What a mess. Il braccio di ferro fra i governatori rimasti (quasi) nudi davanti alla spending review (hanno già disertato due volte la Conferenza Stato-Regioni) e gli emissari tecnici del governo tecnico di Full Monti – in privato definiti senza mezzi termini «sicari con la licenza di uccidere» – corre sul filo dell’alta tensione. Con l’effetto temporaneo di aver ricomposto in parte le fratture territoriali fra Nord e Sud perché sono stati tutti presi da un attacco di panico davanti agli algoritmi del governo. Che avanza con il passo da Terminator verso l’iter parlamentare che, salvo improbabili colpi di scena, dovrebbe iniziare giovedì in Senato, quando scadranno i termini per presentare gli emendamenti.
What a mess. Davanti alla spending review, accade di tutto. C’è chi, come Roberto Cota, che l’ha soprannominata la “killing review” e chiede rispetto per le regioni virtuose. Nonostante il Piemonte abbia, secondo il Pd, un debito complessivo di 11 miliardi di euro, di cui 2 nel comparto sanitario, anche se la giunta ne riconosce solo 7 (nel suo piano di razionalizzazione delle spese si propone di ridurlo a 5 entro il 2015). E ieri in consiglio regionale sono stati presentati 5 ordini del giorno per salvare i piccoli tribunali e sostenere il governatore Cota, come se fosse Davide contro Golia. E c’è chi, come il governatore veneto Luca Zaia, che l’ha definita “incostituzionale”, si è definito Abele contro Caino, anche se è stato smentito dal suo vicepresidente Marino Zorzato (Pdl) che invece ha elogiato i tagli di Full Monti. E ha elencato tutti i risparmi fatti e previsti per alleggerire la spesa pubblica della regione. «Dalla riduzione di commessi e portinerie, alla soppressione dei diversi Cda di alcune aziende partecipate per arrivare ad avere un amministratore unico, fino al dimezzamento del parco auto che entro sei mesi diventeranno 7, pari al numero degli assessori», spiega.
Mentre più a Nord, il presidente del Friuli Venezia Giulia Renzo Tondo nei giorni scorsi ha riunito tutti i presidenti di province e regioni autonome per scrivere un documento di protesta rivolto a Monti e dire: «Noi non siamo privilegiati, siamo l’ Italia che funziona». Nonostante la sezione regionale della Corte dei Conti abbia sì promosso l’esercizio del bilancio pubblico del 2011 nel Fvg, ma con questo severo monito: «La spesa pubblica è superiore alla media nazionale e molti comuni sono indebitati». Tondo è sostenuto, nella battaglia, dal presidente della Provincia autonoma di Trento, Lorenzo Dellai, che invece ha dichiarato: «Siamo di fronte a una grave svolta centralista».
Elmetto in testa anche più a Sud, dove il governatore pugliese Nichi Vendola ha affermato di voler creare un gabinetto per monitorare la crisi delle risorse e difendere i servizi delle suo dissestato sistema sanitario, finito nuovamente nel mirino della procura. Il governatore della Sardegna, Ugo Cappellacci parla da settimane di un rischio di una rottura istituzionale, mentre la Sicilia si trova alla vigilia della bancarotta e del commissariamento.
Toni duri anche dal governatore toscano Enrico Rossi («un governo tecnico incompetente» ha commentato categorico) che, nel tentativo di scongiurare tagli drammatici, durante uno degli incontri tecnici, bilaterali e segreti, che si stanno tenendo in questi giorni, ha proposto all’implacabile commissario Enrico Bondi di dare ai governatori i compiti a casa, nella speranza di dimostrargli che i risparmi chiesti agli enti locali sono semplicemente irrealizzabili.
