Una madre di sinistra ha “salvato” il piccolo Hollande dal fascismo

Una madre di sinistra ha “salvato” il piccolo Hollande dal fascismo

“Spero che mio figlio riesca a raddrizzare la Francia”, ha dichiarato Georges Hollande all’indomani delle elezioni presidenziali. Papà è fiducioso. Il ragazzo ha “parecchi diplomi” sottolinea, prima di chiudere la porta in faccia al cronista di Nice Matin, che vuole saperne di più sui rapporti con François.

L’ottantanovenne padre del presidente concede poco alla stampa e nulla di politico, anche perché – spiegano i vicini del quartiere Monrose a Cannes – “Monsieur Hollande ovviamente ha votato per il figlio, non poteva fare altrimenti, ma non sono esattamente le sue idee”.

Georges Hollande era un sostenitore dell’estrema destra molto prima del parziale sdoganamento del lepenismo, quando ripudiare lo “spirito repubblicano” voleva dire associarsi ai collaborazionisti della Francia di Vichy, rimossa dalla coscienza nazionale come una vergogna imposta dall’invasore nazista.

Il piccolo François cresce quindi nella risentita cultura politica dei vinti, racconta il giornalista del Nouvel Observateur Serge Raffy nel suo François Hollande – Itinéraire secret (Fayard, 2011), tornato nelle librerie d’oltralpe rimpinguato e aggiornato dopo la consacrazione presidenziale del protagonista. Ci pensa poi la madre a farlo voltare a sinistra.

Nella casa di Bois-Guillaume, il ricco sobborgo di Rouen dove François nasce il 12 agosto del 1954, le sintesi tipiche della futura azione politica del socialista sono impossibili. Mamma Nicole, infermiera e assistente sociale, è un’appassionata cattolica di sinistra; papà Georges, medico che s’inventa immobiliarista, un estremista di destra. François sarà presto costretto a fare una scelta di campo.

L’anno cruciale per la Francia è il 1958, quando il ritorno del Generale Charles De Gaulle segna la fine della Quarta Repubblica, infragilita dal doloroso processo di de-colonizzazione. I reazionari sperano che sia l’inizio di una svolta autoritaria in grado di salvare “l’Algérie française”. La successiva concessione dell’indipendenza viene considerata alla stregua di un tradimento. De Gaulle (ri)diventa così il nemico da abbattere per una certa destra – che avrà la sua espressione più violenta nella campagna armata dell’Organization de l’Armée Secrète (Oas). L’odio per il gollismo spinge anche il notabile di provincia Georges Hollande a buttarsi in politica. Il suo punto di riferimento è l’avvocato Jean-Louis Tixier-Vignancour, noto per aver difeso in tribunale il Generale putschista Raoul Salan e il grande scrittore filo-nazista Louis-Ferdinand Céline.

Tixier-Vignancour nel 1965 tenta la corsa per l’Eliseo, affidando la gestione della sua campagna a Jean-Marie Le Pen, un parà reduce delle guerre d’Indocina e d’Algeria. In quello stesso anno Georges Hollande punta a diventare sindaco di Bois-Guillaume guidando una lista infarcita di ex “collabo”. Perde male contro il candidato gollista, mentre Tixier-Vignancour finisce quarto al primo turno delle presidenziali, poi vinte da De Gaulle nel ballottaggio con Mitterrand.

È la prima campagna televisiva della storia francese. L’undicenne François come la mamma parteggia per il candidato unico della sinistra. La scelta di campo è compiuta. François Mitterrand affianca nel pantheon personale del piccolo Hollande l’ala della squadra di calcio di Rouen Jean-Louis Buron.

Umiliato dalla disfatta, Georges Hollande rinuncia alla politica. Tre anni dopo, il maggio ’68 lo convince che l’invasione sovietica della placida provincia francese sia ormai imminente. Quell’estate porta tutta la famiglia al riparo a Parigi, dove François avvierà il lento e metodico percorso nel partito che lo condurrà fino all’Eliseo.

Il racconto dell’infanzia hollandiana, così tagliato, somiglia a un’edificante novella sulla formazione di un capo socialista, con lieto fine garantito dalla provvidenziale apparizione mitterrandiana. Se non fosse che il padre putativo Mitterrand, forse più di ogni altro politico francese del dopoguerra, si porta appresso le omertose omissioni che legano la Francia repubblicana a quella di Vichy, dove il Maresciallo Pétain gli appuntò al petto l’Ordre de la Francisque, la più alta onorificenza della “Rivoluzione Nazionale”.

Mitterrand entrò poi nella resistenza, ma nel successivo mezzo secolo vissuto a sinistra non spezzò mai i rapporti con il capo della polizia di Vichy René Bousquet, l’organizzatore della “rafle du Vel ‘d’Hiv” che il 16-17 luglio 1942 condusse oltre 13.000 ebrei di Francia nei lager tedeschi. Fu la pagina più nera del collaborazionismo, per la quale il presidente socialista si rifiutò di riconoscere la responsabilità dello Stato francese.

E fu Mitterrand a metà anni ‘80 a promuovere l’accesso di Jean-Marie Le Pen al sistema politico – favorendo prima lo sdoganamento mediatico, poi il successo elettorale del Front National con l’introduzione del proporzionale – per spaccare l’elettorato di destra. Una manovra tattica spregiudicata ma vincente condivisa dai suoi discepoli prediletti, come Laurent Fabius – per il quale “il Front National dà risposte sbagliate a delle domande giuste” – e Pierre Bérégovoy, che considerava l’ascesa dell’estrema destra “una storica chance” per il partito socialista. Tra questi non rientrava però François Hollande, che non fu mai fatto ministro nei quattordici anni di Mitterrand all’Eliseo.

L’itinerario formativo del neo-presidente giunge a compimento all’inizio degli anni novanta con la scelta di un altro padre politico: Jacques Delors. La devozione di Hollande nei suoi confronti – racconta Raffy – fa infuriare la figlia del grande riformista Martine Aubry, convinta che quel mite funzionario di partito voglia scipparle un’eredità spirituale che le spetta di diritto. Ma questo è l’incipit di un’altra storia, la genesi di un conflitto politico-familiare risolto (fin qui) dalla vittoria alle primarie che ha lanciato Hollande verso l’Eliseo. 

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