Come Grecia, Irlanda e Portogallo. Ma guai a provare a fare un paragone. La Spagna prende la via del salvataggio internazionale, anche se nessuno, né a Madrid né a Bruxelles, vuole che si definisca così il piano che si sta organizzando per mettere in sicurezza le banche iberiche. La conference call fra i ministri finanziari dell’eurozona, partita alle 16 di oggi, doveva servire a porre i primi paletti del programma. Tanto Madrid ha bisogno di capitali freschi per le proprie banche, quanto non vuole passare per essere l’ultima vittima della crisi europea. «Non vogliamo il supporto della troika (Banca centrale europea, Fondo monetario internazionale e Commissione europea, ndr), quindi non capitoleremo senza combattere», avrebbe detto il ministro dell’Economia Luis de Guindos durante le prime battute della teleconferenza. In serata è arrivata la conferma che Madrid inoltrerà una richiesta formale di aiuti per ricapitalizzare le banche e che i partner dell’Eurozona sono pronti ad accettare, mettendo a disposizione fino a 100 miliardi di euro. Ben oltre le previsioni, quindi, che vedevano circa 80 miliardi di euro la cifra da destinare a Madrid.
«Non siamo come la Grecia. E dobbiamo mostrare orgoglio. Sempre». Il premier spagnolo Mariano Rajoy avrebbe pronunciato queste parole, secondo quanto apprende Linkiesta, nell’ultima nottata, parlando con la task force da lui stesso composta per valutare l’entità del buco creato dagli istituti di credito iberici da riempire tramite un’aiuto internazionale. Tre persone del governo, più tre soggetti dell’universo bancario, hanno cercato di trovare una soluzione in grado di tranquillizzare in mercati finanziari in vista dell’apertura di lunedì, in un rush che ha ricordato molto da vicino quello che si è vissuto nel weekend prima del 15 settembre 2008, giorno del crac di Lehman Brothers, la quarta banca statunitense. Da un lato il vice-premier Soraya Sáenz de Santamaría, il ministro de Guindos e il ministro del Bilancio Cristóbal Montoro. Dall’altro il governatore del Banco de España Miguel Ángel Fernández Ordóñez, l’ex presidente di Bankia Rodrigo Rato e il presidente di Santander Emilio Botín. In mezzo, un sistema bancario vicino al collasso, stando ai bilanci. L’esposizione al settore immobiliare è di circa 600 miliardi di euro, secondo i dati diramati dal Banco de España. E i crediti deteriorati sono sempre maggiori. Se nel dicembre 2008 erano circa il 20%, ora siamo arrivati a circa il 35%. Il tutto a fronte di un sistema che vale il 320% del Pil iberico del 2011 (total asset vs. Pil 2011, secondo Morgan Stanley, ndr), di cui il 70% è in mano alle prime cinque banche e l’immobile pesa per il 35% del totale.
Il vice-premier Soraya, ancora nella notte, ha avuto diversi scambi di vedute con i funzionari europei. Come spiega un diplomatico spagnolo a Linkiesta «l’obiettivo è quello di evitare le condizioni date alla Grecia». Nessuno a Madrid vuole essere paragonato ad Atene. Parlare di troika è considerato irrispettoso nei confronti di una storia, quella iberica, ben più importante di quella ellenica. «Non sarà un bailout come quella della Grecia, questo è chiaro», dice il diplomatico. Ma prima di decidere che la migliore soluzione possibile era quella di chiedere un aiuto a Ue e Fmi, la Moncloa si è a lungo consultata con i vertici delle banche iberiche.
Nella notte i telefoni di Rodrigo Rato, ex ministro delle Finanze ed ex presidente di Bankia, l’istituto di credito simbolo della crisi spagnola, e de Guindos sono stati bollenti. De Guindos, un passato in Lehman Brothers, ha chiamato più volte Rato, chiedendogli ripetutamente quale fosse la reale esposizione della banca fino a pochi mesi fa da lui guidata. Ma è solo dopo aver parlato con Botín, numero uno del Santander, che è arrivata la decisione definitiva. «Sono troppi, non possiamo farcela da soli. Ma se proprio dobbiamo chiedere aiuto, dobbiamo cercare di negoziare un trattamento rispettoso del nostro Regno»: sarebbero queste le parole che de Guindos ha detto a Botín dopo l’ultimo scambio di vedute, nel quale sono emerse le cifre delle malversazioni spagnole.
Come spiegato da Linkiesta tre giorni fa, la soluzione verso cui si sta andando è quella già sperimentata con l’Irlanda. Da una parte l’Europa, dall’altra le istituzioni internazionali. Da una parte il fondo salva-Stati temporaneo European financial stability facility (Efsf), principale erogatore dei fondi con cui la Spagna potrà ricapitalizzare le proprie banche, a cui faranno supporto il Fondo de Reestructuración Ordenada Bancaria (Frob) e lo European stability mechanism (Esm), il fondo di stabilità finanziaria permanente che entrerà in vigore da luglio con un anno di anticipo. Ancora oggi, in un’intervista a Die Welt il presidente della Bundebank Jens Weidmann ha ricordato alla Spagna che «l’Europa e la Bce sono pronte, ci sono tutti gli strumenti per sostenere Madrid». Infatti si sta pensando a una ricapitalizzazione tramite i 440 miliardi di euro del fondo Efsf, sebbene questi debbano essere decurtati di circa 240 miliardi, ovvero la cifra destinata al supporto di Atene, Dublino e Lisbona.
Ironia della sorte, nemmeno questo potrebbe bastare. Un ulteriore motivo di preoccupazione sono le esigenze di rifinanziamento per i prossimi anni. Daniel Gros e Alessandro Giovannini, rispettivamente direttore e ricercatore del Centre for European policy studies (Ceps), hanno calcolato che la Spagna deve scendere sui mercati obbligazionari per 440 miliardi di euro dal 2013 al 2016. In pratica, quanto vale quanto l’intero ammontare del fondo Efsf. Il tutto senza contare le necessità che hanno le banche spagnole. Se secondo il Fmi occorrono circa 40 miliardi di euro, per la banca britannica Barclays ne servono circa tre volte tanto, 126 miliardi. Nei propri stress test, infatti, Barclays ha individuato diverse sacche di crediti inesigibili ancora non contabilizzati nei bilanci delle banche iberiche. Proprio quanto fatto notare da Standard & Poor’s e Moody’s, che nella notte ha rimarcato come l’unico Paese che rischia il contagio della situazione spagnola è l’Italia. Il problema, purtroppo, è che non ci sono soldi per tutti e due.