passo l’esposizione delle banche, ormai oltre i 600 miliardi di euro a fine 2010. Per fortuna, come ha ricordato il Banco de España, la situazione si è stabilizzata e a fine 2011 gli istituti di credito iberici hanno sempre circa 600 miliardi di euro di esposizione sull’immobile.

Il dilemma in merito alla Spagna è fra un aiuto solo alle banche o un aiuto onnicomprensivo, sul modello della Grecia. Il ministro dell’Economia, Luis de Guindos, ha escluso che possa esserci un aiuto immediato. «La situazione è difficile, sicuramente d’emergenza, ma bisogna attendere il report sulle banche, che sarà pronto fra circa 15 giorni», ha detto oggi de Guindos. L’ex top manager di Lehman Brothers ha poi cercato di tranquillizzare gli investitori, dato che continuano i timori sulla solidità della penisola iberica. «Il Tesoro non ha problemi, è ben capitalizzato, le nostre finanze non sono oggetto di preoccupazioni», ha sottolineato de Guindos. Peccato che il giorno prima Cristóbal Montoro, ministro del Bilancio, abbia apertamente detto che la Spagna ha di fatto perso l’accesso ai mercati obbligazionari. «Non è possibile pensare ad altro se non ha un aiuto», ha detto Montoro in un discorso che ha ricordato quello fatto da George Papaconstantinou, ex ministro ellenico delle Finanze, poco prima di chiedere il sostegno internazionale nel maggio 2010.

Il prossimo passaggio sarà domani, quando la Spagna andrà in asta coi propri titoli di Stato. Due le scadenze: 2014 e 2022, per un totale di circa 3,2 miliardi di euro. E considerato che i bond spagnoli con scadenza a dieci anni viaggiano a un rendimento superiore al 6% sul mercato secondario, lo stress durante l’asta potrebbe essere elevato. A monitorare la situazione ci saranno anche i tecnici del Fondo monetario internazionale, ancora presenti sul suolo spagnolo. Se un primo team sta controllando il sistema bancario, una seconda squadra sta invece monitorando i margini governativi sui conti pubblici. Ed è proprio da questo versante che stanno arrivando le maggiori sorprese.

Le diciassette regioni autonome che compongono la Spagna hanno sempre più malversazioni. La regione di Valencia ha già spiegato di aver bisogno di un aiuto finanziario, mentre la Cataluña, ovvero la più ricca delle Generalidad iberiche, sta pensando di fare lo stesso. Due settimane fa il presidente della regione, Artur Mas i Gavarró, ha invocato questa opportunità. Colpa di un budget fuori controllo e dell’esposizione dei singoli enti locali ai derivati finanziari legati agli immobili, in questo caso Asset-backed securities (Abs), cioè crediti cartolarizzati. Gli stessi che sono stati usati negli Stati Uniti durante il boom immobiliare antecedente al 2007. Se a fine febbraio, come calcolato dal think tank OpenEurope, i debiti delle pubbliche amministrazioni locali erano di circa 36 miliardi di euro, a fine aprile sono già lievitati a 43 miliardi, stando alle cifre della banca elvetica UBS. I debiti aumentano, il deficit pure. La Commissione europea, nel frattempo, continua a tagliare le stime macroeconomiche sulla Spagna. Le previsioni di primavera di Bruxelles vedono infatti un Pil in contrazione dell’1,8% per il 2012 e dello 0,3% nel prossimo anno. Peggio, ci sono solo Italia, Portogallo e Grecia. Ma è proprio sul fronte della spesa pubblica che la faccenda si complica.

La battaglia sul deficit fra Madrid e Bruxelles è stata vinta dalla Moncloa. Lo sforamento di bilancio, nonostante non si possa superare il 3% in rapporto al Pil, sarà digerito dall’Europa, che infatti nelle stime dello scorso 11 maggio ha previsto un deficit del 6,4% per il 2012 e del 6,3% per l’anno successivo. Il tutto con buona pace del Fiscal compact, il nuovo patto di stabilità. E il tutto senza dimenticare la crescita della disoccupazione, prevista al 25% per quest’anno.

L’anello di protezione per la Spagna è quasi pronto. Mancano i dettagli finali, ma sia Commissione europea sia Fondo monetario internazionali sono pronti. Ora la palla passa a Madrid, che dovrà decidere se accettare il sostegno internazionale o continuare da sola in mezzo alla tempesta. Una prima risposta dalla Moncloa potrebbe già arrivare domani, a seguito dell’asta dei titoli di Stato. Se lo scenario fosse quello dipinto dal ministro Montoro, per la Spagna inizierebbe il percorso già intrapreso da Atene, Dublino e Lisbona. Del resto, c’è già chi aveva ipotizzato questo epilogo. Grecia, Irlanda, Portogallo, Spagna e Italia, ovvero la via degli zingari dell’euro per definire l’ordine dei bailout europei. In un solo nome? La Gipsi way.  

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