Presto detto, presto fatto: i tecnici del tecnico Bondi (uno che davanti ad ogni tipo di recriminazione e protesta pare usi questa frase «io sono un chimico, se butto per terra la nitroglicerina, devo sapere che esploderà tutto») si sono presentati con un librone, con tutti i servizi da tagliare per far quadrare i conti, come dimostra il documento ancora inedito del commissario Bondi ottenuto da Linkiesta, che mostra la metodologia, un po’ inusuale, utilizzata dal governo per far quadrare i conti. Soprattutto nel sistema sanitario, più colpito dalla spending review. E cioè sostituire i costi e fabbisogni standard con una linea mediana, tracciata sulla base del costo di beni e servizi per calcolare una media matematica fra i sistemi sanitari più virtuosi e quelli più costosi, e fissare cosi l’asticella del risparmio.
Visto che il decreto sulla spending review si propone sì di razionalizzare la spesa pubblica, soprattutto quella sanitaria, ma lasciando i servizi invariati ai cittadini. E ha calcolato il fabbisogno standard in modo efficace, in apparenza, ma forse troppo matematico e frettoloso. E infatti secondo l’assessore regionale al Bilancio della Lombardia, Romano Colozzi, che coordina tutti gli assessori di tutte le Regioni, il «governo ha fatto una spending review lineare e indiscriminata, che paradossalmente penalizza di più le Regioni virtuose con meno sprechi da ridurre, che quelle indebitate già commissariate, senza avere il coraggio e la competenza di entrare nel merito della spesa dei servizi sanitari».
Anche se poi, in queste ultime ore di tentativi di mediazione, vani, col governo, ci si trova davanti a governatori che si rifiutano di pagare i debiti retroattivi, ereditati, come per esempio la governatrice del Lazio, Renata Polverini che chiede tempo accorpare o chiudere le società partecipate e si torna da capo, come al gioco dell’oca. Ma è la Lombardia – la Regione che nonostante i noti sprechi, le mega consulenze e gli illeciti penali, è ancora nel suo complesso la piú virtuosa del paese – a guidare la trattativa. E infatti i tecnici della Lombardia hanno elaborato un documento riservato per definire le linee guide per una controproposta, che per ora non è stata presa in considerazione dal governo . «La norma colpisce indistintamente “sistemi” virtuosi come quello lombardo, con ulteriori razionalizzazioni in corso, e non virtuosi (regioni e province con decine di partecipazioni). L’obbligo di sciogliere o vendere le società genera una immediata perdita di valore pubblico (patrimonio, capitale umano, know how e “avviamento”)» si legge nel documento scritto l’11 luglio. «E si generano problemi occupazionali serissimi, con impossibilità di internalizzare il personale e di distruzione di un modello organizzativo efficiente. I tagli per il 2012 a carico degli enti territoriali sarà del 84,65%, mentre nel 2013 del 66% a differenza dei tagli nei ministeri che invece si attestano nel 2012 solo sullo 0,3% per raggiungere il 18, 75% nel 2014». Come dire che fra le manovre di Monti e quelle di Tremonti c’è poca differenza. E a pagare i cocci sono sempre gli enti locali.
What a mess. Nel frattempo però i governatori fanno fatica a difendersi dal giudizio altrettanto implacabile delle opposizioni, che hanno fatto il loro elenco di sprechi ed eccedenze, al posto delle eccellenze. E mostrare a loro volta i toni muscolari per cavalcare l’onda lunga dell’antipolitica, che si cela fra le pieghe di questo scontro fra i tecnocrati del governo Monti e i governatori, i quali temono di perdere il proprio consenso. A cominciare dal Veneto, «che ha raggiunto il massimo del suo indebitamento: 1 miliardo e mezzo di euro», spiega il consigliere regionale del Pd, membro della commissione Bilancio, Piero Ruzzante. «Se invece avessimo reintrodotto l’addizionale Irpef abolita dall’ex governatore Giancarlo Galan per fini elettorali, ora potremmo contare su 450 milioni di euro. Ergo il Veneto si è tagliato da solo. E non è più affatto virtuoso». Senza dimenticare la polverizzazione delle 120 società partecipate.
