Giovanni Conso, classe 1922, ministro guardasigilli con Amato e Ciampi ormai vent’anni fa. Giurista insigne, fama di galantuomo, che proprio perché tale – si disse allora e per tanto tempo – fu fatto ministro in momenti in cui la Giustizia era un campo minato: stragi di Mafia, Tangentopoli, e così via. Momenti complicatissimi, notti da cui la nostra Repubblica ha rischiato di non rialzarsi più . Oggi, all’improvviso, lo strappano dalla quiete dei suoi 90 anni i pm di Palermo in un processo in cui sono coinvolti un boss mafioso conosciutissimo come Giovanni Brusca, e due politici democristiani che hanno veleggiato mille mari: Nicola Mancino e Calogero Mannino. Cosa c’entra dunque Conso in un processo che dovrebbe accertare la trattativa tra Stato e Mafia? Per i pm c’entra: perchè quando disse che fu sua e solo sua la scelta di non rinnovare il 41 bis a decine di mafiosi, sospendendo il regime di carcere duro sperando così’ di allentare la presa stragista, non è riuscito a convincerli. Non è riuscito insomma a far capire ai Pm che quando ci sono di mezzo la politica e la storia, chi ha un incarico politico possa fare scelte discutibili senza commettere reato: il chè rende giudici e pm non utili, mentre chiama in causa il mestiere (meno popolare, non meno prezioso) dello storico.
13 Giugno 2012