La legge costituzionale che introduce il pareggio di bilancio prevede, tra le altre cose, l’istituzione presso le Camere di un organismo indipendente che faccia analisi, verifica e valutazione in materia di andamenti di finanza pubblica e adempimento delle regole di bilancio. In parole povere, un guardiano dei conti.
L’idea di creare un simile organismo non è nuova. Già nel 2006 se ne era discusso e già allora la Corte dei Conti, come oggi del resto, aveva espresso la sua contrarietà: secondo i giudici amministrativi si creerebbe confusione tra le proprie competenze e quelle della nuova autorità e un’autorità nominata dal Parlamento non avrebbe l’indipendenza necessaria. All’epoca la commissione Bilancio della Camera, presieduta da Daniela Santanchè, aveva accolto i rilievi della Corte e accantonato l’ipotesi.
In base a uno studio, sempre del 2006, di Giancarlo Salvemini e Claudio Virno – tecnici di ministero dell’Economia e presidenza della Repubblica – restano però scoperte alcune funzioni nell’assetto attuale, che potrebbero essere svolte da un nuovo soggetto. In particolare: il confronto tra valutazioni ex ante ed ex post sia sul bilancio sia sui provvedimenti approvati in corso d’anno, con un’analisi dei motivi di eventuali scostamenti; approfondimenti e verifiche sulla spesa a livello di programmi, di settori e di aree territoriali; e l’individuazione di “valori di riferimento” relativi a determinate categorie di spese e di entrate per disporre di benchmark utili per eventuali correzioni e miglioramenti.
Perché rispetto al 2006 il legislatore ha cambiato idea? Innanzitutto è cambiato il governo, e poi con la crisi europea sono arrivati dei suggerimenti piuttosto precisi dall’Unione. Nel fiscal compact, il trattato sulla stabilità, si chiede agli Stati di introdurre normative costituzionali che garantiscano il pareggio di bilancio, e, in particolare la proposta di regolamento Com(2012)821, suggerisce l’istituzione di un organismo indipendente che monitori il rispetto delle nuove regole di bilancio. Contrariamente alla tradizione italiana, il governo ha recepito i suggerimenti europei, addirittura in anticipo rispetto ai termini previsti (generando per questo qualche protesta), con il ddl cost. n.1 del 20 aprile 2012. Il nuovo sistema dovrebbe andare a regime entro il 2014.
Ma quella che per l’Italia sarà una novità, in altri Stati europei (e non solo) è una tradizione consolidata. Nei Paesi di tradizione anglosassone esistono da più di un secolo autorità che svolgono funzioni di “audit”, passano cioè al microscopio le spese dello Stato, per verificare sprechi e inefficienze, controllano la corrispondenza tra stime e risultati e fanno previsioni sull’impatto che eventuali proposte di legge possono avere sul bilancio. Il concetto di audit è legato a doppio filo con quello di accountability, cioè riconducibilità a chi prende le decisioni dei risultati ottenuti (o meno) e delle proposte avanzate. In Italia suona come una bestemmia. Sarebbe un duro colpo per i politici che speculano su proposte populiste, e in generale una spina nel fianco per i governanti sottoposti a un controllo costante. Proprio per questo le classi politiche dei paesi che non hanno autorità di audit – e accountability non sanno nemmeno cosa significhi – sono recalcitranti a introdurle. Ecco come è stato regolato il controllo dei bilanci dello Stato in alcuni paesi stranieri a cui l’Italia si potrebbe ispirare.
Inghilterra – National Audit Office (Nao)
La Nao è un’autorità indipendente di nomina parlamentare, che svolge nel Regno Unito le funzioni di audit. E’ nata nel 1983 come sviluppo del precedente Exchequer and Audit Department (fondato nel 1866). Si basa sul principio fondamentale dell’indipendenza dei controllori dai controllati (esecutivo e legislativo), e si occupa principalmente di tre ambiti. In primo luogo, la Nao controlla la correttezza delle previsioni finanziarie. Poi verifica, in ambito non finanziario, l’efficacia della spesa pubblica (le tre “e”: efficiency, economy, effectiveness). Infine si occupa genericamente di “buon governo”, in un ambito intermedio ai primi due, ultimamente in via di espansione. I suoi rapporti vengono resi rigorosamente pubblici, di modo che i cittadini possano esercitare il controllo sull’operato del governo (per la suddetta accountability).