Anche in Lombardia, si fanno le pulci al governatore Formigoni. Su blogdem, il consigliere regionale Alessandro Alfieri ha creato un link, Eccellente, scritto a lettere rovesciate, per ricordare tutti gli sprechi lombardi. Dai ticket sanitari, 237 milioni di euro nel 2011 a carico dei lombardi che hanno permesso a Formigoni di creare un sistema virtuoso, fino al doppio call center sanitario, e i 567 milioni di euro dirottati verso istituti privati fra il 2008 e e il 2010, fra cui 157 all’ospedale San Raffaele e 52 alla fondazione Maugeri. Anche se poi il Pd ha fatto sponda con Lega il Pd, tutti felicemente riuniti sotto l’egida di una legge contraria allo stop dei trasferimenti governativi per i trasporti pubblici e razionalizzare le risorse che verranno a mancare.
Così come in Piemonte, il vicepresidente di opposizione del consiglio regionale, Roberto Placido, (Pd), uno che ha messo sotto torchio anche la leggiadra gestione economica della giunta Bresso quando ha tentato di mescolare le carte, “confondendo” gli investimenti con la voce delle spese correnti , ora ha denunciato un accordo sottobanco con i sindacati per rottamare un gruppo di dirigenti della Regione, per i quali erano già pronti piani di prepensionamento che raggiungevano 240mila euro cada uno. Cota, che ha cercato di cavalcare il rigor mortis montiano, è stato smentito anche dal ministro della Sanità, Renato Balduzzi che però nel confronto col governo sta cercando di difendere le ragioni delle Regioni. E in un incontro pubblico ha bacchettato il governatore, rammentandogli che si è lamentato per il mancato finanziamento della agognata Città della salute, un polo universitario e sanitario all’avanguardia mai realizzato, ma si è dimenticato di presentare la richiesta formale al governo.
E così, mentre le differenze territoriali si dileguano perché davanti alla spending review, non si può neanche ricorrere al lato oscuro della questione settentrionale, visto che sul fronte sanitario le uniche regioni virtuose sono, guarda un po’, Lombardia, Marche ed Umbria, a Roma si tengono incontri bilaterali e segreti per trovare una soluzione condivisa, che metta al riparo regioni e province dalla mannaia governativa. «Arrivano, danno ordini , e se ne vanno». «Ci fanno tremare i polsi», ci hanno detto alcuni tecnici delle giunte regionali. Molto scettici sull’eventualità di ottenere sconti. E sicuri che il mandato di Bondi sia quello di non fare prigionieri. Col timore, però, che le Regioni possano fare default. O quanto meno incapaci di ripianare il loro debito, visto che i commissariamenti fatti fino ad ora non sono serviti a molto.
What a mess. La deadline della spending review si avvicina, oggi è l’ultimo giorno per le trattative bilaterali, e molti si chiedono se per caso, dietro la rigidità del governo, si celino dei conti peggiori di quelli di cui siamo a conoscenza. Come se non bastasse sapere che il debito pubblico italiano ha raggiunto la quota insostenibile di 1966 miliardi. Come andrà a finire lo sapremo mercoledì, al più tardi giovedì. Sapremo se i governatori dovranno alzare bandiera bianca, ricorrendo alla corte costituzionale per bloccare la spending review e cercare cosí di annullare i tagli lineari alle regioni. O se invece, impauriti dallo spettro dell’impopolarità, accetteranno i sacrifici. E dovranno comportarsi come Il dio Aniene, portato in terra dal genio satirico di Corrado Guzzanti nello spettacolo “Tanto rigore per nulla”, per aiutare gli uomini in tempo di crisi con il suo divino martello. Ammazzando ogni esuberanza con un nuovo carico fiscale che consegnerà gli amministratori governatori, per ora gli unici politici rimasti scelti dagli elettori, all’oblio della tecnocrazia. Con buona pace della questione settentrionale.