Stati Uniti – Government Accountability Office (Gao)
Il Gao è l’ufficio del Congresso degli Stati Uniti che si occupa di audit, valutazione e indagine sui conti pubblici. Le sue funzioni sono andate espandendosi nel corso degli anni. Oggi pubblica, principalmente anche sul web, circa 900 rapporti l’anno. In particolare verifica le dichiarazioni in materia finanziaria del governo, controlla il debito pubblico e i suoi possibili sviluppi e, in generale, studia l’impatto – sulle casse pubbliche ma anche più in generale – delle leggi al vaglio del Congresso e le monitora una volta entrate in vigore. La pubblicità che viene data ai suoi studi consente ai cittadini di sapere con buona precisione gli effetti reali delle politiche portate avanti dall’esecutivo.
Un’altra possibilità, invece che istituire autorità indipendenti, sarebbe di attribuire alla Corte dei Conti le funzioni di audit. In tal caso però – come sottolineato anche nello studio del 2006 di Salvemini e Virno – bisogna consentire l’accesso dei magistrati alle fonti informative rilevanti, per ora gelosamente custodite esclusivamente dal governo, in particolare dal ministero dell’Economia. In tal modo si introdurrebbe un elemento di concorrenza tra le previsioni ministeriali e quelle della Corte. Questi sono alcuni esempi di Stati europei che hanno attribuito tali funzioni a un organo del potere giudiziario.
Olanda – Algemene Rekenkamer
La Corte dei Conti olandese (Algemene Rekenkamer o, in inglese, Court of Audit) è un’istituzione vecchia di oltre duecento anni. Ha il compito, tra gli altri, di controllare le politiche di spesa del governo nazionale da un punto di vista dell’efficienza e della legittimità. Vengono fatte sia previsioni ex ante che valutazioni ex post. Su richiesta la Corte fornisce dei pareri tecnici sugli effetti e sulla sostenibilità di leggi o altri atti discussi in Parlamento. Svolge anche il ruolo di controllore del rispetto degli obblighi europei e dell’impiego dei fondi europei destinati all’Olanda. Un modello simile è stato adottato anche per la Corte dei Conti dell’Unione europea che, tuttavia, non essendo organo di uno Stato ma di un’organizzazione internazionale, presenta alcune ovvie differenze.
Oltre ai Paesi citati sarebbe possibile proseguire l’elenco: Svezia, Australia, Canada, Lituania e molti altri ancora. L’Italia dunque ha un ampio ventaglio di ipotesi da cui attingere. Ma il problema – reso evidente dalle nomine di ieri dei membri del Agcom e del garante della Privacy – più che di regole scritte è di mentalità. Per garantire l’indipendenza di un’autorità gli strumenti comunemente usati sono la non rinnovabilità dell’incarico, la lunga durata dello stesso, l’autonomia organizzativa, contabile e finanziaria, la fissazione di requisiti di indipendenza e competenza per la nomina (garantiti dall’individuazione di varie ipotesi di incompatibilità), e la nomina da parte non del potere esecutivo ma legislativo, con soglie di maggioranza abbastanza alte da far convergere, in teoria, le parti politiche su figure neutre e professionalmente molto valide.
Tutti questi accorgimenti vengono vanificati se i partiti si mettono d’accordo per nominare loro uomini di fiducia, scambiandosi favori e orientandosi col “manuale Cencelli”. In questo caso non c’è costruzione teorica che tenga, e qualsiasi tentativo di emulare i sistemi anglosassoni è destinato a morire. Ben si spiegano quindi le perplessità di chi è contrario all’istituzione dell’ennesima autorità indipendente, anche se a suggerirlo è l’Unione europea. Per un reale cambiamento nel senso della responsabilizzazione dei governanti, e dell’accountability, più che nuove leggi servirebbero nuove teste. Quelle attuali andrebbero, metaforicamente, mozzate.